Le 8 squadre in gara sono arrivate ieri a Lignano Sabbiadoro. Domani alle 18,30 ci sarà la cerimonia di inaugurazione e poi la prima sfida, Italia-Svizzera, mentre la finalissima sarà domenica 1° ottobre alle 17. I campionati mondiali di hockey in carrozzina elettrica si giocano per la seconda volta in Italia, organizzati dalla Federazione Italiana Wheelchair Hockey battendo la candidatura di Praga. In campo scenderanno 80 atleti provenienti da Olanda, Germania, Belgio, Svizzera, Danimarca, Autralia, Canada (la novità di questa edizione) e naturalmente Italia. La prima medaglia è già arrivata, ed è quella del Presidente della Repubblica. Dal canto suo il ct della Nazionale Italiana Wheelchair Hockey, Saul Vadalà, cercherà di confermare e anzi migliorare l’argento che l’Italia ha vinto due anni fa agli europei, battuta solo dall’Olanda, la “regina” del wheelchair hockey, riscattando già allora la brutta performance italiana dei mondiali 2014.
In Italia sono circa 300 gli atleti che praticano il Wheelchair Hockey. Sono persone con disabilità molto diverse fra loro, perché il bello di questo sport è che «permette a persone con disabilità diverse, anche gravi, di praticare uno sport di squadra a livello agonistico». Così la pensa Benedetta De Cecco, responsabile Communication & Marketing dei Mondiali, a sua volta atleta con atrofia muscolare spinale, tesserata nelle fila dell’Alma Madracs, una squadra del Friuli Venezia Giulia il cui nome significa “bisce”, «perché le carrozzine cercano di sgusciare tra gli avversari con un movimento simile a quello del serpente». Il denominatore comune è la carrozzina elettrica, ma in campo possono scendere insieme bambini di 6 anni e adulti di 70, maschi e femmine. Gli atleti convocati nella nazionale italiana ad esempio vanno dai 20 ai 45 anni e quote rosa non ce ne sono: una ragazza si è preparata, ma poi non è rientrata fra i 10 scelti dal coach. La vera particolarità però è che nel wheelchair hockey sullo stesso campo da gioco si affrontano giocatori con una protesi alla gamba e altri con la tracheotomia e il respiratore: «Di ogni atleta viene valutato l'impairment, non la disabilità, con un punteggio che va da 1 a 4 e il totale della squadra non deve superare i 10 punti. In questo modo le squadre risultano equilibrate. Si gioca in 5 contro 5. Sicuramente un giocatore con più forza fisica nelle braccia farà più facilmente goal, ma non è affatto detto che questo giocatore, seppure più appariscente, sia il più bravo. Tecnica e tattica hanno un ruolo importante, così anche gli atleti con disabilità grave, che utilizzano il T-stick e direzionano la pallina muovendo un joystick, contano molto. In realtà c’è un grande riequilibrio all’interno di una squadra», spiega Benedetta.
L'hockey in carrozzina è nato nel 1982 nei Paesi Bassi, da un gruppo di giovani con distrofia muscolare. In Italia è arrivato nel 1991, per iniziativa del Gruppo Giovani della Uildm (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), a cui non sembrava vero aver trovato uno sport praticabile anche in carrozzina e già così diffuso all'estero. In particolare a portare il wheelchair hockey in Italia fu Luigi Maccione, detto Puccio: tradusse il regolamento internazionale, organizzò le prime partite e fece conoscere il gioco in Italia. All’inizio, importò persino le palline e le mazze dall’Olanda. Le prime squadre nacquero tutte da sezioni Uildm, che creavano un gruppo sportivo: anche oggi che le società sportive sono autonome, Uildm rimane un partner importante del wheelchair hockey italiano. L’obiettivo di Puccio – ricorda la madre in un libro – «non era fare sport» ma «far muovere i giovani» e «farli uscire di casa», che fosse l’hockey o un'altra cosa «non aveva importanza». Anche Benedetta sottolinea il valore sociale del fare sport: «Sono nella squadra dal 2010, siamo 10 atleti, frequentavamo tutti la Uildm ma prima di giocare insieme non c’era fra noi un rapporto. La squadra crea legami importanti, di amicizia, ma utili anche per confrontarsi sulle problematiche legate alla disabilità, sugli ausili, sull’assistenza».
Questi Mondiali sono un’occasione importante per far dare visibilità al movimento a livello italiano e mondiale e avvicinare allo sport anche persone che pensano di non poterlo fare. È questo l’intento, rendere il Wheelchair Hockey più accessibile a più persone e l’hashtag che abbiamo scelto, #asneverbefore, vuole segnare proprio questa ripartenza.
Stefano Occhialini, chairman del Comitato organizzatore dei mondiali
Stefano Occhialini è il chairman del Comitato organizzatore dei mondiali: socio Uildm di Ancona, dal 1997 è atleta della ASD Dolphins Ancona. Nel 2004, quando in Finlandia si giocarono i primo mondiali di wheelchair hockey, lui era nella nazionale italiana. «Questi mondiali sono un’occasione importante per far dare più visibilità al movimento a livello italiano e mondiale e avvicinare di conseguenza allo sport anche persone che pensano di non poterlo fare. È questo l’intento, rendere il WH più accessibile a più persone e l’hashtag che abbiamo scelto, #asneverbefore, vuole segnare proprio questa ripartenza. Poi certamente i risultati sportivi contano e come federazione speriamo di fare bene… Di strada ne abbiamo fatta tanta, sarà un mondiale con un livello medio alto e tante sorprese».
«Crediamo sia il momento di fare un salto, non tanto da un punto di vista sportivo e tecnico ma organizzativo e promozionale, perché purtroppo questo è uno sport ancora poco conosciuto e poco considerato. Anche perciò abbiamo investito molto sulla parte extra-partite e sulle iniziative collaterali, ad esempio studiando bene la cerimonia di apertura che vedrà la partecipazione di artisti nazionali. Abbiamo Federica Pellegrini come testimonial. Tutto sarà trasmesso in streaming di alta qualità sul sito del mondiale www.italy-2018.com», conclude Benedetta.
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