Mariano Giustino

Vi racconto il Medio Oriente ma senza ipocrisie

di Paolo Manzo

Mariano Giustino (Archivio personale)
L'autore e conduttore su Radio Radicale della rubrica «Rassegna Stampa Turca», Mariano Giustino, ha parlato con noi di molti temi: dalle recenti elezioni iraniane alla Turchia alla percezione di quanto accade in Medio Oriente, dal rischio islamofobia al vero dramma, ovvero le politiche migratorie errate cavalcate da alcuni partiti

Mariano Giustino non è solo lo storico corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia nonché firma dell’Huffington Post, che per «l’impegno, la qualità e il rigore del suo lavoro» ha ricevuto Il Premiolino 2024, ma anche uno dei più acuti osservatori italiani di Iran e di Medio Oriente. Vive da anni in Turchia, prima ad Ankara ed Istanbul, oggi a Smirne (Izmir). VITA lo ha intervistato.

Dopo le elezioni di venerdì scorso in Iran, Giustino ha postato un tweet assai critico sulla terminologia usata da tutte le agenzie mondiali e dai grandi media internazionali, compresi quegli italiani, sul nuovo presidente eletto che hanno definito «moderato» e «riformista».

Ci spieghi il perché di questo tuo tweet?

Perché in Iran di riformista o di moderato non c’è nulla. Sono categorie coniate dalla Repubblica islamica per gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Inoltre, Masoud Pezeshkian è un fantoccio della Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei. Le elezioni non sono né libere né eque e, tantomeno, competitive. È il Consiglio dei Guardiani della rivoluzione, costituito da 12 membri tutti scelti dalla Guida Suprema, che nomina i candidati eleggibili. Quindi possono presentarsi pure in 2.000, anche con intenzioni davvero riformatrici, ma vengono sistematicamente eliminati.

Come viene eliminata l’opposizione? 

In Iran non esistono formazioni politiche di opposizione, sono vietate. I loro leader o sono stati impiccati, o sono in galera e torturati oppure sono dovuti scappare all’estero.

Chi è dunque Pezeshkian?

Un candidato di scarsissimo peso e séguito, al pari dello sconfitto, l’ultraconservatore Jalili Saidi. Nessuno dei due avrebbe mai creato problemi al potere del clero sciita e, di conseguenza, andavano bene. Del resto, la Presidenza della Repubblica in Iran non ha voce in capitolo sulla politica estera né sugli aspetti sociali, i diritti civili e lo stile di vita.

Per quale motivo? 

Perché chi comanda è Khamenei e la vita degli iraniani è regolamentata dalla legge islamica, la Sharia. Anche sulla questione del velo Pezeshkian non ha competenze, per non dire che quando era primario in ospedale aveva imposto l’obbligo del velo integrale a tutto il personale. Quindi la narrazione che sia un «riformista» è una fantasia. 

Personaggi come Pezeshkian sono funzionali alle autorità per rendere il sistema irriformabile, sono una specie di scudo con cui si fa credere che le elezioni in Iran siano competitive e che siano gli iraniani a eleggere il loro presidente, e non la Guida Suprema

Magari era «riformista» in gioventù?

Nel 1979, all’inizio della rivoluzione khomeinista, nella sua università era a capo di un gruppo di fanatici sciiti che attaccavano le studentesse senza il hijab, accoltellandole. È stato leader di gruppi di estrema destra che in quegli anni aggredivano e uccidevano giovani oppositori della rivoluzione islamica. Cavavano addirittura gli occhi ai comunisti del partito iraniano Tudeh, il partito delle masse attualmente fuori legge, fondato nel 1941. Fece particolarmente scalpore un episodio agghiacciante di cui si parlò molto all’epoca: un giovane studente, accecato, ucciso, ed il cui corpo fu smembrato e i pezzi gettati nelle strade della cittadina natale di Pezeshkian. Questo è il suo passato «riformista».

Come spiega l’astensionismo record?

La popolazione iraniana è delusa e ormai i cosiddetti riformisti hanno perso la loro scommessa e la faccia dopo tanti anni di propaganda e potere. Personaggi come Pezeshkian sono funzionali alle autorità per rendere il sistema irriformabile, sono una specie di scudo con cui si fa credere che le elezioni in Iran siano competitive e che siano gli iraniani a eleggere il loro presidente, e non la Guida Suprema. Inoltre, nella Repubblica islamica non si vota per il Parlamento ma per l’assemblea consultiva islamica, che è paragonabile al comitato centrale del Partito comunista cinese.

Ma il regime iraniano ha detto che ci sarebbe stata un’affluenza del 50%

I dati sono molto gonfiati. Poi se calcoliamo che i dipendenti pubblici sono minacciati di licenziamento se non votano, al pari degli studenti cui altrimenti viene vietato di sostenere gli esami, è palese che l’autocrate ha bisogno della legittimazione internazionale. 

Perché Khamenei ha puntato su Pezeshkian?

Nelle condizioni di crisi che sta vivendo l’Iran, vuole rilanciare l’accordo sul nucleare nella speranza di togliere le sanzioni e dare respiro all’economia per mitigare il malcontento. Inoltre, la questione dell’apartheid di genere sta mettendo in crisi il il regime. Quindi è utile per Khamenei avere un presidente come Pezeshkian che, come tutti i leader iraniani, punta sull’accordo sul nucleare.

Nelle università europee ed americane, c’è una visione fantasiosa di Hamas, Hezbollah e gli Houthi, che vengono dipinti come “partiti” vicini al popolo palestinese che agirebbero per la sua liberazione. È una narrativa completamente smentita dai fatti

L’Iran non può essere analizzato senza guardare a Gaza, alla Siria, alla Turchia, allo Yemen. Come si percepisce in Italia questo mondo mediorientale?

Possiamo fare un parallelismo tra il popolo iraniano e quanto accade nelle università europee ed americane, dove c’è una visione fantasiosa di Hamas, Hezbollah e gli Houthi, che vengono dipinti come “partiti” vicini al popolo palestinese che agirebbero per la sua liberazione. È una narrativa completamente smentita dai fatti e l’Iran è dietro queste organizzazioni. Hezbollah l’ha fondata, Hamas la finanzia e la sostiene al pari della Jihad islamica e degli Houthi.

Gli iraniani si oppongono al fatto che Teheran sostenga Hezbollah, Hamas, Jihad islamico e gli Houthi. Una fascia crescente della popolazione sostiene che siano state dissipate risorse economiche per nulla

In realtà è una lotta di potere e di influenza che Teheran porta avanti in Medio Oriente, dove è presente in almeno quattro paesi, Siria, Iraq, Yemen e Libano, con i Guardiani della Rivoluzione, le forze Quds e i suoi proxy per costruire quella “mezzaluna sciita” che che va fino al Mediterraneo e che nella visione della rivoluzione islamica deve poi conquistare il mondo. Non dimentichiamo che nella loro Costituzione è scritto che il paese aspetta il Madi, il Salvatore, l’ultimo imam che salverà il pianeta. Questa è la visione della Repubblica Islamica e gli iraniani lo sanno bene e per questo si oppongono al fatto che Teheran sostenga Hezbollah, Hamas, Jihad islamico e gli Houthi. Una fascia crescente della popolazione iraniana sostiene che siano state dissipate risorse economiche per nulla.

Alla manifestazione di solidarietà a Roma “Donna, vita, libertà” c’era pochissima gente. Come lo spieghi?

È una questione solo ideologica. La Repubblica islamica è antiamericana, Israele è vicina agli Stati Uniti ed in Italia c’è molto antiamericanismo. Questa distorsione di base spiega la scarsa partecipazione alle manifestazioni che denunciano i crimini dell’Iran. 

Con l’islamofobia l’Occidente rischia di fare gli interessi di regimi sanguinari come l’iraniano? 

C’è una una questione molto equivoca sul dibattito sull’islamofobia che non credo in Occidente di fatto esista. Piuttosto parlerei di una politica errata di integrazione ed accoglienza, ma che ci siano forze politiche contro l’immigrazione non ha a che vedere con l’islam. Certo, questa politica completamente sbagliata è sfociata in un dibattito sull’islamofobia, che sembra essere più una sorta di sudditanza psicologica verso qualcosa di cui si ha paura di urtare la suscettibilità,

Come è iniziato il tuo amore per i radicali? 

Risale al primo voto nel 1976. Avevo appena compiuto 18 anni e li votai perché mi avevano incuriosito sui diritti civili e le libertà individuali. Allora c’erano temi importanti come la fame nel mondo. Con i radicali ho scoperto la non violenza, i digiuni e una modalità diversa di fare politica. Poi sono nati i primi contatti e da allora ho fatto il mio percorso all’interno del partito, come militante al fianco di Pannella e la mia passione per la politica internazionale mi ha portato nel 1999 a fondare la rivista “Diritto e Libertà”.

Come sei arrivato in Turchia?

Fui invitato da Emma Bonino nel 2004 a un convegno, dopo che il Parlamento europeo diede il via libera al processo di adesione di Ankara alla Ue. Fu un momento importante, ci si interrogava su come sostenere il paese e dedicai un numero di “Diritto e Libertà” alla Turchia. Ho iniziato le mie prime corrispondenze nel 2010 e dopo Ankara ed Istanbul, ora vivo a Izmir.

La Turchia è oggi un osservatorio molto interessante dove, quando sembra che tutto sia perso, la speranza si riaccende

Perche? 

Oggi qui ci sono grandi prospettive, per l’opposizione in particolare. Oramai la Turchia è completamente cambiata e rispetto a qualche anno fa è cresciuta molto, la popolazione ancora giovane si vuole esprimere. Inoltre, la politica è dinamica, ci sono molti leader e i turchi vogliono fare politica come si vede dall’affluenza alle urne. Quindi se la possibilità di integrazione nell’Unione europea è crollata, la Turchia è oggi un osservatorio interessante dove, quando sembra che tutto sia perso, la speranza si riaccende. 


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