Welfare
Strage di Cutro. La Calabria dell’accoglienza risponde alla politica e alla burocrazia
Grande la macchina della solidarietà che da domenica sta fronteggiando una vera e propria emergenza umana. Stremati dalla stanchezza, ma sempre presenti, gli operatori degli enti del Terzo settore sono la spalla su cui stanno piangendo le famiglie delle vittime del naufragio nelle fasi precedenti e successive il riconoscimento dei corpi. Una Calabria che sta dimostrando di sapere lavorare unendo le forze anche grazie alla costituzione della "Rete 26 Febbraio"
«Se nel 2018 non avessi avuto la possibilità di entrare legalmente in Italia, avrei scelto anch’io la strada del mare e non saprei se oggi potrei raccontare la mia storia».
È ghanese Hassan Abdul-Fatah, presidente dell’associazione "Djiguiya" che, nella lingua malinké parlata in Africa occidentale, vuol dire “Speranza”.
«Speranza come quella che mi ha regalato una nuova vita – prosegue Hassan – e come quella che aveva anche chi ha provato a sbarcare sulle nostre coste. Una tragedia immane che si ripeterà. Se non ci saranno aperture, le persone continueranno a rischiare pur di approdare in terre di pace».
Una realtà, quella presieduta da Hassan, nella quale il 95% di coloro che ne fanno parte conosce molto bene cosa vuol dire solcare il mare senza avere la certezza di farcela. Proprio per questo lui, come altri stranieri, stanno facendo da ponte linguistico con le famiglie arrivate in Calabria per riconoscere quel che resta dei loro cari.
«La barriera linguistica non è stata e non è indifferente perchè la maggior parte parla dialetti poco diffusi come il farsi o il dari – afferma Anna Corrado, vice-presidente della cooperativa "Agorà Kroton" -. Bello vedere che un nostro benefiicario accolto con il sistema Sai è andato in ospedale ad aiutare una mamma disperata perchè il figlio era sotto chock perché avevano perso il resto della famiglia. Non si può accettare tutto questo, non possiamo farci scivolare addosso quel che è accaduto».
C’era bisogno di mettere in moto una macchina dell’assistenza che andasse dalla mediazione linguistica al supporto psicologico sino alla fornitura di beni di prima necessità perché alcune famiglie sono arrivate talmente di corsa da non avere avuto il tempo di prendere nulla. Le associazioni hanno provveduto anche alla collocazione in B&B del territorio, ma fortunatamente, dopo l’arrivo del presidente Mattarella, tutte le famiglie sono state trasferite in un albergo pagato dal governo.
«Queste sono le notizie ma ogni giorno è uno strazio – dice Manuelita Scigliano, portavoce del "Forum del Terzo Settore" di Crotone – anche perché, al dolore di sapere che un figlio, un marito, un fratello non ce l’hanno fatta, si aggiunge la difficoltà di comprendersi. I nostri mediatori sono allo stremo. Ieri sono dovuta intervenire io in quanto uno dei ragazzi che lavorano con me è crollato dalla stanchezza. Da tre giorni non dormiva. C’è anche il carico emotivo che sta piegando molti. Dobbiamo affrontare situazioni al limite con il paradossale. Un uomo, venuto dalla Germania per ritrovare la sua famiglia, ha scoperto che i genitori erano tra le vittime, ma anche che fortunatamente il fratello ce l’aveva fatta. Purtroppo, però, non può portarlo via con sè perché, al momento, risulta clandestino anche se vittima di naufragio. È, quindi, in attesa del riconoscimento dell’asilo o della protezione, status che gli potrebbe venire riconosciuto, bene che gli vada, tra 6 mesi. Avrebbe poi la residenza nel territorio crotonese, che non potrebbe cambiare prima di 5 anni. L’unico modo per raggiungere il fratello è rinunciare alla richiesta di protezione in Italia, ma questo vuol dire venire espulso con foglio di via ed entrare nella clandestinità. Si può mai consigliare questo? ».
Una macchina della solidarietà e dell’accoglienza che ha funzionato sin dalle prime ore grazie alle associazioni che sul territorio si occupano di migranti e che, proprio per dimostrare cosa vuol dire essere tutti vicini e protesi al raggiungimento di un comune obiettivo hanno dato vita alla “Rete 26 febbraio” che annovera già l’adesione di oltre 100 enti del Terzo settore, sindacati, associazioni, comitati, ong, scuole, libere e liberi cittadine e cittadini, anche non italiani. Insieme alle 15 di sabato 4 marzo si ritroveranno davanti alla Prefettura di Crotone per un sit in che verrà replicato anche in altre città italiane perché “la Calabria e il Sud Italia non possono e non vogliono più essere il cimitero d’Europa”.
Un clima, quello che si vivendo al Palazzetto dello Sport, che definire drammatico non rende assolutamente.
« Stiamo assistendo inermi allo strazio di file di parenti disperati, costretti o dover riconoscere i volti dei loro cari. Su molte delle bare – si legge nel documento della “Rete 26 Febbraio” – c'è solo un codice, neanche un nome su cui piangere. Vogliamo far capire che, oltre al dolore che sta investendo anche noi operatori, dobbiamo combattere contro l'assurdo rimpallo di responsabilità tra autorità competenti, su chi poteva e doveva dare il segnale di soccorso nella notte di domenica e anche il vuoto istituzionale nel dare risposte immediate e concrete alle istanze dei familiari. Per questo, come “Rete 26 febbraio”, chiediamo a gran voce che le autorità inquirenti facciano presto chiarezza e giustizia. Pretendiamo finalmente una politica comune europea di soccorso, accoglienza e asilo congiunta ed effettiva tra tutti i Paesi. E che non ci siano più disparità nell'accoglienza dei profughi, da qualsiasi parte del mondo e guerra scappino».
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