Diritti

Strategic litigation, a difesa della salute mentale in carcere

“A mente libera” è il progetto con cui l'associazione StraLi vuole difendere e promuovere la tutela dei detenuti con problemi psichiatrici. La presidente Benedetta Perego: «Lo facciamo con gli strumenti del diritto e del contenzioso strategico, anche davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo»

di Ilaria Dioguardi

Il contenzioso strategico è «da sempre marchio di fabbrica di StraLi, ci aiuta a stare dalla parte del singolo nelle aule del tribunale e, nello stesso tempo, cercare di assicurare una tutela maggiore alla società intera», dice Benedetta Perego, avvocata e presidente di StraLi, associazione non profit che promuove la tutela dei diritti attraverso il sistema giudiziario. «Questo è ciò che vogliamo fare, anche in tema di salute mentale nei luoghi di detenzione».

Perego, cos’è la strategic litigation?

Noi prendiamo pochi casi che riteniamo siano rappresentativi di una violazione per tanti e li portiamo avanti cercando di ottenere pronunce quanto meno di Cassazione, se non della Corte Edu-Corte europea dei diritti dell’uomo, della Corte di Giustizia. Quindi cerchiamo di ottenere delle pronunce da Corti, nazionali o sovranazionali, che poi possano avere un’efficacia “ad ombrello” su tante persone che si trovano in una situazione analoga.

StraLi dove opera?

Siamo nati nel 2017 a Torino, ma ormai la nostra unità più partecipata è ad Amsterdam. Operiamo ovunque in Italia. Con la smaterializzazione dei procedimenti, la possibilità sempre di più di interloquire con gli uffici giudiziari anche da remoto, con il processo telematico, ormai riusciamo a muoverci su tutto il territorio italiano.

Di cosa si occupa StraLi?

La nostra associazione si occupa di strategic litigation e diritti umani. La salute, compresa ovviamente la salute mentale in carcere, è uno dei focus principali della nostra azione degli ultimi anni. L’anno scorso abbiamo sviluppato, con il supporto prezioso di Project System, il progetto “A mente libera”, che è diventato un dipartimento dell’associazione dedicato alla salute mentale delle persone detenute. Lo stiamo sviluppando, abbiamo vari progetti in corso. Il primo riguarda i contenziosi davanti alla Corte Edu, e anche sul territorio nazionale. Finora i nostri tentativi, in Italia, hanno avuto poco successo, siamo stati poco ascoltati nelle sollevazioni di questioni di legittimità costituzionale che abbiamo tentato. Invece, di fronte alla Corte Edu, abbiamo portato un caso che è “Saad contro Italia”.

Saad, pur riconosciuto come avente diritto al ricovero in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) dal giudice per le indagini preliminari di Milano, è rimasta in carcere per oltre sette mesi in attesa che si liberasse un posto, le sue condizioni di salute ne hanno risentito enormemente.

Ci può spiegare meglio questo caso?

In questo caso, abbiamo impugnato le decisioni delle autorità nazionali fino all’ultimo grado di giudizio, mentre la persona assistita è stata finalmente trasferita in una Rems. Abbiamo concluso da poco la fase del contraddittorio con il governo italiano e stiamo aspettando la sentenza. Saad è una persona detenuta con una grave patologia psichiatrica. Il caso “Saad contro Italia” per noi è particolarmente interessante perché non solo affronta la tematica su cui già si è espressa la Corte e che è una criticità rilevantissima nel nostro sistema, cioè quella delle liste d’attesa per il collocamento in Rems, ma affronta anche due punti specifici che, secondo noi, sono importanti.

Quali?

Il primo è quello della misura cautelare perché le tutele, già scarse in fase definitiva per le persone condannate con problematiche psichiatriche in fase di misure cautelari, sono ancora più insufficienti, scarse e inidonee. Sulla fase cautelare, secondo me, bisogna attirare maggiormente l’attenzione, anche a livello internazionale.

Un altro punto su cui soffermarsi è quello del significato che viene attribuito alle Rems. Quando abbiamo una persona ritenuta parzialmente incapace di intendere e di volere, di solito affronta sia una condanna detentiva sia una misura di sicurezza. La condanna detentiva, qualora la persona venga ritenuta socialmente pericolosa, non può essere espiata in contesti domestici o para domestici come le comunità terapeutiche, però dall’altra parte molto spesso il carcere è ritenuto inidoneo, inadeguato ad affrontare e a rispondere alle esigenze della persona in interesse. Secondo noi, c’è un problema di strutture e di utilizzo delle Rems, al di là della possibilità poi per chi ne ha già il diritto riconosciuto normativamente di accedervi, visto che i posti sono inadeguati, ci sono lunghe liste d’attesa, tutte questioni già molto note.

Un altro fronte su cui state lavorando come team di A Mente Libera, è legato all’implementazione della sentenza della Corte Edu.

La Corte di Strasburgo, negli ultimi anni si è espressa in maniera produttiva, chiara e significativa, sia sulle problematiche legate a questa materia sia sulle persone che stanno dietro questa materia. Il problema è che il governo italiano non implementa le sentenze della Corte europea, che hanno una cogenza, diciamo così, relativa, hanno bisogno di interventi legislativi, governativi adeguati. Il problema delle sentenze della Corte europea è, molto spesso, quello di rimanere un po’ “lettera morta” rispetto poi alle esecuzioni nei Paesi di riferimento.

Rispetto all’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, ci sono dei meccanismi all’interno del Consiglio d’Europa per verificarne il seguito. Quindi, il Consiglio d’Europa, tramite una Commissione specifica, periodicamente va a verificare che le sentenze della Corte europea vengano effettivamente implementate nei Paesi membri del Consiglio d’Europa. In questa procedura le Ong, o comunque la società civile, si possono inserire, interloquendo con il Consiglio eventualmente anche con degli scambi con il governo italiano rispetto all’implementazione o meno delle sentenze.

Recentemente come siete intervenuti, di fronte al Consiglio d’Europa?

Nell’ultimo anno siamo intervenuti di fronte al Consiglio con delle comunicazioni che sono chiamate “Rule 9”, sia nel caso “Saad contro Italia”, sia nel caso “Citraro e Molino contro Italia”, relativo ad un caso di suicidio che, purtroppo, nonostante sia un caso abbastanza risalente, si rivela attualissimo anche rispetto ai numeri di suicidi che abbiamo oggi in Italia nei nostri istituti.

Un altro modo, al di là di attività di comunicazione, disseminazione e diffusione generica tramite i nostri canali, è quello della cooperazione con l’università. Abbiamo istituito un workshop, che dovrebbe ripartire anche nel 2025, aperto a studenti e studentesse di giurisprudenza e di psicologia per portare avanti insieme dei casi che riteniamo strategici. Questo per ottenere sia il supporto di menti giovani e fresche che spesso hanno delle idee preziose, sia per diffondere, rispetto a futuri operatori sanitari e giuridici, l’importanza di essere attenti e preparati su questa tematica.

Come operatrice del diritto, cosa vuole dirci del sistema penitenziario attuale?

La situazione nelle carceri mi sembra davvero drammatica e sempre in peggioramento. Il dato dei suicidi, che si appresta purtroppo a superare il record nel 2023, è un campanello d’allarme di una crisi molto più ampia. Se le carceri sono una società, per quanto ristretta, isolata e spesso lontana dalla nostra vista, il numero dei suicidi non è altro che un tasso che ci fa comprendere il malessere di quella società che è molto più ampio rispetto anche solo alla gestione della salute mentale, ma è una società dove mancano le opportunità, lo spazio, la dignità. Come operatrice del diritto noto anche una freddezza giudiziaria.

Quello che mi stupisce sempre, quando vado negli istituti di pena o nelle aule giudiziarie, è il fatto che, a volte, trovo la Magistratura di sorveglianza che rigetta istanze di misure alternative con pene assolutamente vicino al termine senza nessuna utilità, continuando ad affollare istituti di pena che già sono al collasso.

Nella foto di apertura, di Gaetano Lo Porto per Agenzia Sintesi, il carcere di Rebibbia a Roma.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.