«Il Sud Sudan è la nazione più giovane al mondo. A rischio c’è il futuro di un Paese intero e la stabilità di un’intera regione». Lo afferma Arnauld Akodjenou, Consulente Speciale dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, per la situazione in Sud Sudan, dove un terzo della popolazione è stata costretta a fuggire, dall’esplosione del conflitto nel 2013.
Qual è la situazione attuale nel Paese?
Difficilissima, sia a livello governativo che economico-finanziario, mancano le risorse per garantire l’assistenza e la protezione necessarie alla popolazione. Il numero di sfollati interni è impressionante, sono quasi due milioni. Stiamo parlando di un Paese in cui un terzo delle persone sono state costrette a lasciare le proprie case dall’inizio del conflitto nel 2013, due anni dopo la dichiarazione di indipendenza. Si tratta della nazione più giovane al mondo, che ha già prodotto 2.5 milioni di rifugiati. La crisi sta avendo conseguenze pesantissime sull’intera regione che non può continuare ancora a lungo a convivere con questa instabilità critica e costante.
In che misura sono coinvolti i Paesi vicini?
Ci sono 2.5 milioni di rifugiati fuggiti dal Sud Sudan. Oltre un milione si trova in Uganda, più di 800mila sono in Sudan, oltre 500mila in Etiopia, 220mila in Kenya, circa 100mila in DRC e 3mila in Sud Africa. Molti di questi Paesi stanno già affrontando internamente grosse difficoltà, eppure hanno mantenuto le frontiere aperte, dimostrando grande generosità. Tre Paesi stanno implementando il Comprehensive refugees response framework, seguendo le procedure di accoglienza e registrazione di Unhcr. C’è però ancora molto da fare. Per questo abbiamo lanciato un appello alla comunità internazionale per raccogliere 834.9 milioni di dollari. Mancano ancora i fondi per riuscire a dare una risposta strutturata alla crisi, in termini di assistenza sanitaria e accesso ai servizi. In diversi casi i rifugiati si trovano nelle aree più povere e difficili dei Paesi in cui sono fuggiti, diventando spesso un numero molto maggiore rispetto alla popolazione locale. C’è bisogno di soluzioni politiche.
Da anni la situazione in Sud Sudan risulta gravissima. Perché i media occidentali ne parlano così poco?
Non è che l’attenzione manchi su questa emergenza, ma sicuramente non è abbastanza. Ciò che bisogna dire è che questa è la nazione più giovane al mondo, se non ci occupiamo di questa crisi, il futuro del Paese sarà profondamente a rischio. Più dell’85% dei rifugiati sono donne e bambini e il 63% sono bambini. Questa non è solo una crisi umanitaria è un’emergenza che riguarda i rifugiati bambini. In questo contesto sono moltissimi minori a non aver avuto alcun accesso all’istruzione. Qui c’è in gioco il futuro e se questa crisi verrà ignorata, arriverà comunque il giorno in cui dovremo pagare il conto.
Lo scorso anno, tra le testimonianze provenienti dal Paese c’era anche quella di una ragazza che dichiarava che “l’unico modo per sentirsi al sicuro per una donna, è essere morta”. Qual è la situazione delle donne?
Profondamente difficile. In una condizione di insicurezza così grave le donne rappresentano i gruppi più vulnerabili, insieme ai bambini. Nonostante i tentativi di costruire un processo di pace, il Paese rimane in una situazione di forte insicurezza. Il conflitto si è frammentato e il numero dei diversi gruppi armati è cresciuto. Dall’inizio del conflitto inoltre sono stati uccisi oltre 100 operatori umanitari. Una cifra altissima. L’unico modo per venirne fuori è una soluzione politica, non umanitaria.
Prima ha menzionato il fatto che, nonostante le difficoltà, i Paesi vicini hanno mantenuto le frontiere aperte, continuando ad accogliere i rifugiati. Come saprà in Italia il governo ha chiuso i porti alle navi delle Ong, cariche di naufraghi, lamentando l’eccessiva pressione a cui il nostro Paese è stato sottoposto nella gestione dei flussi migratori in Europa. Cosa ne pensa?
La cosa più importante è il diritto umanitario. Ci sono dei trattati internazionali, che hanno un valore ed è fondamentale rispettarlo. A quel valore è legata anche la misura della nostra umanità. Inoltre bisogna tenere ben presente la situazione globale: in realtà la maggior parte dei flussi migratori avviene tra i Paesi del cosiddetto “sud del mondo”. L’Europa riceve solo una minima parte delle persone che lasciano le proprie case.
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