Carlotta Gilli

Vinco per me e per gli altri

di Nicola Varcasia

A meno di due mesi dai Mondiali di nuoto ha affrontato una delicata operazione. Si è ripresa alla grande vincendo quattro medaglie. Ancora meglio aveva fatto alle Paralimpiadi di Tokyo 2020, con l’inseparabile compagna di squadra Alessia Berra. Il soprannome "Wonder" è perfetto per raccontare la sua incredibile avventura sportiva e di impegno sociale. Alla faccia del "buio"

È soprannominata “Wonder Gilli”. D’altra parte, Carlotta ha vinto due ori paralimpici a Tokyo 2020, quattro medaglie ai mondiali dello scorso giugno e un’altra pioggia di titoli ai campionati nazionali assoluti di inizio luglio. Ma questa nuotatrice tenace e gentile, classe 2001, studentessa di psicologia e molto impegnata in varie iniziative con finalità sociale, ha anche molto da raccontare.

Carlotta, come ha costruito i successi di questa stagione?

È stato un anno veramente difficile. Ad aprile sono stata operata per un rarissimo problema al collo. All’inizio nessuno voleva effettuare un intervento così complesso. Comunque, sono uscita sana e salva dopo quattro ore di sala operatoria. Ma a giugno c’erano i Mondiali in Portogallo. Ho detto ai medici di voler tornare presto in acqua per disputare tutte le mie gare nonostante una condizione non ottimale.

Ha fatto bene a partire per Funchal…

Le gare sono andate come potevano: i riscontri cronometrici non sono stati quelli che volevo, ma era già un miracolo essere lì e, in un certo senso, lo è stato anche vincere un oro, un argento e due bronzi con il poco allenamento che avevo alle spalle!

Scala quattro podi iridati e pensa al crono?

In effetti, tornata dal mondiale ero più che soddisfatta. Mi sono presa giusto qualche giorno di pausa e poi ho cominciato a nuotare in vista dei campionati nazionali assoluti. Volevo vedere tutti i miei compagni, stare con loro, divertirmi e naturalmente gareggiare: ho vinto tre titoli nelle tre gare che ho disputato.

Che atmosfera si respira tra voi atlete?

A livello nazionale siamo tutte amiche, non riusciamo neanche a considerarci avversarie. Giriamo il mondo assieme, loro sono l’unico appoggio, ci sosteniamo l’un l’altra. La mia avversaria diretta, se così si può definire, è Alessia Berra, che ha qualche anno più di me. A Tokyo, alla batteria della prima gara ero agitatissima, mi sembrava di non essere più capace nemmeno di tuffarmi. Lei mi fatto capire che alla fine era una gara come un’altra, anche i telecronisti scherzando l’hanno definita la mia “mamma chioccia”. Abbiamo gareggiato insieme e insieme siamo andate sul podio, è stato meraviglioso.

A livello internazionale è lo stesso?

Con le altre atlete ci teniamo in contatto durante l’anno anche grazie ai social, ma lì prevale un po’ di più la parte competitiva, siamo in gara per affrontarci e ognuna di noi vuole vincere.

Lei esprime sempre una grande positività, come riesce a non provare rancore verso una malattia che da bambina le ha portato via la vista fino agli attuali 1/10?

L’ho sempre presa con filosofia. La malattia è comparsa all’età di sei anni ed è degenerata velocemente per poi stabilizzarsi. Non sono mai stata lì a farmi tante domande, del tipo: “Perché a me?”. Ho sempre pensato che fosse semplicemente una perdita di tempo. Se la malattia aveva scelto me, un motivo c’era. Da quel giorno avremmo dovuto condividere la vita e andare a braccetto in questo viaggio. Per me la normalità è questa. Non ci faccio molto caso, faccio quello che devo fare, ovviamente con difficoltà e ostacoli da superare.

Come ci si orienta in quello che lei stessa hai definito buio? Si può da soli?

La componente principale la fai da solo, per forza. Non è per cattiveria delle persone che ti stanno vicine, ma sei tu che la vivi, sei tu il protagonista indiscusso in questa situazione che deve “digerire” questa cosa. Gli altri ti possono aiutare, ma tante cose non le possono capire e sapere. Dopodiché, la famiglia in primis è la più importante. Scopre il problema con te, inizia a condividerlo con te e ti conosce. Negli anni si aggiungono gli amici che condividono con te la vita di tutti i giorni. Perciò il ruolo degli altri è fondamentale, su questo non si discute. Ma il primo passetto devi farlo da solo.

Si è mai scontrata con il problema degli haters?

Rispetto alla malattia no, probabilmente è stata una fortuna mia, caratterialmente non vado a cercare grane, mi sono sempre trovata bene con i compagni di scuola e di nuoto di tutte le età. Una volta un professore mi osteggiava rispetto al nuoto, ma questo è un altro discorso.

Lei è la madrina della campagna #CampioniOgniGiorno promossa da Procter & Gamble. Quali sono le finalità e il suo obiettivo personale?

È un grande onore e sono felicissima di essere l’ambassador di questa campagna nata per aiutare le persone e l’ambiente. L’obiettivo è realizzare 2 milioni e 26 mila azioni concrete nel tempo che ci separa dai Giochi olimpici e paralimpici Milano Cortina 2026. Questi sono gli stessi messaggi che desidero portare avanti io in prima persona: attraverso le mie gesta sportive e le mie vittorie riuscire ad aiutare gli altri.

È per questo che ha scelto di utilizzare la sua immagine per aiutare gli altri?

Sì, e per la stessa ragione sono diventata ambassador di Telethon e collaboro attivamente con la Croce Rossa: vorrei far sì che le piccole gioie che ricevo dal nuoto, in qualche modo, possano essere condivise con altre persone meno fortunate di me. Magari anche solo attraverso un piccolo gesto, parola o iniziativa, regalando loro un sorriso o un momento di spensieratezza.

Chi è Carlotta Gilli oggi?

Una donna come tutte le altre che ha una grande passione per lo sport, il nuoto e che fin da piccola sognava di andare alle Olimpiadi e vincerle. L’anno scorso a Tokyo il sogno si è realizzato. Una ragazza che vuol portare avanti la carriera universitaria e al contempo cercare il più possibile, nel suo piccolo, di poter aiutare e fare qualcosa anche per gli altri.

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