Che cos’è l’Europa? L’Europa, scriveva Emmanuel Lévinas, è «la Bibbia e i Greci». L’Europa è la sfida dell’unicità. Solo l’unico, osservava il filosofo ebreo franco-lituano a cui Silvano Petrosino ha dedicato un prezioso, direi necessario profilo per Feltrinelli (Emmanuel Lévinas. Le due sapienze), «è assolutamente altro». Senza unicità, non si instaura alcuna alterità. L’indifferenziato e la violenza – anche la violenza paradossalmente aggregante del consumo – hanno campo libero. Per capire le sfide del nostro tempo, le sfide che ci attendono e quelle dell’ora presente, Petrosino ci invita a approfondire la posizione di questo filosofo, capace di mettere in dialogo Atene e Gerusalemme.
La Bibbia e i Greci
Lévinas, osserva Petrosino, «non è un filosofo morale, nel senso dell’etica intesa come insieme di cose che “si devono" o "non si devono” fare. Lévinas ha sempre detto che esiste una sola regola morale fondamentale: tu non ucciderai».
Professor Petrosino, che cosa c’è al fondo di questo “tu non ucciderai”?
Io penso che, al fondo, ci sia il logos biblico, ci sia una metafisica, una visione generale della vita fondata sull’unicità. Tutto ciò che esiste – Lévinas lo dice in particolare rispetto all’uomo, ma secondo me questo è estendibile a tutto, ad ogni essere del creato – è unico. Di conseguenza, quando si sopprime o si offende un unico si compie qualcosa di determinante per l'intera creazione dato che si compromette qualcosa/qualcuno di insostituibile.
Vediamo alla creazione, un concetto molto denso…
E' un concetto che cerco di affrontare dal punto di vista filosofico. All'interno dell'idea di “creazione” c’è, da una parte, la sottolineatura dell'onnipotenza del creatore; ma, dall'altra parte, c’è anche la sottolineatura della posizione della creatura, della sua irriducibile positività e bontà. In altri termini, la creatura poteva non esserci, ma dal momento che è stata creata è in qualche modo un assoluto. Nessuno, neanche Dio, il Creatore, può offendere la creatura.
Una posizione radicale…
È qui che, infatti, si radica il tema dell’unicità. Questa idea è importante, soprattutto per elaborare una concezione essenziale dell'etica in grado di rispondere alla severa, e a mio modesto avviso del tutto pertinente, critica di matrice nicciana.
L'etica, l'etico
Non subisce, in sostanza, l’accusa di essere al contempo etiche del sentimento o etiche del risentimento nei confronti della vita…
Nel libro distinguo l'«etico» dall'«etica» e sostengo che Lévinas si muove verso l’«etico» più che verso l’«etica». L’«etico», in quanto struttura ultima del reale, ci libera dall’«etica» in quanto disciplina finalizzata alla determinazione di norme.
In tal senso si va verso un concreto che apre alla differenza, anziché alla sua scimmiottatura, ossia al diverso…
In questa differenza tra l'«etico» e l'«etica» affiora il grande tema dell’unicità: non c’è differenza senza l’unico e non c’è unico, se non nella differenza. Nella sua riflessione cruciale sull’unicità, Emmanuel Lévinas cerca di superare l’idea dell’altro come alter ego. Se riduciamo l’altro a un alter ego, allora l'altro, in qualche modo, ritorna all'ego. L’altro, al contrario, non è il diverso da me, forse non è nemmeno il semplice differente. È di più: l’altro è l’unico, l’irriducibile a me. In altri termini, l'alterità dell'unico è infinitamente e concretamente «più altra», dunque più drammatica, di quella del diverso.
L’etico si colloca in questa irriducibile unicità dell’altro. Ma questo rapporto con l’unicità è riferibile anche a Dio stesso?
Nel momento in cui crea, Dio assume una posizione etica perché pone un altro al di fuori di sé. La creatura non è un burattino nelle mani del creatore. Quando Lévinas dice “il monoteismo è un ateismo” intende proprio questo. Non intende dire che l’unico è contro Dio, intende riaffermare l’irriducibile libertà della creatura. La libertà dell’unico. Nella Bibbia, la questione viene posta fin dall’inizio, quando Dio chiama l’uomo a dare i nomi a tutti i viventi. La grande questione è questa: Dio è stato capace di porre un altro fuori di sé. L’uomo è capace di fare altrettanto?
L'estremo pericolo
La tendenza fondamentale del nostro tempo sembra dirigersi altrove…
Pier Paolo Pasolini aveva già intuito quel processo di omologazione del sociale che, oggi, si sta evolvendo diventando una sorta di modo generale di vedere e di pensare, una vera e propria struttura ultima di riferimento. L’algoritmo è il cuore stesso di questa struttura ultima: dà i nomi, sceglie, prevede (gli algoritmi predittivi) e alla fine cancella l’unico.
Un unico che dobbiamo difendere, ma come?
Due le strade che difendono l’unico, una strada è quella dell’arte, l’altra strada – è quella di Emmanuel Lévinas – è quella che ci ricorda come quando tu sei davanti alla vedova, all’orfano, al povero, allo straniero tu sei tu e sei tu davanti all’unico. Non c’è altro, non c’è retorica, non c’è moralismo. Scrive Lévinas, in Difficile libertà, che “il rapporto con il divino attraversa il rapporto con gli uomini e coincide con la giustizia sociale”, ma “Mosé e i profeti non si curano dell’immortalità dell’anima ma del povero, della vedova, dell’orfano, dello straniero”. In questo concreto della cura sta l’etico.
L’algoritmo è cieco di fronte all’unico…
Si cerca persino di prevedere quanti morti ci saranno ora, in questo istante, nel mar Mediterraneo; 10, 100, 1000. E sotto una certa soglia l’algoritmo ci rassicura. Ma davanti all’unico, davanti a quel solo uomo che soffre, davanti a quella donna e davanti a quel bambino lì tu sei solo. Sei solo davanti a lui e questo essere solo ti chiama alla tua responsabilità. In un’epoca dove si progetta tutto, si pianificano studi, carriere, si scommette sui raccolti, sulle carestie, dove si affida ogni cosa alla struttura ultima del pensiero calcolante degli algoritmi, un autore come Lévinas combatte la sua battaglia contro dei mostri, dicendo no. E questo no, ci ricorda che la chiamata dell’unico è radicale, rivoluzionaria. Soprattutto ora che si sta configurando quello che già avevamo visto in Matrix: uomini allevati come fagioli nelle serre.
Finanza e biotecnologie premono per costruire queste serre…
Aristotele dice che l’economia è una scienza umana, ma oggi che l’economia sia una scienza umana è negato da tutti gli economisti che la trattano come scienza esatta. Ci sono funzioni, algoritmi, codici…
Ma se l’economia diventa econometria, l’esperienza della libertà e dell’etico viene annichilita dagli algoritmi predittivi, il lavoro diventa mero movimento cinetico o poco più…
Il lavoro ci sarà sempre, anche leggere un libro è un lavoro. Anche se non sei pagato è un lavoro, ma sulla professione – che prevede una retribuzione – le cose si mettono malissimo. Ci sono gli algoritmi, ci sono le macchine, ci sono numeri e funzioni al posto delle relazioni.
Eppure, questa insistenza sulle relazione fra persone dovrebbe essere la matrice comune di un’Europa che sta tagliando il ramo su cui è seduta…
L’Occidente e l’Europa, in particolare, è il luogo dove l’unico è stato riconosciuto come tale. Dove il valore della persona, di ogni singola persona, è stato affermato con decisione. Dove si è affermato il tema del proprio e il tema della giustizia. In effetti, il proprio, senza giustizia, separato dalla giustizia, vale a dire dal riferimento all'altro e agli altri, tende a trasformarsi in semplice proprietà. In questo vedo un’opposizione con l’Oriente. L’Oriente vede nell’individualità, nell'affermazione dell'individualità, l'origine della violenza e della guerra. L’Oriente dice che, ogni qual volta c’è individualità c’è violenza. La grande partita che l’Occidente ha giocato – la sua ricchezza – è stata proprio quella di difendere l’individuo, il proprio, cercando al tempo stesso di evitare la deriva della violenza.
In questo senso, il pericolo estremo non viene dall’Islam…
… Ma dalla Cina, perché lì non c’è la persona. Ma se non ci sei come persona, come unicità, come volto il rapporto non solo uomo-uomo, ma uomo-creato non esiste. Il volto, come insegna Lévinas, è sempre posto davanti a un altro volto. Proprio per questo, il rispetto che il volto dell’altro, riconosciuto come tale, ci chiede, diventa rispetto anche per quel fiore, quell’albero, quell’animale, tutto il creato che ho davanti. Ma se sparisce il volto – il volto dell’altro, ma anche il mio volto – allora tutto scompare e cade vittima della manipolabilità assoluta. Pensiamo anche al riconoscimento della Bibbia: il riconoscimento della Bibbia è biblico-cristiano, questo è decisivo per capire la questione.
Legge, giustizia, diritti… Tutto però sembra accartocciarsi, rivolgersi a principi astratti contraddetti dal concreto…
In linea generale basterebbe la legge. Ma nel concreto la legge non basta, perché appartiene alla nostra esperienza il fatto che, tra le nostre mani, il diritto si storta. La legge diventa legalismo, i diritti diventano violenza verso il debole non verso il forte. In questo senso, credo che l’ultima parola non sia la legge ma, cristianamente, sia la parola carità e misericordia. Per noi uomini, per come siamo fatti, non potrà mai esserci giustizia senza carità e misericordia.
Le possibilità della parola
Ogni lettore è scriba, insegna Lévinas. Per questo serve un’interpretazione vivificante…
Di fronte all’irrigidimento, l’interpretazione rimette in movimento, e questo è decisivo.
Con un grande rispetto – se vediamo le letture talmudiche – per gli antecedenti, i precedenti, i lettori/interpreti venuti prima di noi: le generazioni si riannodano tra i fili di una legge vivificata, ma oggi completamente persa, cancellata, nella tabula rasa di un formalismo senza nemmeno più forma…
Nella lettura talmudica l’elemento chiave è il rispetto. Ci si trova a commentare la parola di Dio, la Torah. Ma di fronte alla parola di Dio, nessuno osa dire “quello che io affermo è vero”, ma si apre alla libertà, chiudendo al tempo stesso l’accesso dogmatico alla legge. La lettura è rispetto dell’altro e dell’Altro, per questo è il contrario dell’algoritmo che si pretende Tutto. Il fatto che nel Talmud si legga di continuo “come dice Rabbi…” deriva dal fatto che si è di fronte al commento della parola di Dio.
E al luogo stesso della possibilità della parola…
Una possibilità che la presunzione chiuderebbe.
Letteralismo, fondamentalismo non a caso chiudono in un vicolo cieco la parola, facendone violenza…
Una parola che esige di essere interpretata, senza interpretazione, è violenza pura.
Una violenza che, paradossalmente, unifica nell’indifferenziato…
Se, da un lato, abbiamo una possibilità di unità fra gli uomini basata sul confronto e l’interpretazione, dall’altra abbiamo una nuova sintesi, una nuova unità. Questa unità non è la trasgressione, ma il consumo. Il nuovo "cattolicesimo", se così posso dire, la nuova forma di universale, di «collante planetario», è il consumo. Si propone una nuova, grande unità fra gli uomini basata non sul reciproco riconoscimento, ma sull’alienazione integrale dell’unico nel consumo. La sfida è fra questi due poli; interpretazione, confronto da un lato; consumo, indifferenziazione, disgregazione dell’unico e fine dell’etico dall’altro. Entrando in un qualsiasi supermercato europeo, vediamo gli stessi colori, gli stessi caratteri, la stessa disposizione dei prodotti: segni di una unità. Una unità fondata sul consumo e dal consumo.
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