«Stasera ho ricevuto uno dei doni più belli della mia vita. Tutti i genitori della mia classe e tutti i bambini mi hanno salutato. E lo hanno fatto comprendendo pienamente il mio gesto di andarmene in anno sabbatico per restare a testa alta, per non diventare schiavo di nessuno, per continuare a credere in una scuola dove ha valore il voto di fare il maestro e non i voti; per essere credibile di fronte ai miei ragazzi; per dimostrare loro che la libertà ha un prezzo, che la Costituzione non si insegna si vive. Continuerò a fare il maestro tra i ragazzi di strada a Palermo. Una scelta che loro hanno compreso. Questo biglietto, per nulla casuale, con questa frase di Falcone, è uno dei doni più belli insieme alla loro presenza. Il "resto" non conta nulla. Ma proprio nulla»
Questo è il post che Alex Corlazzoli ha pubblicato sulla sua pagina Facebook lo scorso due ottobre. A volerlo cercare nella sua bacheca si deve scorrerla di un po’, un bel po’. Piena com’è di appunti, articoli, pensieri che assomigliano ad un flusso di coscienza che senza interporre veli tra noi e loro ci dicono, ripercorrendo la frase di Dostroiesky, “La bellezza salverà il mondo”. E che la bellezza salverà il mondo Alex Corlazzoli, 42 anni, “maestro – giornalista – viaggiatore” come lui stesso si definisce, ci crede davvero.
«Nella vita non avevo previsto di fare l’insegnante. Ho sempre sognato di fare il giornalista. Anzi da bambino avrei voluto fare il prete», racconta. «Sono nato in campagna da una famiglia di operai, dove libri e giornali, in casa, non esistevano. Mi sono iscritto al liceo e ho terminato il mio curriculum scolastico alle magistrali».
Attualmente collabora con il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Donna Moderna e Focus Junior; conduce le rubriche Dietro la lavagna e La nota a Radio Popolare ed è spesso ospite di trasmissioni televisive come opinionista. All’insegnamento ha unito il volontariato in carcere per dieci anni, nei campi nomadi a Firenze e tra i ragazzini dei quartieri più difficili a Palermo. Nel 2008 ha fondato l’associazione “L’Aquilone”, che si occupa di integrazione dei migranti.
Ha pubblicato tra gli altri: Riprendiamoci la scuola (2011), L’eredità (2012), entrambi per Altreconomia, La scuola che resiste (Chiarelettere, 2012), Tutti in classe (Einaudi, 2013), Gita in pianura (Laterza, 2014), #lacattivascuola (Jaka Book, 2015); Sai maestro che da grande voglio fare il premier (Add, 2015), scritto con un suo ex alunno. Ma al primo posto c’è il mestiere di maestro che, come ha raccontato nel suo post pubblico, per un anno lascerà. «Non smetterò di insegnare. Lo farò solo fuori dagli spazi canonici».
L'unico modo per comprendere fino in fondo la sua scelta è provare a conoscere meglio lui.
Raccontaci di te
Sono nato a Crema 42 anni fa. Ma non appartengo a questo luogo. Non mi sento legato a questa terra. O meglio, sono di questa terra ma anche africano, il mio primo viaggio, a 18 anni, l’ho fatto in Mozambico; me ne aveva parlato la mia maestra Teresa alle elementari, suo nipote faceva il missionario lì. Sono siciliano, sono 25 anni che frequento questa terra. Viaggio tanto. E appartengo a tutti i posti.
Un maestro viaggiatore
Non si può fare il maestro senza aver esperito, toccato con mano, parlato altre lingue, guardato facce differenti da quelle che consociamo già. Ho fatto solo il giornalista fino a 30 anni. Ma non volevo più scrivere solo “cose per altri”. Sono cresciuto negli anni Novanta, Falcone e Borsellino sono i miei eroi. Rita Borsellino una mamma. Così ho scelto di essere “libero”. Ho tirato fuori dal cassetto il mio diploma magistrale e sono diventato maestro. Maestro non è una vocazione, ma un mestiere straordinario. Io ho sempre la valigia pronta, ho viaggiato e viaggio tantissimo. Il viaggio è una formazione per gli insegnanti. Anzi, direi che è uno degli strumenti essenziali per poter insegnare. Colui che insegna lascia un traccia, non si può parlare di geografia senza averla vista, esperita. Non si può parlare di Trieste senza essere stati alla Risiera di San Sabba. Non si può parlare del giorno della memoria senza essere stati in un campo di concentramento. Non è vero che non abbiamo il tempo e che ci mancano i soldi, è una questione di scelte. Oggi i nostri ragazzi ci chiedono di essere credibili più che credenti. Se uno vuole essere credibile deve entrare in classe e narrare ciò che uno ha annusato con il suo naso. In un mercato come in un cimitero.
Ti sei definito più volte un maestro di campagna
L’Italia non è Roma, Milano o Napoli. O almeno non è solo quello. Questo Paese è ancora fatto da tanti piccoli campanili. Nel paesino dove ho insegnato fino a qualche giorno fa non c’è un’edicola o una libreria. Ma de sempre ho scelto di insegnare nei più piccoli paesi della bassa pianura che un po’ sono rimasti fermi a tanti, tanti anni fa. In questi luoghi il maestro ha ancora un ruolo sociale forte, importante. il maestro era è resta un punto di riferimento per chi tenta di farlo nel migliore dei modi possibili.
Hai figli?
No, e un po’ mi manca la paternità. Ma è difficile costruire una relazione quando si ha una vita così intensa. È difficile trovare la conciliazione con qualcuno perché l’altro ti chiede, quasi sempre, una totalità. È una scelta radicale. Però è sulla mia visione dell’amore che nasce il mio lavoro di maestro.
Spiegacela
Amare vuol dire avere una finestra aperta sul mondo. Mi piace pensare all’amore come a due persone che stanno dentro una casa ma con gli occhi rivolti fuori. Lo dico sempre ai miei ragazzi, non mi interessa fare una scuola dive ci guardiamo in faccia. Voglio che anche loro guardino fuori dall’aula. Forse è difficile ma per usare sempre la metafora dell’amore ”Non si può essere amanti senza vedere anche chi ti sta attorno”.
Che rapporto hai con i bambini?
Mi fanno ridere. E sono i miei unici datori di lavoro. Nelle mie classi non uso la cattedra, ma un banco come il loro.
Eppure hai scelto di prenderti un anno sabbatico
Ho scelto di essere credibile nei confronti dei miei ragazzi, nel momento in cui sarei dovuto diventare un operaio dell’industria e dell’istruzione ponendo al centro non il bambino ma la valutazione il voto, ho deciso di staccare. Staccare almeno per un anno. Ma i miei studenti questa scelta l’hanno capita.
Quando partirai?
Il prossimo 23 ottobre. Da Genova imbarcherò la mia macchina piena di libri alla volta di Palermo.
Perché Palermo?
A 18 anni avevo fatto la scelta di fermarmi sei mese nel quartiere di Monreale dove Sarina Ingrassia aveva aperto le porte della sua casa alle persone del quartiere. Prima donne, poi tossicodipendenti. Dopo ancora i bambini. Dopo la sua morte ci sono stati volontari straordinari a portare avanti questa iniziativa. Ma adeso c’è bisogno di qualcuno che stia in casa e che la tenga “fisicamente” aperta. Così mi sono detto che se la mia doveva essere una scelta di bellezza e se devo abbandonare la mia scuola, potevo continuare a fare il maestro, un maestro di strada.
Cosa manca alla scuola di oggi?
La relazione. La capacità di insegnare sorridendo. “Nelle nostre scuole si ride troppo poco l ‘dea che l educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere”. Diceva Rodari.
Cosa serve ai bambini nei quartieri come lo Zen di Palermo?
Non un maestro. Ma eserciti di maestri. Persone consapevoli che abitando un luogo lasciano una traccia. Utilizzerò il prossimo anno per tentare di lanciare un movimento culturale che sia in grado di “riprendere” la scuola. In Francia Celina Alvarez ha lanciato un movimento straordinario dove sta nascendo una riflessione su che tipo di scuola si sta facendo oggi. Ecco in Italia ancora non c’è questa consapevolezza. Sarà un anno di rivoluzione.
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