Formazione
Strage di Crotone. Lo strazio di chi sa che si poteva evitare
Un'altra notte di preghiera sulle bare delle vittime dell'ultima strage, in ordine di tempo, del mare. Una tragedia che poteva essere evitata, se solo i soccorsi fossero partiti. A impedirli forse la decisa volontà di intervenire sperando che tutto si rivolvesse nel solito sbarco, da etichettare come l'ennesima invasione? Per Filippo Sestito un'ipotesi da accertare anche grazie alla richiesta dell'istituzione di una Commissione d'Inchiesta. Per don Giacomo Panizza, il sistema dell'accoglienza va rivisto senza scambiarlo per un problema, anche in questo caso, di invasione
«Una strage che si poteva evitare perché l’imbarcazione si trovava a 100 metri dalla secca segnalata in tutte le carte del mare e avvistata da Frontex. Nessuno, però, ha attivato le procedure di soccorso così, quando i Carabinieri sono arrivati sul posto, il barcone era già naufragato. Quando, infatti, due Carabinieri si sono buttati in mare, si sono ritrovati a nuotare in mezzo a tanti corpi senza vita, come quello di un bambino morto per ipotermia perché il fratellino lo avevo posto su un pezzo di legno della barca. Sono riusciti a trarne in salvo solo 5. Una tragedia sulla quale va fatta molta luce».
Parla così Filippo Sestito, presidente Arci Crotone Aps, ribadendo che quanto accaduto a Crotone poteva e doveva essere evitato.
«Si poteva evitare perché i soccorsi non sono mai veramente arrivati. Frontex è intervenuta con l’aereo che è poi rientrato perchè era finito il carburante, allertando nel frattempo la Guardia di Finanza che è uscita con due mezzi che erano solo di intercettazione e non di soccorso. Non si capisce perché non sia intervenuta la Guardia Costiera che i mezzi li aveva e avrebbe potuto salvare tutti. Un meccanismo che fallisce a causa della catena di comando. Qui c’è un ragionamento da fare sia sul Ministero degli Interni sia su quello delle Infrastrutture perché il combinato disposto tra i due ha provocato nella migliore delle ipotesi un corto circuito, nella peggiore la volontà di non intervenire. Pensavano che sarebbero approdati su una spiaggia per poi costruirci sopra l’invasione. È andata male e hanno provocato un disastro, il più grande incidente continentale dopo quello di Lampedusa del 2013 quando morirono oltre 200 persone. Al momento sono stati ripescati sessantacinque corpi, ma le vittime saranno almeno cento».
Saranno giorni ma soprattutto notti lunghe e strazianti quelle che attendono i volontari e operatori di associazioni come l’Arci, Intersos, Save the Children, il mondo della cooperazione sociale, le realtà del Terzo settore che a Crotone si occupano da anni di migranti. Ore interminabili in attesa di capire come sia potuto accadere tutto questo per trovare la risposta da dare alle famiglie che ben presto arriveranno per riconoscere i corpi o solo pochi resti dei loro cari. La macchina dell’accoglienza è pronta a fare la sua parte.
«E’ crollata l’ideologia di uno Stato, di un governo e di una storia di accoglienza scambiata per invasione – commenta don Giacomo Panizza, presidente della comunità “Progetto Sud” – perché quando la barche partono e le navi arrivano vengono avvistate ore prima. Hanno aspettato sino alla fine, quando il mare era forza otto. Manca l’approccio accogliente anche di primo soccorso. Quella che chiamano accoglienza è solo primo soccorso perché la vera accoglienza si occupa delle persone a tutto campo. Bisogna dare un primo aiuto, un primo conforto. poi pensare a un intervento medico specialistico, psicologico, ma solo per fare qualche esempio. E poi, anche rispetto agli scafisti, perché non diciamo che sono anche loro dei disgraziati, gente che, per problemi di soldi, farebbe di tutto? Come in Calabria, chi viene a piazzare una bomba sotto una saracinesca è solo un povero disgraziato, non certo un mafioso».
«Saremo tutta la notte nella camera ardente – aggiunge Sestito – dove ci sono le 65 salme. Nel frattempo si cerca i dispersi i cui corpi speriamo che il mare ci restituisca nelle prossime ore,. Poi c’è la questione delle sepolture. Stiamo cercando di capire se e dove costruire un luogo unico per consentire di avere un luogo della memoria. C’è anche l’attività straziante del riconoscimento dei corpi da parte dei parenti che stanno arrivando da ogni parte dell’Europa, dalla Germania, dal Belgio, dalla Francia, chiamati anche dal Senegal. Aspettavano una telefonata mai arrivata dai loro cari che avevano deciso di affrontare questo viaggio della morte. Stanno anche mandando le carte di identità sperando che non corrispondano alle vittime. Una procedura straziante anche perché molti copri sono irriconoscibili. Nel frattempo stiamo lavorando a un esposto che dovrebbe essere pronto nei prossimi giorni chiedendo ai nostri parlamentari di istituire una Commissione d’Inchiesta su quanto accaduto».
Una notte lunga, durante la quale si pregherà, ma non solo.
«Oggi siamo stati al Palazzetto dello Sport per pregare tutti insieme – conclude Roberto Gatto, responsabile dell’area immigrazione della Comunità “Progetto Sud” – Abbiamo da poco concluso una riunione da noi promossa, alla quale hanno partecipato anche realtà come Pax Christi, Agesci, Arci, il Forum del Terzo settore perché vogliamo mettere in campo un’azione cotante di monitoraggio per informare su quel che accade. Diciamo che le guerre sono uguali per tutti e che, per questo, l’accoglienza deve essere rivolta ugualmente a chiunque. Non dimentichiamo che l’Europa industrializzata sfrutta l’Africa per il gas naturale, ma ce ne dimentichiamo quando dobbiamo lanciare l’allarme dell’invasione. Informazioni distorte che dobbiamo correggere. Ecco perchè questa tragedia ci deve dare lo spunto per fare memoria e far capire quel che realmente accade attorno a noi. Non è più il momento di fare finta di niente».
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