Migranti

Tre suore in trincea al molo di Lampedusa

di Alessandro Puglia

Suor Ausilia, suor Paola e suor Ines sono le tre sorelle che dal 2019 assistono i migranti che arrivano al molo Favarolo portando avanti il progetto “Fare ponte tra i lampedusani e gli immigrati” dell’Unione internazionale superiori generali. Da un succo di frutto a una carezza, ai sedili costruiti con i bancali. La loro presenza è una luce in mezzo a tanto dolore che anche stanotte ha rigistrato l'annegamento di una bambina

«Quando l’ho preso in braccio tutto infreddolito con il naso che colava ho capito che avevo in braccio Gesù bambino». Suor Ausilia insieme a suor Paola e suor Ines sono reduci dall’ultimo sbarco al molo Favarolo, uno dei tanti che a ripetizione avvengono sull’isola nell’isola. Da quando a novembre 2019 sono arrivate per il progetto Fare ponte tra i Lampedusani e gli immigrati dell’Uisg (Unione internazionale superiore generali) la loro presenza al porto durante gli arrivi dei migranti è come un faro di speranza, una luce che si accende nelle tenebre di chi in mare ha perso un figlio, un fratello, un compagno di viaggio.

Le tre sorelle della piccola comunità al molo pianificano ogni dettaglio su come rispondere alla richiesta di aiuto in porto. Con carrelli e borsoni si presentano piene di vestiti, coperte, pannolini, il tè caldo nei termos, merendine, succhi di frutta. Con loro ci sono gli operatori Mediterranean Hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che insieme alle suore e ai volontari della parrocchia di San Gerlando hanno dato vita nel 2019 al forum Lampedusa solidale, per dare una degna accoglienza ai migranti che arrivano stravolti e senza forze al molo Favarolo.

«Sono tutti infreddoliti, quando arrivano tremano, i bimbi con tutti i vestiti bagnati che si fa fatica a togliere, le mamme con gli occhi persi nel vuoto», racconta Suor Ausilia, 77 anni, reduce dall’ultimo sbarco con 35 migranti arrivati con un barchino proveniente dalla Tunisia.

Gli ultimi mesi sono stati tra i più difficili, con i corpi dei bambini arrivati in porto perché uccisi dal freddo. Come le due gemelline di 28 giorni che avevano ancora il braccialetto della nascita ai polsi, il piccolo Godan di 21 giorni, la bimba di sei mesi morta all’interno dell’hotspot di Contrada Imbriacola. «Quei corpicini sono ancora davanti agli occhi di tutti gli operatori presenti al molo, ho urlato che questa è la strage degli innocenti, noi tutte piangevamo mentre davamo una carezza a quelle povere mamme che così perdono i loro figli».

Suor Ausilia, salesiana, ha di recente accolto i volontari della Ong Open Arms e la mamma del piccolo Yousuf il bimbo di sette mesi morto nel naufragio a il 20 novembre 2020, oggi è sepolto nel piccolo cimitero dell’isola e ogni anno in occasione dell’anniversario della morte nella piazza centrale viene esposta l’immensa coperta di lana realizzata in memoria del piccolo da persone di tutto il mondo che le hanno fatte arrivare a Lampedusa. «Non dimenticheremo mai il pianto dolore di quella madre che durante la sepoltura si mangiava la terra», dicono le tre sorelle mentre attendono il prossimo sbarco per tornare «in trincea», al molo.

Con il forte vento è volato l’armadietto dove le tre sorelle lasciavano alcuni dei beni di prima necessità, ora toccherà trovarne uno nuovo o saranno loro stesse a realizzarle. Per poter fare sedere i migranti che arrivano in porto Suor Paola, abile falegname, ha cominciato a realizzare sedili con i bancali così come faceva con i più bisognosi quando era in Argentina. «Ora bisogna colorarli e chiunque vuole partecipare è invitato», dicono sorridendo e ringraziando l’amministrazione comunale che accoglie le loro richieste per poter disporre tutto il necessario in quei momenti in cui non ci si può tirare indietro.

Poi ci sono i riti, come quello dell’incenso. Davanti ai corpi che spesso rimangono in attesa nel cimitero dell’isola Suor Ausilia si procura chicchi d’incenso e carboncini per donarli all’agenzia funebre dell’isola. Il profumo dell’incenso cambia la percezione degli odori e come in un salmo eleva la preghiera.

Soltanto qualche giorno fa al cimitero di Lampedusa si è tenuta una piccola cerimonia religiosa in memoria della piccola Doussu, la bimba di sei mesi morta all’interno dell’hotspot di Contrada Imbriacola. «È stata avvolta in un lenzuolino bianco per volere della madre di fede islamica, durante la cerimonia ho portato il telo di lino bianco con il merletto fatto all’uncinetto da mia madre di quando io ero bambina, lo tenevo in mano, nel momento della preghiera», racconta Suor Ausilia che ricorda il primo giorno in cui è arrivata a Lampedusa: «Ero alla porta d’Europa davanti a me il mare, il silenzio, le luci delle barche, ho detto Signore cosa ho fatto per questo regalo?».

Prima dell’arrivo a Lampedusa, dal 2010 al 2019, Suor Ausilia operava a Capaci legata alla parrocchia di San Rocco. «In quegli anni dicevo che non potevamo dedicarci solo alla formazione e a dire i rosari nelle famiglie, bisognava darsi da fare nel sociale». E così per volere della suora salesiana a Capaci si fece il primo oratorio e il grest con 400 giovani e 80 animatori.

L’insegnamento di San Giovanni Bosco si traduce per Suor Ausilia in una visione della società. Il 31 gennaio in occasione dell’anniversario del fondatore dei Salesiani sta pensando di organizzare un convegno che abbia al centro la famiglia. Ma gli spazi nell’isola non sono tanti, non c’è un teatro o un cinema, ma le tre sorelle faranno del loro meglio per trovare la location cercando di coinvolgere soprattutto le scuole.

Tra uno sbarco e l’altro ci sono anche tanti bambini da seguire e anche un senzatetto, l’unico sull’isola di Lampedusa che da mesi vive in via Roma. Le tre sorelle della piccola comunità al molo se ne prendono cura: “Gli abbiamo fatto la barba, da lì non si muove, ma la soddisfazione più grande è che ora viene a messa, ieri gli abbiamo portato un piumone e ci ha risposto: questa è una stufa”.

È il vangelo che si fa testimonianza, presente, l’insegnamento di Don Bosco: da Mihi animas et cetera tolle, dammi mille anime e toglimi tutto. Ogni volta così nel momento dell’incontro al molo Favarolo.

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