La solidarietà non è una cosa per pochi. E finalmente è tornata con un programma tutto dedicato a lei “L’Italia che fa”, in onda su Rai2 tutti i giorni alle 16.10, dal lunedì al venerdì. Un programma fortemente voluto da Fondazione Cariplo e altre Fondazioni per dare visibilità a quella che il Presidente Mattarella ha definito “L'Italia più bella e pulita che ogni giorno opera con grande generosità”. Il programma partito a inizio giugno è cresciuto arrrivando in questi giorni al suo giro di boa. Ogni settimana si raccontano 4 storie di comunità locali coinvolgendo le persone da casa, gli attori e i beneficiari dei progetti. La conduzione è affidata a Veronica Maya. «Credo», racconta nell'intervista, «che sia fondamentale togliere il cono d’ombra da un comparto di persone che si occupano e lavorano con il sociale per il bene di tutti. Il Terzo Settore è ricchissimo di competenze. È una grande risorsa per il Paese e abbraccia tematiche contemporanee».
Quando ti hanno proposto la conduzione de “L’Italia che fa”?
Il programma ha avuto una lunga gestazione. L’idea è cresciuta e si è evoluta poco alla volta. Con l’emergenza Coronavirus siamo, come tutti, finiti un po’ nel vortice dell’incertezza. “Parte, non parte”, ma alle fine – e per fortuna – è partito e mi sono ritrovata in questa grande famiglia. Abbiamo iniziato a girare a fine maggio, le maglie del lockdown si iniziavano ad allargare, e il primo giugno è andata in onda la prima puntata. Adesso mi sembra di esserci dentro da sempre, e di conoscere il mio gruppo di lavoro da una vita. Mi sento davvero in sella al programma ed è gratificante e produttivo lavorare con questo entusiasmo. C’è un clima e una voglia di fare che fa bene a tutti.
L’ultima puntata andrà in onda il 31 luglio, ci sarà un seguito?
Vedremo. Non mi piace fare le cose “troppo brevi”. In televisione soprattutto i progetti hanno bisogno di tempo per respirare, crescere, fidelizzare il pubblico. Quello che posso dire è che sarebbe un vero peccato lasciar cadere questo esperimento riuscito dove il Terzo Settore lo raccontiamo in modo un po’ pop.
Io sono una privilegiata e riesco a coinciliare famiglia e lavoro. Ma in Italia le donne non vengono tutelate abbastanza
Veronica Maya
Quanto è importante un programma che “guarda agli altri” soprattutto in questo momento così delicato per tutti?
Non salviamo l’Italia o gli italiani. Ma credo che sia fondamentale togliere il cono d’ombra da un comparto di persone che si occupano e lavorano con il sociale. Il Terzo Settore è ricchissimo di competenze e in Italia lo si conosce poco o per niente. Oggi in molti lo immaginano come qualcosa di “improvvisato”. O ancora “mi avanza un po’ di tempo e lo dedico a questo progetto”, “ho un po’ di soldi in più li do in beneficenza”. Al contrario il Terzo Settore è estremamente organizzato, produttivo, abbraccia tantissimi temi: dal lavoro all’energie rinnovabili, dalla cura all’innovazione tecnologica. E poi parla di tutti, si rivolge a tutti, riguarda tutti. E allora credo sinceramente che “L’Italia che fa” sia un programma che da un lato sensibilizza su certi temi ma dall’altro fa davvero chiarezza sul mondo delle associazioni, fondazioni, cooperative e ne mostri tutto il loro potenziale.
Condurre il programma ti ha avvicinato a questo mondo?
Il mondo del sociale mi ha sempre interessata. Ed in qualche modo ha sempre fatto parte delle conduzioni che facevo. Come Uno Mattina o Lo Zecchino d’oro. Proprio con lo Zecchino d'Oro, ad esempio, per tanti anni ho seguito i progetti dell’Antoniano onlus, mettendoci cuore e faccia. È un mondo che ha molto a che fare con la mia vita e ho sentito la responsabilità di doverlo raccontare nei tanti programmi che ho condotto negli ultimi 17 anni. Ma tra tutte le conduzioni questa per me è la più difficile. Studio molto e ogni puntata è diversa, c’è tanto da imparare, non si può improvvisare con un programma così.
Il Terzo Settore non fa assistenzialismo ma è un mondo strutturato che rappresenta una grande risorsa per il Paese
Veronica Maya
Ci sono delle storie o dei temi rispetto ai quali sei particolarmente sensibile?
Le storie sono tutte di belle, sia chiaro. Di riscatto, di rivincita, di lavoro. Ma io rimango particolarmente coinvolta in quelle dove i protagonisti sono le persone più anziane. Sono veramente una risorsa e mi piace guardare e raccontare dei progetti che hanno a cuore questa fascia d’età. Io ho un nonno di 93 anni, un pozzo di saggezza, umanità e conoscenza. Il tempo passato con lui è un tempo prezioso, sia per me, che per i miei tre figli. Mi coinvolgono molto anche i progetti che favoriscono l’autonomia dei ragazzi che vivono in una condizione di fragilità, che sono disabili. Io ho tre figli normodotati, come si dice adesso, ma il loro futuro mi preoccupata tantissimo, penso a quando dovranno camminare da soli, senza di me. E quindi posso solo immaginare come questa preoccupazione del dopo si amplifichi quando i nostri figli hanno una fragilità. Perciò credo sia fondamentale investire in progetti che sviluppino per loro percorsi di autonomia, sia fisica che lavorativa. Sono questi due temi qua che mi aprono la mente e il cuore.
Vivi a Napoli e sei mamma di tre bambini di 8,7 e 4 anni. Come concili tutto?
Io sono molto fortunata, una privilegiata. Non lavoro tutti i giorni o tutti i mesi dell’anno. Passo molto tempo a casa e posso valutare quali lavori accettare. Scelgo lavori che non mi tengono per troppo tempo lontano da casa e che comunque mi gratificano. Questo mi consente di conciliare famiglia e lavoro senza sensi di colpa. Quando non lavoro, non vengo pagata. C’è ancora troppa poca tutela per le donne che scelgono la libera professione. Ma a prescindere da questo, nonostante sia consapevole del mio privilegio, so che è una gran fatica conciliare tutto, non è facile. E in Italia lo è ancora di meno. Le donne sono sottopagate, subiscono mobbing negli ambienti di lavoro quando rientrano da una maternità. Credo che da questo punto di vista non siamo un Paese civile, ed è molto frustrante questa cosa.
Cosa hai imparato e ancora stai imparando dal mondo del sociale?
Che non fa assistenzialismo, che sa camminare molto bene con le sue gambe, è una grande risorsa per il Paese e abbraccia tematiche contemporanee. Quindi riguarda tutti. E sono anche queste consapevolezze che sto cercando di trasferire al pubblico che ci segue. Poi dal punto di vista umano ogni giorno è una ricchezza. A 42 anni e dopo 17 anni di conduzioni ho imparato che certe storie bisogna ascoltarle senza interrompere, ad avere rispetto di quello che ti stanno raccontando.
L'Italia che fa è un programma di Marco Falorni e Andrea Frassoni con la consulenza di Riccardo Bonacina. Regia Giovanni Caccamo, direttore della fotografia Giorgio Gorgatti, scenografia Barbara Fizzotti.
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