Inclusione

Torino, nella casa sociale che rigenera San Salvario

di Alessio Nisi

Un po’ laboratorio di integrazione, un po’ sportello sociale, ma anche spazio ricreativo per bambini e anziani, sicuramente vicino alle esigenze dei cittadini. Con Roberto Arnaudo, direttore dell’agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario, andiamo alla scoperta della casa del quartiere a Sud Est di Torino

«Ho sempre vissuto il mio lavoro come non solo un un modo per guadagnarmi da vivere, ma per dare un senso un po’ alla mia esistenza e cercare di fare delle cose utili e concrete per la comunità, in particolare per la mia comunità di appartenenza». Roberto Arnaudo, 53 anni, è nato e cresciuto a San Salvario, zona Sud Est di Torino, uno dei quartieri più noti del capoluogo piemontese. È il direttore dell’agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario, ente del Terzo Settore che si occupa della Casa del quartiere di San Salvario.

Rigenerazione urbana

Quando Roberto parla della sua vita e del suo impegno «per rendere il mondo un po’ meno brutto» si riferisce anche a questa struttura: ex bagni pubblici, ristrutturati, con un grande cortile, che è diventato negli anni uno spazio di attività e di servizio, ma soprattutto un laboratorio di integrazione, di incontro, di sostegno per chi si trova in una situazione di difficoltà economica o personale, perfino di rinascita. In queste strutture, ce ne sono otto a Torino, «le persone con fragilità economica hanno anche la possibilità di accedere ad uno sportello sociale che offre un supporto materiale a molte famiglie, distribuendo beni alimentari di prima necessità».

Riprendere il percorso

Rinascita? Soprattutto per chi si è perso. Roberto racconta di un «senza dimora che frequentava la casa del quartiere perché non aveva altro posto dove stare» e che ha iniziato piano piano a dare una mano «per piccoli interventi. Scopriamo», aggiunge, «che ha un grande talento in qualsiasi lavoro di manutenzione (muratore,  decorazione, idraulica) ed è diventato il nostro manutentore, una parte del nostro staff e una delle anime della casa».

La prima associazione fondata da senza dimora

Poi parla di una «donna senegalese che faceva da noi un tirocinio terapeutico per problemi psichiatrici. Si è ripresa, arrivando a poter interrompere la psicofarmacologia. Oggi ci aiuta e tiene da noi un mercatino di suoi prodotti artigianali». Con il nostro aiuto poi «sono nate poi delle esperienze associative particolari, per esempio la prima associazione composta e fondata da senza dimora. Oppure un’associazione di donne dell’Africa sub sahariana, di differente nazionalità e al contempo di prima e seconda generazione».

L’idea della casa è nata intorno al 2005 grazie all’agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario. Dopo cinque anni di progettazione, studio e ricerca delle risorse, nel 2010, c’è stata l’apertura

Roberto Arnaudo – direttore dell’agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario

L’agenzia di sviluppo e il lavoro sul territorio

L’agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario è un ente di Terzo settore, è un’associazione ex onlus, che adesso con la riforma è diventata Ets, di secondo livello. I suoi soci non sono persone fisiche ma altri enti non profit che operano nel quartiere: sono circa 25. «L’agenzia, nata nel 2002, ha come mission quella di cercare di occuparsi di migliorare le condizioni di vita in questo quartiere. Abbiamo lavorato prima di mettere su la casa del quartiere, che è stato un po’ un esito della nostra attività quasi decennale. Non è qualcosa che arriva da lontano, ma che è nata attraverso il lavoro sul territorio dall’inizio degli anni 2000 fino al 2010 e che poi si è sviluppata». In questo percorso «siamo sostenuti dal comune di Torino e il lavoro delle case è parte delle politiche pubbliche della città».

Che cos’è una casa del quartiere

«Le case del quartiere sono delle strutture, dei luoghi pubblici, accessibili a tutti, senza tessere, vincoli o obblighi di acquisto che offrono una serie di opportunità, iniziative, eventi di vario tipo rivolti potenzialmente a pubbliche differenti. Nelle case del quartiere ci sono attività per anziani, per giovani, per famiglie, per comunità immigrate. «Una delle loro caratteristiche è che non hanno un solo pubblico, non sono come dei centri anziani né dei centri giovanili, ma si rivolgono un po’ a tutta la comunità. In particolare alla comunità del quartiere dove la casa si colloca».

Le iniziative sono le più varie e cambiano di casa in casa. «A San Salvario ad esempio c’è la scuola popolare di musica, poi ci sono attività di incontro per gli anziani e spazi per servizi di pubblica utilità, ci sono sportelli legali con avvocati che gratuitamente offrono consulenza».

Laboratorio di integrazione

In che cosa è diversa la casa di San Salvario dalle altre otto case torinesi? «È una struttura medio-grande», che ha trovato spazio «in un immobile che era completamente abbandonato di proprietà della città di Torino. L’associazione che lo gestisce ricevette più 13 anni fa un finanziamento importante, quasi 500mila euro, da una fondazione privata». La stessa associazione riuscì ad averlo in concessione dal comune e a ristrutturarlo». Uno spazio «con un cortile molto frequentato, in un quartiere con un’alta incidenza di gruppi di associazioni di cittadini che si attivano e che alimentano a loro volta la casa del quartiere». Siamo vicino alla stazione Porta Nuova, «un luogo che per certi aspetti può ricordare a Roma la zona dell’Esquilino e di Piazza Vittorio».

Anche prima dell’apertura della casa, si sono utilizzate le risorse della cittadinanza attiva per offrire opportunità di miglioramento della qualità di vita nel quartiere

Roberto Arnaudo

Il quartiere che si è reinventato

Una zona, ricorda sempre Arnaudo, che «nei primi anni del 2000 è stato uno dei primi punti di arrivo dell’immigrazione straniera». Un laboratorio di integrazione? Si lo è stato, «è un quartiere non periferico e povero, ma vicino al centro e con una componente borghese, teatro di conflitto certo. Poi nel corso degli anni lo scontro si è attenuato e il quartiere si è un po’ reinventato, fino a diventare uno dei luoghi della movida torinese».

Siamo aperti sette giorni su sette dalle nove a mezzanotte con attività che vanno dallo yoga per anziani allo sportello sociale fino ai corsi di canto

Roberto Arnaudo

Le altre case di Torino

San Salvario non è l’unica zona di Torino che ospita una strutture di questo tipo. In tutto sono otto e sono «nate da percorsi differenti, ma in qualche modo somiglianti come approccio e per modalità di lavoro». Ecco ad un certo punto, «ci siamo seduti attorno ad un tavolo e abbiamo iniziato a fare un percorso comune». Si chiamano Bagni Pubblici di via Agliè, il Barrito, Casa del Quartiere Vallette, Casa nel Parco, Cascina Roccafranca, Casa del quartiere Cecchi Point, Più spazio quattro e poi San Salvario. «Alcune, come Cascina Roccafranca hanno una struttura pubblica, altre sono gestite da enti del Terzo settore: cooperative, associazioni di secondo livello, fondazione di comunità. Altre sono nate come bagni pubblici (erano cioè posti dove le persone che non hanno il bagno a casa andavano a farsi la doccia) e continuano ad essere dei bagni pubblici. La presenza di altri spazi intorno ha fatto però sì che siano diventati luoghi per mostre d’arte, concerti, incontri, laboratori, attività educativa».

Il modello comune e come si sostengono

Il modello comune? «Rivolgersi a pubblici trasversali, fare attività tra le più diverse, ma soprattutto la caratteristica delle case del quartiere di Torino è che l’ente o l’organizzazione che gestisce la casa non si limita alle proprie attività, ma cerca di coinvolgere le risorse del territorio: quindi altre associazioni del Terzo settore, gruppi informali, singoli cittadini attivi». Per fare cosa? «Costruire un programma di attività culturali, laboratoriali per bambini e servizi di pubblica utilità», un «programma fatto insieme a soggetti diversi da quelli che gestiscono la casa».

A San Salvario, precisa Roberto, «abbiamo quasi 100 partner stabili, che vengono tutte le settimane o comunque in maniera ricorrente a fare un’attività: possono essere l’associazione di immigrati, di donne, c’è il teatro Baretti che fa la scuola popolare di musica, c’è il tavolo anziani che è composto da diverse associazioni. Ecco noi offriamo supporto a queste realtà, dandogli degli spazi, aiutandoli nella comunicazione e a realizzare le loro iniziative. Anche a spostare le sedie e a mettere i tavoli, se è utile». In alcune occasioni poi il supporto si focalizza sulle risorse. «Vuol dire cercare i fondi, scrivere progetti e partecipare ai bandi».

Dunque le risorse

Come si sostengono queste realtà? «Con un mix di attività. In parte, le case del quartiere si auto sostengono, gestendo delle attività economiche al loro interno (molte hanno un bar ristorante che produce ricavi che servono pagare le spese di gestione generale), poi ci sono gli spazi che vengono affittati per le attività delle associazioni, che partecipano alla vita della casa con una sorta di compartecipazione economica». Un’altra parte arriva «dal fatto che l’ente gestore della casa del quartiere scrive progetti e partecipa a ogni bando possibile che risulti coerente con la sua attività». L’unico contributo di «sostegno stabile viene dalla compagnia di San Paolo: è importante perché è una fonte di entrate certa e non dipendente da attività commerciale o variabile e si aggira intorno, a seconda delle case, al 10-15-20% del budget complessivo».

Le case del quartiere in Italia

«Sì, ci sono case del quartiere in tutta Italia. Magari sono molto diverse tra loro. Anzi stiamo ragionando intorno a possibili alleanze forse anche alla costruzione di una rete di Casa del Quartiere Nazionale. Ci sono 33 case del quartiere a Bologna, c’è una rete di case del quartiere a Reggio Emilia e a Parma. Ci sono strutture nascenti a Padova e a Latina. C’è un’importante casa del quartiere ad Alessandria, che è gestita dalla Comunità San Benedetto al porto».

Oltre le mura. Un altro aspetto che rende interessanti le case del quartiere è il loro fare attività che non siano confinate solo all’interno della zona di riferimento. «Si cerca il più possibile di organizzare iniziative anche fuori dalle mura del quartiere, costruendo progetti insieme ad altre realtà, ovviamente negli spazi pubblici, cercando in qualche modo di essere dei laboratori di sviluppo locale», spiega sempre Roberto.

Foto in apertura e nel testo per gentile concessione di Agenzia per lo Sviluppo Locale di San Salvario ETS

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