Il Decreto riaperture è solo il tassello finale. O quello di inzio, per una ripresa del settore turistico che molti attendevano, ma i cui termini stanno andando oltre le più rosee previsioni. Vita lo ha raccontato nel numero di maggio, dedicando la propria cover story a un fenomeno in continua crescita: il turismo di relazione, di prossimità e di comunità. Un fenomeno che sta cambiando "da dentro" il senso dell'esperienza turistica e di viaggio. Ne parliamo con Franco Iseppi, Presidente del Touring Club Italiano.
Come è cambiato nell'ultimo anno – e come cambierà – il turismo?
La crisi del settore, tra quelli più colpiti dalla pandemia, impone una riflessione importante su come assicurare un futuro di sviluppo – e non un semplice ritorno alla situazione pre-Covid, laddove fosse mai possibile – a un’economia che non solo incide (tra contributo diretto e indiretto) per il 13% sul nostro Pil e che occupa il 15% della forza lavoro ma che costituisce anche un volano eccezionale, tra gli altri, per le industrie creative e culturali e per il nostro made in Italy, godendo l’Italia di un’immagine assolutamente positiva e di un’elevata desiderabilità come destinazioni di viaggio. Non a caso, data la ricchezza e la attrattività materiale e immateriale del nostro Paese, si è motivatamente sostenuto che il futuro del turismo italiano è di essere elitario per tutti.
Certamente le misure di contenimento adottate, che hanno inciso sulla mobilità (anima del turismo), sulle attività commerciali e sulle normali relazioni sociali, hanno costituito un freno fortissimo per il settore, generando una situazione che non si era mai registrata dal Secondo dopoguerra. I dati provvisori Istat 2020 indicano un calo di presenze nelle strutture ricettive di oltre il 50% – nonostante la ripresa estiva all’insegna del turismo domestico e di prossimità che ha premiato le destinazioni montane e quelle meno note, scelte perché meno affollate e dunque considerate più sicure – e i dati sul fatturato dei servizi suggeriscono che le attività più colpite nel nostro Paese sono proprio quelle turistiche o i comparti direttamente connessi: agenzie di viaggi e tour operator hanno presentato un calo di fatturato del 76% rispetto al 2019, il trasporto aereo del 61%, la ricettività del 55% e la ristorazione del 37%. Non va meglio a livello globale – l’economia dei viaggi è infatti ormai fortemente interconnessa su scala planetaria – dove l’Organizzazione mondiale del turismo ha confermato una discesa del 73% degli arrivi internazionali sul 2019 e una previsione di ritorno dei flussi ai livelli pre-Covid solo a partire dal 2023-2024.
Per il futuro prossimo, possiamo introdurre una piccola nota di ottimismo perché, perlomeno il settore dei viaggi, potrà probabilmente contare su fattori che, spesso considerati limiti, costituiscono oggi elementi che possono favorire la ripresa. La struttura mediamente ridotta delle imprese turistiche, la loro capillare diffusione sul territorio, un’attrattività estremamente ampia e diffusa (costituita da fattori ambientali, paesaggistici, storico-culturali, legati alla cultura materiale, all’agricoltura e all’artigianato) possono essere carte vincenti in questa situazione di incertezza, ripartendo dalla mobilità dolce, dal turismo lento – che significa valorizzare borghi, cammini, cicloturismo – e da un modo diverso di visitare e frequentare le città d’arte, fino a ieri uno dei prodotti più iconici della nostra offerta e oggi invece in crisi profonda.
Crede sia il momento giusto per una svolta: la trasformazione del turismo di massa in un turismo di prossimità, ma anche di responsabilità può riavvicinarci ai territori e a quell'Italia «museo diffuso» di cui lei parla stesso?
Accanto ad una visione certamente ideale del turismo e dei valori di cui dovrebbe essere portatore (il Touring ha avuto fondatori molto illuminati convinti che il turismo fosse una delle forme di integrazione culturale e sociale del Paese), per contribuire al miglioramento del benessere di tutti e per essere veramente sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale dobbiamo essere anche molto realisti (l’origine milanese del nostro Sodalizio ci contraddistingue per il pragmatismo con cui affrontiamo le cose) e avere chiara la consapevolezza che ripartire dai turismi di territorio (prossimità, cammini, borghi, cicloturismo ecc.) non potrà essere sufficiente da solo a compensare quanto abbiamo sinora perso in termini di flussi e di spesa così come non lo può essere puntare soltanto al turismo domestico. Non dimentichiamo infatti che l’incoming rappresentava fino al 2019 la metà (circa 220 milioni di presenze) dei flussi complessivi registrati in Italia e aveva un valore economico di oltre 44 mld di euro, crollato del 61% nel 2020.
Siamo però convinti che se ripartiremo provando a sperimentarci su un modello di offerta diverso, più sostenibile, più attento e più inclusivo potremo strategicamente darci l’opportunità di ripensare anche gli altri prodotti (città d’arte in primis) che costituiscono l’offerta primaria del nostro Paese e che potranno garantire la rinascita di un settore economico in ginocchio.
Come valorizzare, oggi, questa bellezza diffusa? Magari servendoci anche del PNRR? Transizione ecologia e transizione digitale sono due chiavi del PNRR. Due chiavi doppiamente essenziali per un Paese a vocazione turistica e culturale come il nostro…
Next Generation EU è la più grande opportunità che abbiamo per ripensare l’Italia, anche quella del turismo. In primo luogo, introducendo programmi di promozione coordinata per far conoscere le mille destinazioni meno note del nostro straordinario Paese, investimenti destinati al turismo lento perché borghi, cammini e percorsi ciclistici diventino prodotti turistici fruibili (a tutti e non solo a nicchie di “esploratori”), quindi integrati con i territori e i loro servizi. Nelle situazione odierna, in cui le aree interne hanno mostrato una maggior resilienza nei confronti della pandemia, con l’emergere di modelli inediti di organizzazione del lavoro e della società, le aree “ai margini” acquisiscono una nuova centralità su cui puntare: è probabile che un modello di sviluppo che connetta centro e periferia, aree interne con quelle metropolitane possa migliorare la qualità della vita dei residenti (e incentivare un ripopolamento di alcuni territori) dei quali potrebbe avvantaggiarsi anche il turismo che usufruisce di servizi che condivide con chi abita stabilmente quei luoghi. Ciò significa, conseguentemente, guardare al tema infrastrutturale da un punto di vista più ampio. Dobbiamo con coraggio riprendere in primo luogo il tema delle grandi infrastrutture e affrontarlo tenendo in considerazione i principi della sostenibilità delle opere: abbiamo bisogno di interventi in questa direzione lavorando in via prioritaria per portare l’alta velocità verso Sud, colmando così un divario oggi inaccettabile, e per riammodernare le dorsali del Paese. Le ciclovie, le Vie e i Cammini – per il quali recentemente Tci ha progettato una certificazione apposita – infatti possono collegare gran parte del territorio nazionale e offrire l’opportunità di costruire, su una rete di comunicazione sostenibile, prodotti turistici che potrebbero efficacemente affiancarsi a quelli più noti e sviluppati nel nostro Paese.
Il tema infrastrutturale riguarda certamente aspetti materiali come gli standard qualitativi da offrire al turista contemporaneo, diventato sempre più esigente, ma ha anche a che fare con un approccio “etico” al settore che deve garantire un’accessibilità totale. Sono molte, infatti, le persone che esprimono bisogni speciali per fattori anagrafici (come i bambini o gli anziani) o perché presentano una qualche forma di disabilità specifica (sensoriale, motoria o relativa all’alimentazione per esempio). Con la ripartenza, a queste persone ma anche ai loro accompagnatori è nostro dovere poter assicurare esperienze come quella del viaggio. In particolare, in Italia, così ricca di proposte in grado di rispondere ai diversi interessi individuali, il turismo accessibile non dovrebbe essere considerato una categoria distinta dalle altre ma un aspetto connaturato all’accoglienza.
Inoltre, quando si parla di infrastrutture occorre considerare anche quelli immateriali dando ampio sostegno, tecnologico e formativo, alla digitalizzazione dei processi e dei servizi e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale in un mercato globale che offre grandi opportunità.
In estrema sintesi, dunque, occorre da una parte muoversi a livello nazionale con politiche e programmi che possano mantenere competitivo il nostro Paese su scala europea e globale e dall’altra bisogna favorire investimenti territoriali in grado di mettere a sistema le diverse filiere e gli operatori, ricucendo il tessuto locale sotto diversi punti di vista. Salvaguardia ambientale, messa in sicurezza del territorio, sviluppo di una rete di interconnessione e di servizi per una mobilità più sostenibile, valorizzazione dei beni culturali e delle tante e diverse identità locali, inclusione delle fasce sociali oggi più in difficoltà: sono tutti aspetti che, se integrati in una visione territoriale ampia e condivisa, possono costituire gli elementi su cui impostare proposte turistiche originali e autentiche, in grado di venire incontro alle esigenze della domanda contemporanea e dare anche una risposta concreta al problema dell’occupazione soprattutto quella giovanile e del nostro Meridione.
Il turismo odierno ha dato origine a una progressiva contaminazione tra tipologie diverse di viaggio: il turismo culturale, per esempio, è sempre più legato ad aspetti enogastronomici, ovvero alla cultura materiale di un territori
Franco Iseppi
Se il sostegno alle imprese, per non rischiare il pericolo della desertificazione del settore, è cruciale tra le azioni di breve periodo da implementare, non possiamo dimenticare che la pandemia sta producendo anche gravi effetti di marginalizzazione sociale, escludendo da alcuni consumi consolidati – com’è il turismo – intere fasce di popolazione: politiche di incentivo come i bonus vacanze, se ben modulati e strutturati in modo tale da renderne agevole l’utilizzo sia per la domanda sia per l’offerta, possono aiutare in questa fase a ridurre le disparità e i fenomeni di esclusione.
Con il turismo di prossimità, cresce anche la voglia di un turismo esperienziale, che non sia solo consumo. Avete registrato questa tendenza anche dall'osservatorio privilegiato del Touring Club?
La pandemia ha dato certamente un nuovo impulso al turismo di prossimità, ovvero a un turismo che punta a scoprire o a riscoprire i territori “vicini” come emerge anche dalle ultime ricerche condotte dal nostro Centro Studi sulla community on line del Touring che conta oltre 300mila persone. Occorre però anche specificare che questa tendenza di breve periodo si inserisce all’interno di un fenomeno più ampio (e precedente a Covid-19) che aveva già visto l’affermarsi di viaggi che puntavano a fruire dei luoghi in modo diverso e a dare valore all’esperienza: il “turismo lento”, ad esempio, che si basa su ritmi più rilassanti, contrapponendosi alla frenesia della vita contemporanea, imperniata sui principi della velocità e dell’istantaneità. Altro turismo “preesistente” la pandemia e che sta conoscendo un’ampia diffusione è quello “attivo” in cui la componente di pratica sportiva open air, pur non necessariamente agonistica e dunque alla portata di una parte consistente della popolazione, è centrale. Cicloturismo, ippoturismo, cammini e trekking sono tutte attività che stanno acquisendo una rilevanza sempre maggiore, perché enfatizzano il lato esperienziale del viaggio e permettono di visitare un territorio da una prospettiva insolita e personale favorendo occasioni di conoscenza non banali e standardizzate.
Sta aumentando, inoltre, la curiosità da parte dei viaggiatori nei confronti di quei luoghi interessati solo in modo marginale dal turismo (la cosiddetta “Italia minore” cui Touring ha dedicato tante energie e iniziative negli ultimi decenni e che riscuote successo perché meno affollata e quindi percepita come più sicura), ma non per questo meno ricchi di storia e di tradizioni che richiamano, per esempio, anche la cultura materiale e l’enogastronomia.
Tutti questi fenomeni rendono il turismo odierno ancora più complesso perché hanno dato origine a una progressiva contaminazione tra tipologie diverse di viaggio: il turismo culturale, per esempio, è sempre più legato ad aspetti enogastronomici, ovvero alla cultura materiale di un territorio. Ciò ha decretato nei fatti l’affermazione del cosiddetto turismo esperienziale, ovvero una relativamente nuova espressione che sta a indicare la centralità dell’individuo e della sua esperienza che, al di là delle motivazioni e di un concetto ormai usurato come quello di “relax”, costituiscono l’essenza vera del viaggio contemporaneo.
Nel quadro appena descritto è ovvio che stanno acquisendo una valenza sempre più turistica anche aspetti che, tradizionalmente, venivano considerati poco o per nulla turistici: è il caso delle tradizioni artigianali e del made in, ormai al centro dell’esperienza di viaggio, così come dell’enogastronomia e, più in generale, del mondo agricolo.
Il tema del turismo di comunità richiama quello del bene comune. Una mission da sempre presente nell'opera del TCI. Le va di ragionare con noi su questi due concetti, "comunità" e "bene comune"?
Cominciamo dal concetto di “bene comune” che caratterizza tutta la lunga storia del Touring. Siamo una libera associazione senza scopo di lucro che propone ai suoi soci – destinatari e attori della missione – di essere protagonisti di un grande compito: prendersi cura dell’Italia come bene comune perché sia più conosciuta, attrattiva, competitiva e accogliente, contribuendo a produrre conoscenza, a tutelare e valorizzare il paesaggio, il patrimonio artistico e culturale e le eccellenze economico produttive dei territori, attraverso il volontariato diffuso e una pratica del viaggio etica, inclusiva, responsabile e sostenibile.
Si sta affermando sempre più un turismo esperienziale, ovvero una relativamente nuova espressione che sta a indicare la centralità dell’individuo e della sua esperienza che costituiscono l’essenza vera del viaggio contemporaneo.
Franco Iseppi
Già la Costituzione racchiude al suo interno il senso del prendersi cura dell’Italia come bene comune, sia con riferimento agli artt. 4, 9 e 118 ultimo comma sia ai suoi principi generali. Dal nostro punto di vista, prendersi cura dei beni comuni non produce effetti positivi solo su chi si impegna direttamente ma anche sulla società nella sua interezza, contribuendo così a rafforzare le relazioni di comunità e il senso di appartenenza.
È possibile però prendersi cura dei beni comuni soltanto se esiste chi dal punto di vista valoriale condivide queste istanze e se può incidere concretamente con la sua azione: veniamo quindi al concetto di “comunità”. Da decenni il Touring può contare su alcune migliaia di soci impegnati in modo continuativo che sono espressione di quel volontariato diffuso sopra citato che richiama il senso e gli obiettivi della Convenzione di Faro, ratificata dal nostro Paese lo scorso settembre. Per Tci sono un riferimento fondamentale per la sua attività, in particolare quando si dice che “il diritto all’eredità culturale è inerente al diritto a partecipare alla vita culturale, così come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” e che la “conservazione dell’eredità culturale, e il suo uso sostenibile, hanno come obiettivo lo sviluppo umano e la qualità della vita”. La Convenzione affianca alla definizione di patrimonio culturale una specifica nozione, quella di “comunità di eredità” (heritage community), legando indissolubilmente i due concetti. Se dunque il patrimonio culturale è “l’insieme delle risorse ereditate dal passato nelle quali le persone si identificano […] come riflessione ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni in continua evoluzione”, una comunità di eredità è costituita da “un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale e che desidera sostenerli e trasmetterli alle generazioni future” ed è ciò che Touring vuole realizzare con il suo progetto di volontariato culturale.
L’esempio più numeroso è rappresentato dagli oltre 2.000 Soci Volontari che accolgono i visitatori nei luoghi “Aperti per voi”. Accanto a loro, operano i Soci nominati Consoli e Viceconsoli del Tci (230 membri) che sono l’assoluto riferimento locale dell’associazione e organizzano centinaia di iniziative, destinate ai Soci e ai non Soci, per animare la realtà associativa territoriale e promuovere la conoscenza dei luoghi e delle loro specificità.
In alcune città sono, poi, attivi Club di territorio, ossia la forma con cui il Tci aggrega le “forze volontarie” e le attività locali. Il Club di Territorio offre la possibilità di vivere attivamente l’associazione e raccoglie persone appassionate che si impegnano per la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e ambientale locale e per migliorare l’offerta turistica e culturale delle proprie città. Il Club raccoglie le richieste dei cittadini e dei Soci e programma iniziative di incontro e conoscenza aperte a tutti.
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