Welfare
Strage di Cutro. Il grido di Mohammad: «Quanta crudeltà nella volontà di non salvare le loro vite»
C’è chi piange ogni giorno sulla bara di uno o anche due familiari, ma anche chi aspetta ancora di ritrovare il corpo di un fratello, un marito, un figlio. Mohammad, nel naufragio del 26 febbraio, ha perso la suocera e il cognato di appena 12 anni e non sa come consolare la moglie che vorrebbe seguire la loro sorte. Oltre cinquanta gli afgani che attendono di essere riportati in patria per essere pianti nella terra che ha dato loro i natali
«Lo capisce qualcuno che la mia come anche quella di tutte queste famiglie non sarà più la stessa, anzi non è già più la stessa. Mia moglie piange la madre e il fratellino di 12 anni ed io sono disperato perchè non so come fare a consolare mia moglie che non vedeva la madre da due anni e che ora non vuole piò vivere».
È uno di quegli sfoghi che vorrebbero esplodere se solo ne avessero la possibilità, ma la dignità di una persona si vede proprio nel momento del dolore, quando rimane tutto dentro ed esce fuori con un’eleganza che riesce a illuminare tutta la persona. Profonda è, infatti, la sofferenza di Mohammad, cittadino di origini afgane, che nella tragedia calabrese del 26 febbraio ha perso la suocera e il cognato, quest’ultimo di appena 12 anni. Insieme alle famiglie di tutte le altre vittime attende da giorni che qualcuno dia loro il via libera per portare a casa i corpi dei loro cari.
«Portarli via ma tutti insieme – prosegue Mohammad – perchè devono avere degna sepoltura in patria. Parliamo di almeno cinquanta persone, anche se ci sono famiglie che sono ancora alla ricerca. Nessuno può immaginare cosa vuol dire questa attesa. Il fratello di mia moglie, poi, è arrivato dalla Francia per vedere la faccia di sua madre e gli hanno detto che non era possibile. Quanta crudeltà».
La suocera di Mohammad aveva salutato la sua famiglia poco prima di salire sul barcone che avrebbe dovuto portarla insieme al figlioletto in Italia, per poi dirigersi verso la Francia e ricongiungersi al resto della famiglia. La Sicilia doveva essere un semplice passaggio, invece è stata la terra in cui il suo viaggio si è fermato definitivamente. Vite congelate nelle fredde acque di Cutro.
«Appena abbiamo avuto notizia di quel che era accaduto – prosegue il giovane afgano – abbiamo sperato sino all’ultimo che non ci fosse nessuno della nostra famiglia tra le vittime. La conferma è arrivata come un macigno. Lo stesso per tutti quelli che hanno anche due cari dentro le bare. È un dolore che si rinnova ora dopo ora, per questo dico che dobbiamo andare a casa prima possibile, ma tutti insieme
Una situazione che nessuno vuole si ripeta mai più in nessuna altra parte del mondo.
«Certo, noi abbiamo la colpa di avere lasciato andare in mare i nostri cari, ma il governo italiano ha la responsabilità di averli lasciare morire a cento metri dalla spiaggia, non certo in mezzo al mare. Siamo tutti esseri umani e, anche se lo Stato Italiano non vuole rifugiati, ha il dovere di aiutare chi rischia la vita. Siamo tanto addolorati che non abbiamo il tempo e la voglia di arrabbiarci, ma non è giusti, veramente non è giusto».
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