Questa è una storia di radici. Barbara Abdeni Massaad è nata in Libano 46 anni fa. È una food writer, «la mia mamma e il mio papà avevano un ristorante». Poi è una fotografa, «sì, perché da giovane il mio papà faceva anche il ritrattista». Il ristorante, il “Kebabs and Things” i genitori l’avevano aperto in Florida. Quando Barbara aveva dieci anni da Beirut si è trasferita con la famiglia in America. «Poi, però», racconta, «il mio papà aveva nostalgia della sua terra. E quando io avevo 18 anni, siamo tornati a casa». Come dicevamo è una storia di radici. Ma non solo quelle che ci riportano nel posto dove siamo nati; non solo quelle che ci portiamo dentro e che passano da padre in figlio. La storia di Barbara è una storia che racconta di radici robuste, fissate dentro, che ti ricordano, prima di ogni cosa, che siamo umani. «Quello che da cinque anni a questa parte succede in Siria è un disastro di enormi proporzioni», spiega Barbara a Vita.it. «Oggi solo in Libano ci sono un milione e mezzo di profughi siriani».
«Quello di due anni fa, nel mio paese, è stato un inverno gelido. I profughi vivevano – e vivono ancora adesso – dentro le tende», dice. «Capitava spesso che i bambini morissero di freddo. Morivano di freddo a pochi chilometri dalla mia bella casa calda nel cuore di Beirut». Il campo profughi di cui parla Barbara è nella Valle della Bekaa, a 40 minuti di auto da casa sua. «Non lo so quante persone ci vivono; in migliaia».
Era l’inverno del 2014 quando Barbara entra, per la prima volta, nel campo di Bekaa. «All’inizio andavo di tanto in tanto; poi sempre di più. I miei nel campo erano diventati appuntamenti fissi. Raccoglievo vestiti, giocattoli, coperte, e il cibo. Ovviamente il cibo. Che poi cucinavo per loro». È così che nasce il libro “Soup for Syria”. Zuppe per la Siria. Un testo che contiene 80 ricette internazionali realizzato anche grazie al contributo di chef, food blogger e scrittori amici di Barbara.
«Ogni volta che entravo nel campo», racconta Barbara, «pensavo sempre “se fossi stata una parrucchiera avrei tagliato gratis i capelli a tutti”. Però ero solo una food writer e sì, anche una fotografa. Così ho pensato “li aiuterò con quello che sono fare. Li aiuterò con il mio lavoro”». Scrivere un libro sulle zuppe non è stata una scelta casuale.
A pagina 47 del libro, una delle scrittrici che ha contribuito alla sua realizzazione, Alice Waters, scrive: «Che sia in tempo di pace o in periodi di crisi, riunire la famiglia e gli amici attorno alla tavola e condividere un pasto è una delle più belle celebrazioni della vita che si possano immaginare. E non c’è niente che scaldi il cuore e il corpo come una scodella di zuppa bollente». La zuppa è il comfort food per eccellenza. Da lì al libro il passo è stato breve. Breve ma non scontato. «Ho iniziato ad andare nel campo profughi sempre più spesso», racconta Barbara.
«Continuavo sempre a cucinare per loro, volevo che si fidassero di me. Altrimenti non si sarebbero mai fatti fotografare». E di foto il libro è pieno. Ritratti di volti – come quelli che scattava il padre – per raccontare che esiste la vita anche dentro un campo profughi. Le fotografie rappresentano tutte immagini di visi catturati da vicino, intimi, immediati.
«Non potevo non andare avanti con il progetto», dice. La prima edizione del libro Barbara l’ha autoprodotta. «Ho stampato un centinaio di copie; le ho vendute a 30 dollari». Con la prima raccolta fondi Barbara ha raggiunto 30mila dollari. Tutti quei soldi sono serviti per pagare le spese mediche ai bambini del campo. Poi, come quelle cose naturali che devono accadere, è partito il motore della solidarietà.
Il primo ad interessarsi al testo è stato l’editore americano INterlink, che aveva già lavorato con Barbara. Nel 2015 la versione USA del testo. Tutto il ricavato va all’Unhcr, alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati. «Abbiamo scelto l’Unhcr perché volevo che si allargasse il raggio d’azione. Non mi volevo fermare ad un solo campo profughi; serviva qualcuno che stesse lavorando a dei progetti precisi per la Siria; poi con degli editori alla spalle, il progetto ha iniziato ad ingrandirsi». Nello stesso anno anche l’editore britannico Pavillion decide di diventare editore del testo Soup for Syria contribuendo non solo con la vendita del libro ma aprendo un crowdfunding sulla piattaforma Justgivin. Le donazioni hanno quasi raggiunto le 50mila sterline. La scorsa settimana il libro di Barbara è arrivato nelle librerie italiane. Sarà presentato a Lingotto a Torino. E di Torino è la casa editrice che l’ha pubblicato; si chiama EDT ed è venuta a conoscenza del progetto attraverso la casa editrice statunitense, anche i ricavi dell’edizione italiana saranno devoluti a Unhcr.
«Non volevo fare un libro di ricette pretenzioso. Volevo solo qualcosa per aiutarli e sollevarsi insieme», dice Barbara. «Nei campi profughi le persone le sfamano. Non muoiono di fame ma deve esserci un po' di qualità in più. Il passa parola è importante perché nessuna persona deve sentirsi esclusa dal potere di agire ad un progetto che è per tutti. Facciamo una comunità. Stringiamoci attorno alla crisi umanitaria più grande che sta segnano l’inizio di questo secolo».
Zuppe per la Siria, ricette, foto e parole che hanno conquistato il mondo
Testi di Anna Spena
immagini di Barbara Abdeni Massaad
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