Migranti

Una mattina all’ex Baobab: è di nuovo emergenza

di Daniele Biella

In via Cupa, strada laterale di Roma dove si trova il centro chiuso dopo l'ultimo sgombero, sono presenti più di 300 persone arrivate via mare dalla Libia, provenienti soprattutto da Eritrea e Sudan: "Non vogliamo chiedere asilo in Italia, andiamo verso nord", ma le frontiere sono chiuse e il loro viaggio interrotto. "I numeri sono tornati alti, c'è da trovare una soluzione alternativa urgente", chiedono i volontari alle autorità

La sensazione all’arrivo in via Cupa è netta: è quella dell’attesa, infinita. Sono le prime ore del mattino di giovedì 7 settembre, le più di 300 persone presenti nella fila di tende predisposte lungo la via – laterale, senza incidere sul traffico, a 5 minuti a piedi dalla stazione di Roma Tiburtina – stanno capendo come affrontare un'altra giornata. Ad attendere. “Sono qui da 18 giorni”, Racconta Joseph, dal Sudan all’Italia, “ma con meta la Germania”. Tutte i confini a nord, Ventimiglia come Como/Chiasso o il Brennero, sono chiuse. “E da Ventimiglia hanno rimpatriato in Sudan almeno 40 miei connazionali, troppo pericoloso”, ci dice in un buon inglese. Lui, come tutti i presenti nella via davanti all’ex centro di accoglienza Baobab – su cui sono stati messi i sigilli dopo l’ultimo sgombero, essendo i miranti fuori dal sistema di protezione umanitaria non volendo richiedere asilo politico in Italia – attende che le cose, lassù alle frontiere, cambino.

“Con i 32 arrivi tra questa notte e stamattina sono state superate le 300 unità, è da molti mesi che non si arrivava a questi numeri, oggi sarà una giornata molto caotica”, preannuncia Loredana, volontaria come lo sono almeno 70 persone (di cui, assidue, una trentina) che si alternano a prestare prima assistenza ai migranti per quanto riguarda ascolto, somministrazione del cibo e vestiti, arrivati tutti tramite donazioni e raccolte. Più di 300 anime che dormono in una dozzina di grandi tende allestite lungo la via, una a ridosso dell’altra per consentire comunque il passaggio e una sorta di ordine che non crei troppo disagio al quartiere. E’ ancora vivo il ricordo dell’ultimo imponente sgombero del dicembre 2015 (dopo che i volontari avevano vinto il premio Cild della Coalizione italiana libertà e diritti civili) e ancora più quello di Ponte Mammolo nel giugno dello stesso anno, che di fatto aveva riempito il Baobab (fino a pochi mesi prima gestito come canonico centro di accoglienza), ora l’emergenza è data dal fatto che le persone sono per strada e l’estate sta lasciando il passo all’autunno: “già il diluvio di un paio di giorni fa ha creato molte difficoltà”, spiega Loredana, mentre dall’altro lato della via, Filippo spiega a un gruppo di migranti eritrei (almeno il 70%, il resto sono soprattutto sudanesi) come funzionano le distribuzioni di viveri e materiale di prima necessità come dentifricio e coperte. Alcuni volontari sono essi stessi migranti oggi residenti a Roma, fondamentali come mediatori.

Il clima, nonostante l’alto numero di presenze che rende difficile il passaggio nella stretta via Cupa, è disteso. C’è chi ricarica il telefono chiedendo aiuto per la lingua, chi dà una mano a un’altra volontaria, Giulia, quando vede arrivare il camioncino di un’associazione che, tramite il banco alimentare, fa arrivare frutta fresca. Arriva una signora residente in un palazzone al fondo della via: "Ho qua un sacco con dei vestiti da donna, erano miei, in buono stato, appena lavati e stirati. E' la cosa più immediata che mi è venuta in mente per dare una mano", spiega. A fianco dei bagni – con numeri così alti, già maleodoranti a metà mattina – c’è un migrante stesso che si offre come barbiere, così come una donna si dedica alle acconciature sotto una tenda. Sono poche, donne e bambini: la maggior parte sono giovani, dai 20 ai 30 anni, ma ci sono anche gruppi di ragazzi palesemente minorenni, per cui la tutela sarebbe ancora più necessaria. “Pur monitorando le varie situazioni, supponiamo che molti migranti siano ancora in contatto con i trafficanti. Che, ricattando le famiglie d’origine, farebbero arrivare loro soldi via Moneytransfer per continuare il viaggio al momento che reputano più opportuno”, aggiunge Loredana. “Le loro vite sono sospese e soprattutto oggetto di minacce, spesso ci vengono riportate violenze e abusi subiti durante il passaggio in Libia allo scopo di estorcere altri soldi”.

Un’umanità ferita, quella di via Cupa, che però non perde la speranza di una vita diversa e soprattutto, ha ben presente le difficoltà in cui si trovano a livello economico alcuni Stati come l’Italia: “Vogliamo andare verso il Nord Europa”; è il mantra che ripete ognuno di loro, anche qui in via Cupa. Compreso Hassan, mentre viene visitato per un piede gonfio dal personale medico dell’Inmp, Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà, che ha sede nell’ospedale in San Gallicano a Roma ma opera nei maggiori punti caldi delle migrazioni in Italia, Lampedusa compresa. Stamattina tre operatori, tra cui una mediatrice che parla il tigrino – la lingua eritrea – hanno effettuato uno screening medico generale, senza grossi problemi se non infezioni da curare con creme e medicinali. Nella tendopoli informale operano spesso anche volontari dell'ong Medu, Medici per i diritti umani, così come Cir, Consiglio italiano rifugiati e associazione A buon diritto monitorano gli aspetti legali.

“Ma con il boom di arrivi degli ultimi giorni, c’è bisogno di un ulteriore sforzo umanitario da parte di tutti, sotto ogni punto di vista, compresa la possibilità di trasferimento dei migranti in un luogo più consono: l’amministrazione comunale aveva accettato di cercare una sistemazione alternativa, per ora però non abbiamo avuto alcun riscontro”, chiede Loredana (nel video qui sotto). Nel frattempo, arrivano i pasti confezionati e si forma una coda silenziosa. Le persone attendono e si guardano attorno.

C’è chi accenna un sorriso, nonostante tutto. Stanco, insicuro, ma pur sempre un sorriso. Perché qualche giorno, settimana fa è riuscito a superare indenne la roulette russa del Mar Mediterraneo, e prima ancora delle angherie libiche. Ti viene voglia di chiedere loro di più sul viaggio prima di arrivare a Roma, alla loro vita prima di fuggire dalle violenze generalizzate in Sudan e Sud Sudan e dall’Eritrea, dove il servizio militare obbligatorio e perpetuo ha creato una delle più grandi diaspore della storia dell’Africa contemporanea. Ma non lo fai, perché quegli occhi pieni di dignità chiedono solo empatia, e rispetto. Forse, con il tempo e altrove, arriverà il tempo del racconto e dei ricordi. Lieto fine permettendo.

Stanco, insicuro, ma pur sempre un sorriso. Perché qualche giorno, settimana fa è riuscito a superare indenne la roulette russa del Mar Mediterraneo

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