Samuele è nato a Pinerolo in provincia di Torino 19 anni fa. Non vedente, quando è felice batte forte le mani. Michael si muove su una sedia a rotelle e vive a Bratislava, in Slovacchia. È nato lo stesso anno di Samuele. Quando è felice spalanca le braccia. Vivono a più di mille chilometri di distanza, quasi 11 ore di viaggio in auto, eppure hanno storie incredibilmente simili. A farli incontrare ci ha pensato lo sport, i Giochi mondiali invernali Special Olympics che si svolgono quest’anno per la prima volta in Italia. 1.500 atleti con disabilità intellettiva da 102 Paesi gareggiano fino al 15 marzo in otto discipline: sci alpino, sci nordico, danza sportiva, pattinaggio artistico, floorball, snowboard, racchette da neve e short track. Le sedi di gara sono Torino, Bardonecchia, Sestriere e Pragelato per un evento che conta più di mille coach e delegati, 2mila volontari, mille media accreditati e circa 100mila spettatori.

Due scie parallele
Questa è la storia di due atleti con disabilità e di due papà appassionati. «Samuele ha conquistato già tantissimi traguardi nella sua vita: una decina di anni fa si spostava soltanto in sedia a rotelle, oggi fa qualche passo accompagnato», racconta Andrea Tron, la voce italiana di questo incontro. «Quando ai suoi tre mesi, dopo una grave encefalite, abbiamo compreso l’entità della sua disabilità, ho pensato che non avrei mai sciato con lui. Può sembrare un elemento superfluo il fatto di non poter condividere lo sport con un figlio, ma per me non lo è mai stato: mio padre era un maestro di sci e abbiamo condiviso questa passione da quando ero piccolissimo». La vita invece ha ribaltato le previsioni: «Grazie a Fondazione Paideia, Fondazione Time2 e all’aiuto di tanti, Samuele ha iniziato ad andare con il maestro sul guscio attaccato agli sci. Dietro di loro c’ero io, a imparare a guidare un guscio pieno di sacchi di sabbia. Dopo tre anni, finalmente, il maestro e soprattutto la mamma mi hanno permesso di condurre Samuele e così un giorno ci siamo trovati, insieme, su una delle piste più difficili di Sestriere».
Può sembrare un elemento superfluo il fatto di non poter condividere lo sport con un figlio, ma per me non lo è mai stato: mio padre era un maestro di sci e abbiamo condiviso questa passione da quando ero piccolissimo
Andrea Tron, papà di Samuele, atleta
C’è un nonno determinato e coraggioso anche nella vita di Michael. È stato lui a farlo salire per la prima volta in bicicletta. L’esperimento ha funzionato così bene che il papà si è messo al lavoro per attrezzarne una: «Quando saliamo sulla bicicletta e condividiamo la sensazione di pedalare insieme, sono felice», racconta Miroslav Dolinsky in un video pubblicato sui canali di Special Olympics. Poi è arrivata la neve: «Ho una scuola di sci, quindi per me è stato naturale mettere mio figlio su monosci». Michael e i genitori hanno ispirato altre famiglie: è il primo atleta della categoria Matp in Slovacchia, il programma sportivo di Special Olympics per gli atleti con gravi disabilità intellettive che hanno un elevato bisogno di sostegno e per questo non possono avere accesso alle gare. Offre agli atleti l’opportunità di mettersi alla prova senza competizione con gli altri, semplicemente sperimentando attività volte allo sviluppo di mobilità, destrezza ed equilibrio, modificate in base alle esigenze, agli interessi e alle motivazioni di ogni atleta. L’attenzione è rivolta al raggiungimento dei migliori risultati personali: «Non importa il livello di abilità che possiedi, quel che conta è vivere un’esperienza di sport», spiega Dolinsky.

Questa mattina Samuele e Andrea, Michael e Miroslav si sono finalmente incontrati in pista. A Bardonecchia, si sono esibiti in una dimostrazione di sci: i figli sul guscio, i papà sugli sci nel ruolo di conduttori. «Sei anni fa abbiamo ricevuto il primo cartellino degli Special Olympics Italia con su scritto “Samuele Tron, atleta”. Leggerlo mi emoziona ancora. La discesa insieme al nostro nuovo amico Michael vale molto più di una medaglia d’oro», aggiunge Tron che non riesce a trattenere l’emozione al termine della premiazione.
Marta Aglì, accanto ai giudici e ai tecnici di gara
Special Olympics è fatta di atleti, coach e famiglie pronte a sostenerli, ma anche di un nutrito gruppo di volontari e tecnici che rendono possibile ogni giornata di gara. Per la prima volta, in questo mondiale nello staff compaiono anche persone con disabilità. Una di loro è Marta Aglì, 26 anni, con sindrome di Williams, una rara malattia genetica. Appassionata fondista, è una ragazza solare e molto espansiva, «e questo gioverà a bordo pista», racconta Elisa Grill, allenatrice di sci di fondo, una dei tecnici che compongono lo staff tecnico nazionale. «Marta si muoverà tra varie postazioni: dalle partenze ai controlli, fino al supporto ai giudici che dovranno prendere decisioni su eventuali squalifiche o comportamenti scorretti. Siamo felicissimi della sua presenza: nella costruzione di reali opportunità lavorative o di volontariato per giovani con disabilità, Special Olympics deve essere apripista».

E poi ci sono i volontari aziendali. Una di loro è Marianna Lucia Magliocca, 47 anni, general affairs specialist nella filiale italiana di Mitsubishi Electric. Partecipa a Special Olympics dal 2020: «Da allora non ho mai smesso. Insieme ai colleghi, abbiamo continuato a supportare gli atleti e ho coinvolto anche i miei figli, che oggi hanno 14 e 15 anni». In che cosa consiste l’attività di volontariato? «Mi sono occupata spesso di incoraggiare gli atleti per aiutarli a superare l’ansia pre-gara. Il momento più emozionante è stato la cerimonia di apertura il primo anno, perché non immaginavo quanto impegno ci fosse dietro le quinte e quanto pathos si creasse. Sia io che i colleghi ci siamo emozionati quasi più degli atleti. Il giuramento dell’atleta è “Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze”. Sta qui, per me, l’essenza di Special Olympics».

La storia del movimento
Fondato nel 1968, Special Olympics è un movimento sportivo globale impegnato a porre fine alla discriminazione contro le persone con disabilità intellettive. Con oltre quattro milioni di atleti e partner di Unified Sports® e un milione di allenatori e volontari in 200 Paesi, offre più di 30 sport sul modello olimpico e quasi 50mila eventi e competizioni ogni anno nel mondo. Il movimento è nato nel 1950 dall’impegno di Eunice Kennedy Shriver a partire da un vissuto personale. Sua sorella aveva una disabilità intellettiva, praticavano diverse attività sportive insieme, ma spesso Rosemary era vittima di pregiudizi culturali.

Nel dicembre 1971 la Commissione Olimpica degli Stati Uniti autorizzò in modo ufficiale l’utilizzo del nome “Olympics” e in un protocollo d’intesa firmato il 15 febbraio 1988 la Commissione Olimpica Internazionale riconobbe Special Olympics come rappresentante degli interessi degli atleti con disabilità intellettiva. Il riconoscimento del Cio comporta che le gare e gli allenamenti si conducano secondo i più alti ideali del movimento olimpico internazionale.
In apertura, un momento della cerimonia di inaugurazione degli Special Olympics alla Inalpi Arena (foto Giulio Lapone/LaPresse)
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