Quanti sanno cos’è Galeorto? Potrebbe sembrare il nome azzeccato per un protagonista di un fumetto sul mondo delle galere, ma invece è una splendida realtà di coltivazione all’interno della Casa circondariale Spini di Gardolo (Trento). L'orto, sorto a cavallo tra il 2014 e il 2015 proprio nei mesi seguenti al trasferimento delle struttura carceraria in un moderno edificio – posto nella zona industriale di cui porta il nome, alle porte di Trento – può usufruire di 9mila metri quadrati di terreno dentro le mura carcerarie e ha visto la luce grazie alla collaborazione tra la direzione della Casa circondariale e la cooperativa sociale La Sfera, attiva da anni sul territorio.
“Zafferano, erbe medicinali, ma anche cavoli che diventano crauti per il mercato della filiera equosolidale. Sono questi i prodotti principali”, spiega a Vita.it Bruna Penasa, presidente della coop La Sfera, la cui sede è proprio nelle vicinanze del carcere. “È stato la novità della vicinanza dopo il trasferimento il primo elemento da cui è scaturito il progetto: per una realtà sociale come la nostra, essere a meno di 600 metri da una struttura in cui si possono proporre diverse attività per il reinserimento delle persone è un’occasione da non perdere”.
Il progetto di agricoltura sociale, a cui oggi collaborano 14 detenuti e che nel tempo ha già dato un primo riscontro nel mondo esterno – “un ex detenuto ha trovato subito lavoro nel settore ortofrutticolo dopo l’esperienza con Galeorto” – non era il primo contatto tra il carcere e la cooperativa: “aderiamo al Consorzio Consolida, che da tempo entra nel carcere con altri enti consorziati per svolgere diverse attività tra cui molte di tipo educativo come teatro, sport, corsi di lingua e formazione di vario tipo”, racconta Penasa. Lo stesso carcere ha aperto le porte al Des, Distretto di economia solidale di Trento, di cui Consolida fa parte. “Tutto questo si può fare perché c’è una direzione carceraria molto attenta”, aggiunge la presidente di La Sfera. Sui 250 detenuti presenti, almeno 150 di loro partecipano a percorsi educativi e 50 svolgono mansioni lavorative.
Perché un orto in carcere? “Perché l’importante è proporre più attività possibili per abbattere la recidiva, e il terreno disponibile nel nuovo spazio è stato un vero colpo di fortuna”. Recidiva che senza opportunità educative, di formazione o lavoro inframurario si attesta al 68% a livello nazionale (il fenomeno delle cosiddette “porte girevoli”), mentre con tali opportunità si abbatte al 19%. La coop aveva già attive esperienze di inserimento lavorativo nel settore delle facility, ovvero custodia, facchinaggio, fattorinaggio e cura del verde, ma la produzione orticola è una novità data proprio dal nuovo ambiente.
Ma a chi vengono venduti i prodotti dell’orto? “Per ora nei mercati locali, agli aderenti agli enti del Terzo settore locale e nel circuito Altromercato”, spiega Penasa. Lo zafferano, il prodotto di punta, “è entrato nella sua terza annualità e d’ora in avanti ha raggiunto la qualità giusta per stare sul mercato”. Una birra artigianale, Zafferana, è nata ad hoc grazie alla collaborazione tra La Sfera e l’agrobirrificio Argenteum. “Ora la sfida è ‘uscire’ dal carcere, per esempio trovando spazi esterni coltivabili a orto su cui permettere di lavorare detenuti in Articolo 21, ovvero in esecuzione penale esterna”, indica la presidente della cooperativa sociale. La strada potrebbe essere in discesa, visti i primi risultati e un diffuso riconoscimento da parte della cittadinanza: “i prodotti piacciono sia come qualità sia perché valorizzano la produzione locale”. L’impressione è che del marchio Galeorto si sentirà parlare sempre più spesso.
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