Carola Ludovica Farci

Una missionaria laica? Macché, una semplice ecoattivista

di Luigi Alfonso

Un'insegnante cagliaritana di 34 anni spende il suo tempo libero e le ferie per promuovere iniziative ecologiche nel mondo. Ha chiesto il contratto part time per potersi dedicare alla sua missione

Spendere il tempo libero per gli altri, è una forma di volontariato che coinvolge tante persone, soprattutto in Italia. Investire in queste attività pure le ferie, è già a un livello più elevato. Ma quando si arriva a chiedere un lungo periodo di aspettativa e l’applicazione di un contratto part time al lavoro, pur di dedicarsi a progetti umanitari di ampio respiro, è ben più di una vocazione. Definirla una sorta di missione laica non è azzardato. Carola Ludovica Farci, docente di italiano e storia all’Istituto Azuni di Cagliari, da quasi un decennio fa tutto questo. E oggi che ha 34 anni, si appresta a partire di nuovo per l’Africa.

Donne Masai del villaggio di Kileleoni (Kenya)

Carola, con tutto il rispetto: ti sei mai chiesta chi te lo fa fare?

In verità, no. Credo di aver sempre avvertito di vivere in una situazione di privilegio, sotto il profilo economico e familiare. Perciò, nella mia testa, volevo fare qualcosa nel mio piccolo per equilibrare il kharma.

Tutto è partito nel 2018…

Sei anni fa mi sono recata nei campi profughi Saharawii dell’Algeria meridionale (ad Auserd, vicino a Tindouf) tramite l’associazione “Looking4”. I profughi vivono da decenni in una tendopoli in mezzo al deserto e non hanno accesso all’acqua. Alcune autocisterne vengono offerte loro dall’amministrazione statale algerina e da organizzazioni internazionali, ma la situazione è drammatica: una realtà distopica che mostra cosa succede quando in una società manca continuamente il bene primario principale. Nel 2021, in piena pandemia, ho deciso di prendermi un anno sabbatico e, in compagnia della mia inseparabile Polly (un affettuosissimo labrador, ndr), sono partita per un lungo viaggio per ripulire le coste dell’Europa dell’Est.

Carola con il suo cane Polly nel suo viaggio del 2021

Hai percorso in solitudine 14mila km e raccolto oltre tre tonnellate di rifiuti.

So di non aver risolto il problema dell’inquinamento del pianeta, ho fatto solo la mia parte. Se la facessimo tutti, vivremmo in un mondo migliore. Il versante ambientale è quello al quale mi dedico maggiormente perché, a mio avviso, questa è la priorità fondamentale. Da lì, a cascata, si genera una serie di effetti estremamente negativi e catastrofici che incidono su tutti e in maniera estremamente più rilevante sulle fasce di popolazione più fragili. Lo vediamo anche in questi giorni: oltre 1.300 persone decedute per il gran caldo durante il pellegrinaggio alla Mecca, migliaia di morti d’infarto in India per lo stesso motivo. Chi possiede un climatizzatore può considerarsi un privilegiato. Ma basta guardare anche nelle nostre città: i poveri e gli anziani che non possono permettersi un impianto di climatizzazione, rischiano di finire in ospedale e talvolta di morire.

È solo una questione di sensibilità verso gli altri?

In Occidente, molte persone davvero non hanno la percezione di certi problemi perché non le vivono sulla loro pelle. Non le giustifico ma non voglio neppure condannarle. Però bisogna aprire gli occhi, informarsi di più e rimboccarsi le maniche. È come per le guerre: ciò che è lontano non si percepisce. Quando parlo con conoscenti e amici, spesso mi dicono che sono esagerata. E se non lo dicono, intuisco che lo pensano. Forse dovremmo rivedere alcuni parametri con cui consideriamo la nostra vita.

Quando fai di queste esperienze lontano dalla Sardegna, parti da sola. Non ti crea problemi nei rapporti di coppia e con gli amici?

Il mio fidanzato ama il mio modo di essere. Se non fosse così, non staremmo insieme. Certo, se avessi dei figli, non potrei assentarmi troppo. Anche gli amici sanno che sono fatta così. Alcuni di loro si sono uniti a me quando, alcuni mesi fa, ho costituito l’associazione “Rebelterra”. Prima facevo tutto come persona fisica, ma da soli non si può andare molto lontano. In questa associazione sono confluite professionalità di vario genere: un ricercatore farmaceutico, un chimico, un biologo marino, esperti di marketing e comunicazioni, progettisti per bandi europei e nazionali, un fundraiser. La novità è che, nel viaggio che farò tra una decina di giorni, Polly non potrà venire con me.

Ogni progetto ne ha generato altri.

Tornata dal primo viaggio, ho portato con me un’ottantina di rifiuti-non rifiuti, cioè oggetti che potevano essere igienizzati e riutilizzati: piatti, tazzine, coperchi per le pentole, giocattoli per bambini. Ho fatto un sondaggio online, chiedendo alla gente se avrebbero mai mangiato su uno di quei piatti. Ebbene, la generazione dei miei genitori ha risposto “assolutamente no” mentre i miei coetanei hanno detto quasi all’unisono “sì, perché no?”. Così li ho messi all’asta: il ricavato, frutto della generosità di molti, mi ha permesso di fare una convenzione con una società non profit inglese, Treeonfy (fondata dal sardo Andrea Piras, ndr), attraverso la quale abbiamo piantato 6.000 alberi in Paesi in via di sviluppo, come Haiti, Nepal e Nicaragua.

Carola Farci, Andrea Piras e altri volontari piantano alberi

Trasformare i rifiuti in alberi ti ha ispirata.

Sì, infatti ho scritto il libro “Plastichiadi” (Edizioni Condaghes): i diritti d’autore mi hanno consentito di fare alcuni progetti di riforestazione a beneficio di territori italiani, sempre aiutata da Treeonfy: due li abbiamo sviluppati in Abruzzo, uno in Sardegna e uno partirà a ottobre in Puglia. I giovani proprietari del terreno in cui abbiamo piantato gli alberi a Tortolì, per ringraziarci, ci hanno regalato bottiglie di liquore di zafferano: le ho utilizzate per organizzare una lotteria, i cui proventi sono stati utilizzati per una borsa di studio a beneficio di una ragazza Masai per diplomarsi in Kenya.

Sereti Nabaala, 25enne del villaggio di Kileleoni (Kenya)

Ma il progetto è andato ben oltre, strada facendo.

Una volta che ho conosciuto la 25enne Sereti Nabaala, fondatrice dell’associazione “Matasaru Ntoyie Pastoralist Foundation” del villaggio di Kileleoni (Aitong), ho sentito il dovere morale di fare di più. Lei è una delle tante donne di quel Paese che hanno subito mutilazioni genitali. Ho conosciuto Sereti attraverso un progetto di WeWorld Onlus dedicato a giovani donne che avevano fatto qualcosa di concreto contro il cambiamento climatico. Abbiamo deciso di avviare un progetto insieme, a favore delle altre donne di Kileleoni. Sullo stesso fronte, e grazie alla loro collaborazione, ci siamo attivati anche noi di Rebelterra con il progetto “Trees4Girls” che si propone di creare un team femminile delle giovani Masai contro la crisi climatica.

Non mancano gli ostacoli, stavolta.

In effetti, travolta dall’entusiasmo, non avevo fatto i conti con alcuni aspetti. Un esempio: pensavo di fare un training online su tematiche ambientali ma non avevo pensato che in quel villaggio non hanno la linea Internet. Una spesa in più per la quale abbiamo dovuto chiedere, oltre che ai nostri due sponsor, anche le donazioni tramite crowdfunding. Poi ho preparato le lezioni, inserendo una slide sullo spreco dell’acqua: non avevo messo in conto che loro non hanno l’acqua corrente, in quanto si è prosciugato il fiume che sta lì vicino. Questo fa comprendere i privilegi che abbiamo e le difficoltà in cui vivono loro.

A giorni partirai per il Kenya. Che cosa farai, una volta giunta a destinazione?

Pianteremo molti alberi, per creare una sorta di oasi che permetta, nel lungo periodo, di modificare positivamente il microclima di quell’area ormai desertica. Poi penseremo al recupero delle acque. Occorre del tempo, ma quella del progetto “Trees4Girls” è una scelta lungimirante che deve dare gambe alla buona volontà di questo gruppo di giovani dell’associazione “Matasaru”. Ben sapendo che andremo incontro al pregiudizio patriarcale di alcuni settori della comunità locale. C’è un gender gap enorme, ma sono convinta che queste donne diventeranno protagoniste di un cambiamento radicale. Devono avere adeguate competenze tecniche e di comunicazione.

Credits: foto gentilmente concesse da Carola Ludovica Farci e dalla società non profit Treeonfy

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.