Migranti
Strage del 18 aprile: lo scheletro della memoria è il simbolo di 10 anni di indifferenza
Il 18 aprile 2015 avvenne la più grave tragedia della storia recente dell'immigrazione: un peschereccio partito dalla Libia si capovolse e morirono oltre mille persone. «Dieci anni dopo assistiamo ancora al naufragio dei diritti», dice Enzo Parisi, presidente del Comitato 18 aprile. «Il relitto non è solo un reperto da esibire, è un simbolo potente delle tragedie che bisogna fermare»

Sono trascorsi dieci anni dalla più grave tragedia della storia recente nel Mediterraneo centrale con il più alto numero di morti, 1.022 secondo le stime della Croce Rossa Internazionale e dell’Organizzazione Internazionale per le migrazioni. Era la notte tra il 18 e il 19 aprile 2015 quando il peschereccio sovraffollato partito dalla Libia si capovolse a circa 100 chilometri a nord della costa libica e 180 a Sud di Lampedusa. La maggior parte dei corpi, si stima un numero compreso tra i 200 e 300 minori, rimase intrappolato nella stiva. A salvarsi furono solo 28, i morti e dispersi 1.022.

“Barca Nostra”: il barcone diventato un simbolo
La storia della più grave tragedia dell’immigrazione degli ultimi dieci anni è anche la storia del suo barcone, di quello che simbolicamente rappresenta. A volerne il recupero con un complessa operazione che vedeva in campo l’ufficio straordinario per le persone scomparse del ministero dell’Interno e del ministero della Difesa fu il governo Renzi. Durante quelle operazioni fu fondamentale il lavoro del team del Labanof guidato dalla professoressa Cristina Cattaneo. Alcuni dei corpi furono identificati, un bambino aveva la pagella scolastica cucita sulla propria giacca.
La storia del barcone è anche quella del Comitato 18 aprile, associazione della società civile di Augusta, in provincia di Siracusa, dove dal 2021 si trova il relitto, al riparo sotto una struttura metallica e ricoperto da un tendone. Il comitato è nato nel 2016 allo scopo di evitare che questo scheletro della memoria fosse distrutto o spostato altrove, per poter così rimanere ad Augusta non lontano dal pontile militare dove si svolsero la maggior parte delle operazioni di recupero dei corpi.

Nel 2019 il relitto fu affidato dal ministero della Difesa alla città di Augusta, che lo concesse in comodato d’uso all’artista Christoph Buchel per esporlo alla Biennale di Venezia. Da quel momento il barcone è noto come la Barca Nostra.
Il naufragio dei diritti
«Con profondo rammarico non è stato ancora realizzato quel giardino della memoria proposto dal Comitato e condiviso con una mozione dal consiglio Comunale», spiega Enzo Parisi, presidente del Comitato 18 aprile. Il giardino della memoria era stato annunciato anche da Papa Francesco durante l’Angelus del 13 giugno 2021: «Questo simbolo di tante tragedie nel Mar Mediterraneo continui ad interpellare la coscienza di tutti e favorisca la crescita di una umanità più solidale che abbatta il muro dell’indifferenza. Pensiamo che il Mediterraneo è diventato il cimitero più grande d’Europa!», pronunciò allora il Pontefice.
Per noi del Comitato 18 aprile il relitto non è solo un reperto da esibire: è un simbolo potente delle tragedie che bisogna fermare, non un monumento triste e muto ma un monito verso l’indifferenza dei potenti, un pungolo, un testimone che parla, anzi grida a tutti noi di non lasciare affogare né le persone, né i diritti
Enzo Parisi, presidente del Comitato 18 aprile
«Dieci anni dopo assistiamo ancora al naufragio dei diritti: nelle carceri libiche, nell’omissione di soccorso, nei respingimenti generalizzati e nelle deportazioni, nella costruzione di muri anziché di ponti, nell’assenza di una buona politica rivolta a sanare conflitti e diseguaglianze, nella indifferenza di un sistema che divora la nostra casa comune ed il futuro dell’umanità, che considera superflui i piccoli, i deboli, i poveri, gli indifesi. A tutti dobbiamo garantire sia il primo diritto, quello di non essere costretti a migrare, sia il diritto alla libertà di cercare la felicità in ogni regione del mondo. Per noi del Comitato il relitto non è solo un reperto da esibire, esso è un simbolo potente delle tragedie che bisogna fermare, non un monumento triste e muto ma un monito verso l’indifferenza dei potenti, un pungolo, un testimone che parla, anzi grida a tutti noi di non lasciare affogare né le persone, né i diritti», conclude Parisi.

La vicenda del barcone del 18 aprile è cara alla Chiesa Cattolica, l’anno scorso a presenziare una toccante cerimonia con le scuole di Augusta è stato monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara e presidente della fondazione Migrantes della Cei. Oggi torna a guardare quel relitto: «Sono passati dieci anni da quel 18 aprile 2015, dieci anni in cui avremmo sperato che le morti in mare non si moltiplicassero, dieci anni in cui abbiamo sperato che la cultura del muro fosse stata sostituta dalla cultura dell’incontro, invece si sono alzati ancora i muri. Dieci anni in cui abbiamo abbandonato la tutela del diritto d’asilo, spostandolo lontano dai nostri occhi fino ai centri in Albania. È tempo di responsabilità, guardando quella barca che è stata ripescata guardiamo alla cultura dell’incontro come unica risorsa del nostro futuro. Guardare il relitto, la barca nostra, per solcare i mari, facendola diventare segno di vita e non di morte».

Altri 20.740 morti nel Mediterraneo nei 10 anni successivi
Dal 18 aprile 2015 almeno 20.740 persone hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Una stima che secondo il Missing Migrants Project dell’Oim è per difetto, in quanto molti naufragi non vengono documentati e restano sconosciuti. Nel 2024 l’Oim ha registrato 1.719 morti, 294 da gennaio 2025. Sono passati dieci anni e la storia di quel relitto che la società civile spera di veder collocato in un “giardino della memoria” continua a interrogare tutti noi.
Foto e testo di Alessandro Puglia
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