Mens sana in corpore sano, dicevano i latini. E c’è del vero: l’attività sportiva può essere un modo per aiutare a sentirsi meglio chi ha problemi di salute mentale. Lo dimostra l’esperienza di Crazy for football, un progetto di calcio a cinque ideato dallo psichiatra Santo Rullo: una squadra nazionale, che nel 2018 ha portato agli azzurri il titolo di campioni del mondo. E che, dal 23 al 28 settembre, si contenderà a Roma la coppa della “Dream euro cap 2024” con gli altri team europei composti da persone con disturbi mentali. Si tratterà di un momento di festa e di inclusione, oltre che di sana competizione sportiva. Perché, come spiega Giuseppe Cardilli, membro della nazionale Crazy for football, questo torneo non crea divisioni e confini, ma li abbatte.
Com’è arrivato alla nazionale Crazy for football?
Ci sono arrivato in modo un po’ insolito. Di solito vengono organizzate delle selezioni ufficiali su tutto il territorio nazionale, in concerto con i presidi di salute mentale. Io, invece, sono stato notato nel corso di un festival che si chiama Insania – Contronarrazioni della follia, che svolge a Cori in provincia di Latina – il mio paese d’origine -, di cui sono uno degli organizzatori. L’anno scorso, a ottobre, è stata fatta una partita di calcetto tra una selezione locale di calcio a cinque e Crazy for football. Io giocavo con la selezione locale. Dopo, il mister di Crazy for football mi ha convocato in nazionale.
Come si è sviluppata la tua passione per il calcio?
Ce l’ho sempre avuta, fin da bambino. In realtà ho cominciato a giocare un po’ tardi, a 13 anni, nelle scuole calcio e nei settori giovanili della provincia di Latina. Fin da piccolo, però, non avevo la passione per la nazionale, per varie ragioni, ancora più evidenti di questi tempi.
Cioè?
La retorica della Nazione, a cui mi piace sostituire quella di Paese, che parla di accoglienza, di solidarietà e di integrazione. La prima tende a creare confini, non solo fisici. Però, quando ho conosciuto la nazionale di Crazy for football mi sono detto: questa è quasi una “contro-nazionale” e mi è venuta voglia di essere convocato, così ho dato tutto nella partita al festival.
In Crazy for football alla logica della sopraffazione tra i gareggianti si sostituisce la logica della solidarietà e dell’inclusione
In che senso parla di “contro-nazionale”?
Perché la nazionale, come dicevo prima, è quasi una metafora della società in cui viviamo, che divide le persone e provoca molta sofferenza; invece vorremmo stare in una società – e Crazy for football me ne pare un simbolo – in cui sì, magari si compete e ci possono essere delle classifiche, ma la posizione in cui ti collochi non determina un giudizio di merito sulla tua condizione. Soprattutto alla logica della sopraffazione tra i gareggianti si sostituisce la logica della solidarietà e dell’inclusione.
Le va di raccontarmi qualcosa della sua storia personale?
Sono entrato nel circuito di cura per la salute mentale 12 anni fa, nel 2012, quando ho avuto un episodio psicotico e c’è stato il mio primo Tso (Trattamento sanitario obbligatorio, ndr). Ero abbastanza giovane, avevo 24 anni, è stato un grosso trauma. Sin dall’adolescenza, però, avevo dato alcuni segni di malessere mentale, che poi sono sfociati in questa esperienza. Da quel momento ci sono stati parecchi altri Tso, perché non sono riuscito a essere costante nelle cure. E non sono stato nemmeno costante nello sport: come dice Santo Rullo, l’inventore di Crazy for football, l’integrazione tra cure farmacologiche, rapporti sociali e attività sportiva può migliorare la salute mentale delle persone.
Lei si sente migliorato da quando gioca con la nazionale?
Allenarci e stare in forma, anche in vista di questo europeo che si svolgerò a settembre, ci induce a essere continui nelle cure ed è comunque terapeutico anche in sé stesso.
Come si svolge un allenamento tipico della nazionale?
Recentemente abbiamo fatto un ritiro in Puglia. Ci siamo allenati in maniera molto serrata, mattina e pomeriggio per quattro giorni di fila. Durante le sessioni, prima il mister fa il suo discorso motivazionale, sull’uscire dal guscio, sui nostri vizi e sui nostri sgarri. Poi facciamo il riscaldamento e lo stretching, seguito da una parte più atletica. Tutto, però, è fatto in maniera piacevole, col pallone tra i piedi. Si integra l’aspetto tecnico, quello fisico e un po’ di tattica. Nel calcio a cinque bisogna saper stare in campo, si deve sapere i movimenti precisi: è un gioco molto veloce, in cui un piccolo sbaglio può dare l’occasione agli avversari di fare gol.
E com’è il rapporto con i compagni di squadra?
Per quello che mi riguarda è ottimo, ma sono relativamente “nuovo”, non sono in nazionale da nemmeno un anno. Ho avuto la possibilità di interagire bene con loro e di integrarmi solamente quando sono stato in Puglia, dove abbiamo fatto davvero gruppo, stavamo sempre assieme. Ci sono, ovviamente, alcune persone con cui sono entrato più in sintonia; le situazioni sono un po’ particolari, non tutti abbiamo lo stesso livello di interazione sociale. Se vuoi avere un contatto stretto col tuo compagno di squadra devi entrarci in empatia in maniera graduale, rispettando magari alcune sue debolezze e sensibilità. Non è uno spogliatoio di calcio classico, è uno spogliatoio che va trattato con delicatezza. Quando si entra in sintonia, però, ci si entra più profondamente.
Penso che quella che mi aspetta sia un’esperienza di grande coinvolgimento, interazione e integrazione tra diverse persone di tutta Europa, che si trovano per una festa di partecipazione e di scambio
Cosa si aspetta da questo europeo?
Sono molto emozionato, teso e speranzoso del risultato. Spero proprio che lo vinciamo: siamo campioni del mondo in carica e vogliamo diventare anche campioni d’Europa. Nel girone abbiamo l’Inghilterra che, mi dicono, è una squadra molto forte. Al di là del risultato sportivo, però, penso che quella che mi aspetta sia un’esperienza di grande coinvolgimento, interazione e integrazione tra diverse persone di tutta Europa, che si trovano per una festa di partecipazione e di scambio.
Ci racconta un episodio che porta nel cuore rispetto alla sua partecipazione alla nazionale di Crazy for football?
Ne racconto due, se posso. Il primo è stato quando ho conosciuto la nazionale, come dicevo, a Cori, durante il festival, e ho giocato con la rappresentanza locale. Alla fine mi è stato detto che il mister aveva chiesto il mio numero per chiamarmi. In quel momento ho detto “Si, cavolo. Io non ho mai sognato di giocare in nazionale e invece ora mi ritrovo a sognare che mi chiami per giocarci”. Mi sono quasi commosso. L’altro ricordo più bello è quello della partita che abbiamo fatto in Puglia, a fine maggio. C’era un torneo organizzato da tutti i Csm della Regione; poi una selezione dei migliori giocatori ci avrebbe sfidato l’ultimo giorno. Noi stavamo perdendo la partita. Alla fine del primo tempo il nostro mister ha notato delle debolezze degli avversari e ci ha fatto capire come avremmo dovuto agire per contrastarli. Così siamo rientrati in campo e abbiamo ribaltato la partita. Nel momento in cui siamo passati in vantaggio io ero in panchina e ho visto l’allenatore esultare in maniera così vera ed emozionante che – pure qui – mi sono quasi commosso.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.