È arrivato in Italia qualche giorno fa, ma solo per una visita di qualche giorno. Poi è ritornato a casa: l’Ucraina. Dmytro Hryhorak è vescovo della diocesi di Buchach. Il motivo del viaggio in Italia è stata la visita alla sede della fondazione Don Carlo Gnocchi di Milano. Perché c’è un filo, anzi due, che legano la realtà di don Gnocchi e la comunità di Hryhorak: la solidarietà e la vicinanza. Don Gnocchi infatti da molti anni sostiene la “Casa della Misericordia” di Chortkiv, nella parte sud-occidentale del Paese, fra Leopoli e la Moldavia. Un centro di accoglienza per bambini e minori con disabilità prevalentemente intellettiva, attivo dal 2016 e realizzato proprio su iniziativa di Hryhorak, che dal febbraio del 2022 è alle prese con il dramma della guerra.
Ha gli occhi chiari Dmytro Hryhorak, parla piano, con le mani giunte. Non si risparmia nei racconti e i pensieri gli si compongono precisi e senza rabbia. Come gran parte degli ucraini è guidato da una convinzione: «Vinceremo questa guerra. Se pensassimo il contrario, saremmo già morti». E sulla possibilità di negoziare con la Russia: «Impossibile, anche negoziare con loro significa morire».
Com’è cambiata la vita della sua comunità e nella Casa della Misericordia?
Tutto ormai ha a che fare con la guerra. Prima facevamo terapie ai bambini, il nostro impegno era tutto per loro. Adesso quei bambini ci sono sempre, ma insieme a loro ci sono anche i feriti di guerra, tanti feriti di guerra, da aiutare e curare. Ci sono gli sfollati interni, rimasti senza casa, tanti sfollati. Dall’inizio della guerra ne abbiamo accolti già più di 1.500.
È stanco, siete stanchi?
Abituati. Siamo abituati. Abbiamo passato i primi sei mesi di guerra nelle cantine. Ad ogni allarme aereo ci nascondevamo.
E poi?
Poi gli allarmi non hanno mai smesso di suonare. Viviamo con le sirene nelle orecchie e proviamo a mandare avanti le nostre vite. Lo so che non è normale vivere così Ma ci siamo abituati alla guerra e questa cosa è una disgrazia. A nostro modo ormai siamo tutti feriti e stanchi, fisicamente e psicologicamente. Celebriamo funerali tutti i giorni.
Dopo oltre due anni di guerra vi sentite abbandonati rispetto all’inizio? Crede che l’attenzione su questo conflitto sia un po’ calata?
No, direi di no. Non ci sentiamo soli. Né internamente, né esternamente.
In che senso?
La guerra ha unito un popolo, quello di noi ucraini, che prima era diviso. E ha reso più forti i legami con le diaspore ucraine all’esterno. E poi abbiamo riscoperto quel sentimento di amicizia e vicinanza con tanti Paesi europei: abbiamo amici in Italia, Don Gnocchi è un esempio, ma anche in Francia, in Germania e nel resto all’Europa. Realtà che ci hanno sostenuto in vari modi. Quindi sappiamo di non essere soli.
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Ma due anni di guerra sono un tempo lungo…
Noi come chiesa, come cristiani, cerchiamo la forza da Dio. Senza la fede per noi sarebbe impossibile andare avanti. E noi abbiamo la fede. E ora anche un’altra responsabilità.
Quale?
Quella di tutta l’Europa. Come andranno le cose in questa parte di mondo dipenderà da noi. Perché se l’Ucraina perde questa guerra con la Russia, cosa succederà poi nel resto d’Europa? La Russia non si fermerà alla cancellazione dell’Ucraina. Ma noi siamo convinti che insieme la fermeremo e vinceremo.
Nelle scorse settimane qui in Italia hanno fatto molto discutere le dichiarazioni di Papa Francesco che avrebbe detto che Kiev dovrebbe issare “bandiera bianca” per mettere fine ai combattimenti e ai morti.
Abbiamo sentito tutti le parole del Papa. E come prima cosa voglio dire che il Papa è sempre il Papa. Certo, per me quelle parole sono state uno shock, e non credo solo per me. Siamo comunque un popolo ferito, e la ferita è aperta. Però penso che quello fosse solo un suo pensiero personale. Alzare bandiera bianca, abbassare la testa davanti alla Russia, non è possibile. Noi siamo per la pace, non abbiamo cominciato questa guerra. Ora stiamo combattendo per proteggere i nostri figli.
Quella del negoziato è una possibilità che escludente categoricamente?
Sì. Negoziare con la Russia vorrebbe dire solo una cosa: morire. Essere cancellati come popolo e come nazione. Dei russi non ci fideremo mai. Ci uccidono e continueranno a farlo. Le storie che arrivano da chi è riuscito a scappare dai territori occupati o dalle aree del Paese più colpite dalla guerra sono incredibili. Uomini, donne, bambini, anziani. Non hanno pietà per nessuno.
Dopo tutto questo crede che la parola pace sia ancora una parola possibile?
Ma certo che noi vogliamo la pace. Ma la pace che porta alla vita, non la pace che porta alla morte. Negoziare con la Russia significherebbe morire. Lo ripeto: non ci vedono come popolo, non ci vedono come nazione.
È una situazione complicata. A scarseggiare adesso sono anche gli aiuti militari.
Abbiamo fede. Troveremo le risorse.
Don Gnocchi in questi due anni vi ha sostenuto con l’invio di beni di prima necessità, farmaci e materiali sanitari. Ma già prima della guerra la Casa della Misericordia ospitava 90 bambini con disabilità, ponendosi come un punto di riferimento per una comunità già piegata da alcolismo, violenza familiare, povertà estrema, all’interno di un contesto di crisi economica aggravata dall’emergenza Covid.
La relazione con Don Gnocchi è iniziata quasi dieci anni fa. Il supporto di realtà come questa per noi era ed è fondamentale. I servizi sociali in Ucraina, ma questo anche prima della guerra, non erano perfettamente performanti. E per farli crescere servono tempo e soldi. Quindi serve che la guerra finisca. Il vostro aiuto per noi è importante come la vita, è il prezzo della vita.
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Nella foto di apertura il vescovo Dmytro Hryhorak
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