Welfare
Strage di Cutro, Palermo risponde con l’arte alla voglia europea di comunità
Non è stata una semplice performance quella che ha preso vita sulla scalinata del Teatro Massimo, luogo simbolo dell’arte e della cultura del capoluogo siciliano, in risposta a quanto accaduto a Cutro. Un desiderio diffuso di solidarietà che, grazie al regista Alessandro Ienzi, ha puntato i riflettori sul tema dei diritti umani, ma anche sulla difficoltà di accesso alle informazioni
Un processo partecipato di costruzione di un’immagine che racconta la voglia di inclusione e di vicinanza con quanto è accaduto sulla costa calabrese. È stata, infatti, una comunità quella che si è ritrovata sulla scalinata del Teatro Massimo di Palermo per rivendicare il desiderio di riappropriarsi di un’umanità in parte perduta. A dare vita a questo momento è statoi il regista Alessandro Ienzi, la cui compagnia “Raizes Teatro” non è nuova a performance che hanno nella difesa dei diritti umani il loro humus principale.
«Si è svolto tutto sulla scalinata di uno dei luoghi simbolo della nostra città, riprendendo le immagini che abbiamo visto girare in televisione e sui giornali. Posizionare oggetti che ci sono cari – spiega il regista, che ha promosso questo momento cittadino in collaborazione con “L’Alloro Fest” – ci ha permesso di generare inclusione e vicinanza umana perché abbiamo un problema di comunicazione che denota perdita di umanità. Certo, poi vengono gli interessi economici e politici, ma ricordiamo che proprio la politica dovrebbe innanzitutto tutelare i beni della vita: il primo bene della vita è la vita stessa. Dobbiamo poi credere alle idee che possiamo scambiarci, generate dall’Italia e dal senso che abbiamo dell’Europa, seppure con tutte le mancanze del caso. Basti pensare che Altiero Spinelli, autore del “Manifesto di Ventotene”, uno dei primi documenti a sostegno della creazione di un’Europa unita e di una costituzione europea, era italiano».
Una performance, quella che ha “animato” la città di Palermo puntando i riflettori sulle politiche europee e sul desiderio diffuso di inclusione.
«La voglia di eguaglianza fa parte di tutti i cittadini, non solo quelli extraeuropei – prosegue Ienzi -, ma dobbiamo ricordare di essere portatori di benessere. Io ho la percezione del respiro europeo perché sono spesso presente a Bruxelles, ma quando sono nella mia città, a Palermo, amo far vivere la comunità ridisegnando lo spazio pubblico. C’è, però, una riflessione che dobbiamo fare sulle informazioni e sul fatto che, per esempio, non abbiamo accesso a quelle riservate, quindi non sappiamo quali sono quelle reali, venendo penalizzati come cittadini. Sappiamo anche molto bene che in Italia c’è una grande manipolazione dell’informazione che parte a monte; lo dimostra il fatto che non abbiamo ancora chiare le circostanze in cui si è verificata la tragedia di Cutro. Quello che possiamo fare noi è riconvertire le parole di incitamento all’odio perché sono tali quelle che parlano di esclusione, di ricerca del diverso come modello dominante. Non mi sorprenderebbe se avvenisse un’attenuazione degli aiuti perché solitamente, sino a quando la situazione non è grave, non si fa nulla; poi più niente. Questa è attenuazione del diritto alla vita, l’inizio di qualcosa di preoccupante. Noi non possiano rispondere con la polemica, che è parte della politica nata con un certo tipo di televisione».
Televisione che, a seconda del Paese di cui parliamo, veicola messaggi in maniera differente, così come diversa è l’accoglienza che viene riservata all’arte e al teatro.
«Se ti sintonizzi su un qualunque programma francese non assisti ad alcuna baruffa – prosegue il regista -, ma perché le liti accese confondono la chiarezza di pensiero. In Belgio, per esempio, la gente è molto posata, c’è un diverso senso di comunità, ti senti di farne parte. Se scrivo a un museo o a un teatro a Bruxelles, ti rispondono e ti accolgono subito. Ho provato il panico la prima volta che mi è successo perché non ero abituato. Ecco perché dico che non dobbiamo pensare di avere perso questo senso di comunità, non possiamo neanche pensarlo».
Una vicinanza e una solidarietà diffusa, quella che si è “animata” sulla maestosa scalinata del Teatro Massimo di Palermo.
«È stato fantastico vedere le persone impegnarsi a costruire un’immagine personale con uno sguardo comune su quanto accaduto. Questo è avvenuto posizionando oggetti, disegnando, colorando. Tutto ciò riguarda la nostra coscienza, che aumenta rispetto alle circostanze. Non dobbiamo partecipare a qualcosa che ci deve necessariamente divertire perché possiamo anche pensare. Il divertimento ci può e deve essere, ma non deve distrarci, dobbiamo essere sempre presenti a noi stessi».
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