Da oltre quarant’anni l’obiettivo della sua macchina fotografica è puntato sugli ultimi, i senza potere, i poveri, i diseredati, le vittime delle guerre e delle sopraffazioni. E non ha nessuna intenzione di cambiare inquadratura. Lui è Tano D’Amico, fotografo nato a Lipari nel 1942. Lo incontriamo al vernissage della sua mostra milanese, una prima volta nel capoluogo lombardo grazie alla Galleria Bel Vedere. Allo Spazio MIFac (via Santa Marta, 18) sotto il titolo “Le immagini e i senza potere” racchiude accanto agli storici scatti degli anni Settanta, una serie di immagini inedite realizzate negli ultimi due anni e che documentano non solo la coerenza di Tano D’Amico, ma anche la continuità di quella che lui ha definito una “guerra ai poveri”. E alla sua prima milanese ad abbracciare Tano D’Amico non poteva mancare un grande maestro della fotografia meneghina come Gianni Berengo Gardin.
«I poveri sono i nemici di tutti, in tanti vorrebbero che si levassero di torno» dice indicando alcune immagini di recenti sgomberi romani «Lo vedi questo ragazzo? Lo stanno arrestando… ». Dietro a ogni scatto una storia, come quella dei senza dimora, migranti e poveracci che per sei mesi si sono rifugiati nell’atrio della Basilica dei Santi apostoli di Roma. «La chiesa si apre, in senso fisico apre spazi, ma tutti gli altri chiudono. E chi simpatizza con questi disperati rischia l’arresto come questo studente che è solidale con i poveri. Come l’arresto di Cristo del Caravaggio… E guarda questa, c’è una donna che prende la parola e i poliziotti guardano dall’altra parte in fondo l’uomo è sempre uomo anche con una divisa».
Su una parete dello spazio MiFac le immagini di questi ultimi due anni su quella a fianco le manifestazioni del 1977, il corteo degli studenti a Bologna, operai, altre occupazioni, altri sgomberi. Ma non è cambiato proprio niente?
«Per me che ho 75 anni, allora c’erano più speranze. Avevo più fiducia, perché se avessi fatto un bellissimo lavoro, avrei potuto vendere le immagini anche per poco, c’erano giornali militanti, c’era un’alleanza tra artisti, ultimi e musei, imprese culturali… oggi lavoro a vuoto… nessun giornale vuol pubblicare queste immagini scomode», dice con forza Tano D’Amico. Già allora con le sue immagini schierate dalla parte di chi contestava l’ordine costituito uscivano prevalentemente sulla stampa militante come il quotidiano Lotta Continua, diretto da Enrico Deaglio. «C’era la stampa alternativa. Pubblicai anche un libro “È il 77” erano solo immagini, senza parole: un film muto di un anno e ce lo pubblicò l’unico tipografo che non ci disse di no».
Due delle immagini inedite di Tano D'Amico in mostra a Milano, realizzate in occasione di sgomberi a Roma: in alto una donna di colore mentre parla al megafono; in basso il gioco in mezzo alla strada delle bambine spaventate
Per me il bianco e nero è una delle grandi scoperte dell'umanità proprio perché è mia intenzione è aggregare la realtà
Al di là degli abiti e della presenza nelle foto recenti dei migranti sembra che ben poco sia cambiato. Ma c’è una differenza. «Negli anni Settanta c’era una speranza. Attorno a chi lottava c’erano persone, gli operai erano uniti nella lotta. Erano gli anni in cui per la prima volta si affacciavano alla storia i carcerati, i pazzi, le donne comprate e vendute. È a Roma che per la prima volta nell’università occupata sono intervenuti i gay in quanto tali», chiosa il fotografo. E oggi? «Se c’è una speranza di cambiamento, di abbattere il classismo tremendo del nostro Paese, il razzismo è proprio tra gli ultimi che lottano insieme italiani e non. Queste ultime immagini sono un lavoro inedito e non per colpa mia. Sembra quasi che al potere interessi non far accostare il pubblico ai drammi».
Ma allora le immagini di drammi recenti? Come quella di Aylan morto sulla spiaggia? «Era una brutta foto», taglia corto D’Amico che aggiunge: «Una bella foto stabilisce un legame con la vittima e quell’immagine non l’ha fatto».L’immagine quindi deve commuovere, nel senso di muovere «perché il passo successivo è la partecipazione anche attiva» ed è quello che interessa a Tano D’Amico
In molti lo definiscono un fotografo di strada, ma lui non è uno di quelli con smartphone pronto allo scatto e alla condivisione, ma un uomo da macchina fotografica e da bianco e nero. In quarant’anni è rimasto fedele a questa modalità da cronaca d’altri tempi, dove l’assenza di colori non arriva a chi guarda come un di meno. Anzi. E per spiegare questa sua scelta cita Mario Luzi, il poeta, lo storico dell’arte che al passaggio dal bianco e nero al colore del Corriere della Sera commentò «È un uso del colore che disgrega la realtà». «Disse proprio così», incalza D’Amico «Il bianco e nero riporta alle linee essenziali, aiuta a capirla la realtà. Basta rifarsi ai grandi pittori il colore non è messo a caso. I grandi maestri dell’arte usano i colori come un linguaggio. Nella realtà se avessi scattato quella foto a colori e la donna al centro avesse avuto un vestito rosso, sarebbe cambiato tutto… Lo ripeto. L’uso casuale del colore distrae. Per me il bianco e nero è una delle grandi scoperte dell’umanità proprio perché è mia intenzione è aggregare la realtà».
Sognatore e ottimista perché confida nella bellezza dell’immagine che è capace di fare breccia come le bambine che alle spalle del cordone delle forze dell’ordine sembrano accennare un gioco sul cordolo della strada o alle tre donne di diversa età abbracciate come in una pietà laica «non è vero che vincono sempre i ricchi, perché a volte si può vincere nel cuore degli spettatori e questo si può fare».
La mostra “Le immagini e i senza potere”, curata da Roby Schirer è alla Galleria Bel Vedere – Spazio MiFac via Santa Marta, 18, Milano – fino al 10 giugno
Immagini
In apertura: "Uno sguardo (ragazza e carabinieri)", Roma 1977
Nella Gallery:
Donne al balcone, Palermo 1980;
Lotta per la casa, Roma 1977;
Comunione a Mirafiori, Torino 1980
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.