Dario Cirrincione

«Vi racconto chi sono i figli dei boss»

di Anna Spena

“Figli dei boss, vite in cerca di verità e riscatto” è un libro, edito da edizioni San Paolo, di storie e di storia. L’autore incontra e racconta questi ragazzi nati e cresciuti in famiglie di Mafia, Camorra, ’ndrangheta e Sacra corona unita, questi “eredi”, protagonisti consapevoli o inconsapevoli della storia della criminalità organizzata italiana. I diritti d’autore verranno devoluti in beneficenza al Centro di studi ed iniziative culturali Pio La Torre Onlus

Qualche settimana fa è rimbalzata su tutti i media la notizia della presenza di Antonio Piccirillo, figlio di un boss di camorra che ha partecipato alla manifestazione “DisarmiAmo Napoli", che si è svolta a Piazza Nazionale, dopo che un proiettile ha ferito la piccola Noemi di 4 anni. Antonio in piazza ha urlato: “amo mio padre, ma non o stimo. Invito tutti i figli di camorra a dissociarsi da questa cultura che non paga, è priva di etica e valori. La camorra è sempre stata ignobile”. Quanti sono i giovani come lui?

Il giornalista Dario Cirrincione si occupa di questo tema da diverso tempo. E il suo lavoro di ricerca e interviste è diventato un libro bello e umano, fatto di storie per raccontare tutta la storia.

L’opera di Cirrincione racconta uno spaccato dell’Italia conosciuto solo superficialmente: i figli dei boss. Nati e cresciuti in famiglie di Mafia, Camorra, ’ndrangheta e Sacra corona unita, questi “eredi” sono protagonisti consapevoli o inconsapevoli della storia della criminalità organizzata italiana. I “figli” sono considerati boss di diritto, anche se non vogliono; perché portano il cognome di chi negli anni ‘70, ‘80 e ‘90 ha scritto alcune tra le peggiori pagine della cronaca nera nazionale.

Il libro “Figli dei boss, vite in cerca di verità e riscatto”, edito da edizioni San Paolo, si sviluppa in tre sezioni: la prima dedicata ai figli dei boss che hanno cercato e trovato una strada alternativa ai circuiti criminali familiari; la seconda dedicata al progetto “Liberi di scegliere”, rivolto ai minori figli di ’ndrangheta; la terza focalizzata sui figli di Riina e Provenzano: boss mafiosi tra i più noti in Italia.

«Una delle prime persone che ho provato a intervistare», scrive Cirrincione in una nota, «è il figlio di uno dei più temibili boss mafiosi che ha scritto alcune tra le pagine più nere della nostra storia. Il giovane non ha mai commesso un illecito ed è sempre stato lontano dalla criminalità organizzata. “Non me la sento di parlare” mi disse durante una delle tante telefonate che feci per convincerlo a farsi intervistare. Questa società non è pronta a sentirci raccontare. Se vuole possiamo parlare un po’ al telefono, ma la mia identità deve rimanere nascosta”. Parlammo più di mezz’ora e ad un certo punto mi disse: “Dottor Cirrincione, la mentalità non cambia. Noi siamo “i figli del male”, lo capisce vero? Figli del male! Noi non siamo persone, noi siamo e saremo per sempre i figli di… e io pago il fatto che sono figlio di mio padre.

Lei vuole fare questo libro? È pronto a scontrarsi con un muro di gomma”».

Com'è nata l'idea di "Figli dei boss – vite in cerca di verità e riscatto"?
L'Italia è il paese dei figli di. Molti dei giornalisti famosi sono figli di giornalisti, lo stesso dicasi per i medici, gli avvocati, i notai, i politici, ecc… E quindi mi sono domandato se i figli dei boss delle mafie seguissero in qualche modo la regola. Per fortuna non è così e ho raccolto e raccontato una decina di storie belle ed emozionanti di giovani che hanno scelto, o almeno hanno provato a scegliere, altre strade alternative a quelle criminali.

Perché hai deciso di scrivere questo libro?
Ho voluto dimostrare che è ancora possibile portare avanti un giornalismo puntuale, elegante, non urlato né timoroso. Questo non è l’ennesimo libro di mafia. È un libro che raccoglie storie vere ed è un libro che tra le righe fa emergere la speranza di tutti coloro che cercano, nella loro vita, la verità e il riscatto.

Quanto i destini di un figlio sono legati a quello di una famiglia criminale?
Non si può dire quanto, non è un fenomeno calcolabile. La mia idea è che alcuni figli dei boss riescano a scindere perfettamente la figura del genitore – padre o madre – da quella del criminale, ma ciò non significa che non prendano le distanze. Aver scelto di rinunciare all’eredità del ruolo criminale, infatti, è una grandissima forma di distanza. Ci sono poi i figli dei boss “negazionisti” e i “fatalisti”. I primi, nonostante le sentenze e le condanne, negano a se stessi che il padre con cui giocavano da piccoli sia anche un feroce criminale; i secondi pronunciano spesso la frase “mio padre non aveva scelta”.

"Chi è figlio di un boss è un criminale dalla nascita". Come si può sfatare questo luogo comune?
Questo più che un luogo comune è un pregiudizio che sfocia quasi nella discriminazione. Chi è figlio di un boss prima di tutto è un essere umano ed è giusto che abbia la sua identità. Può essere giovane, vecchio, occupato o disoccupato. Ma prima di apostrofarlo come il figlio del boss è giusto dare dignità alla sua persona. Per superare questo pregiudizio bisogna spingersi oltre quel limite della “paura da contaminazione”. Non tutti i figli dei boss sono criminali. Non tutte le persone che incontrano o frequentano figli di boss rischiano di essere considerati “affiliati”

Quanti "figli" hai incontrato durante la tua esperienza lavorativa?
Ho contattato una ventina di figli di boss delle diverse mafie italiane: cosa nostra, la camorra, la ‘ndrangheta e la sacra corona unita. Poi ho incontrato una decina di questi ragazzi, alcuni anche più di una volta prima di realizzare l’intervista.

La storia che ti ha colpito di più?
Tutte le storie mi hanno colpito allo stesso modo, altrimenti – cosa che è accaduta in un paio di casi – non le avrei ritenute idonee per essere raccontate. Ognuna ha un particolare che mi è rimasto impresso, perché sono tutte diverse e ugualmente emozionanti. La maggior parte dei figli dei boss ha avuto consapevolezza di ciò che erano i loro padri o le loro madri tra i 7 e i 9 anni; alcuni durante la prima fase dell'adolescenza. In molti casi i ragazzi hanno appreso la verità nel peggiore dei modi: quotidiani, tv, carte processuali trovate a casa o discussioni origliate in famiglia. Uno dei ragazzi mi ha raccontato di avere visto il padre in piedi per la prima volta solo in età adulta: un modo elegante per spiegarmi che era detenuto in regime di carcere duro e lo vedeva dietro un vetro già seduto su una sedia. Ci sono poi storie di bambini che hanno festeggiato i compleanni senza gli amici perché a casa del boss non andavano a giocare; o ancora di storie d’amore mai vissute perché gli altri avevano paura.

Dario Cirrincione, nato a Palermo nel 1983. Giornalista professionista dal 2009. Ha iniziato questo mestiere a 17 anni, a Palermo, lavorando al Giornale di Sicilia e a Tgs; poi ha collaborato con Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, l’agenzia di stampa Italpress e riviste settoriali. Dal 2010 a Sky Tg24 ha curato il coordinamento editoriale onair e online del Tg e il settimanale di approfondimento Hashtag24. È stato inviato a Cipro durante la crisi del 2013, a Bruxelles e Strasburgo per seguire l’attività dell’Ue; in Austria e Ungheria per raccogliere le storie di immigrati e rifugiati. Oggi lavora nelle Media Relations di Terna S.p.A.

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