Per Espen Stoknes

“Se non si cambia il sistema, il collasso globale è garantito”

di Paolo Manzo

Per Espen Stoknes, classe 1967, dirige a Oslo il Master of Management, è membro del Club di Roma ed è l'economista che più ne sa al mondo di economia sostenibile. Il suo ultimo libro, pubblicato da Franco Angeli, è la sua risposta ai ragazzi di oggi che sono depressi, arrabbiati e frustrati con gli adulti. E che almeno prima del Covid scendevano in strada e chiedevano un cambiamento dei sistemi. Vita lo ha intervistato qui in esclusiva e il suo messaggio è chiaro: o si cambia registro (e si può fare benissimo) o il mondo è destinato al collasso, sociale e naturale

L’economista norvegese Per Espen Stoknes è uno dei maggiori esperti di energia sostenibile al mondo e ha lavorato con il Club di Roma partendo dal celebre rapporto del 1972, realizzato con il MIT, The Limits to Growth, i Limiti alla Crescita. Per capire, mezzo secolo dopo, cosa è successo dopo quel rapporto, a che punto siamo e quale crescita sia oggi possibile, il Club di Roma pubblicherà a settembre un nuovo rapporto a cura di Eart4All, un progetto a cui ha dato un impulso fondamentale proprio Stoknes, per il quale "l’economia del domani” è oggi la sola ancora di salvezza. Non a caso, "L’economia di domani” è il titolo suo ultimo libro, pubblicato in Italia da Franco Angeli Editore, che l’economista norvegese presenterà a Roma il prossimo 21 ottobre, ospite del Festival della Diplomazia. Vita lo ha intervistato in anteprima.

Professor Stoknes, quali sono le priorità per un'economia sostenibile a livello globale?

Sono cinque le priorità. La prima è garantire che i Paesi a basso reddito ricevano un sostegno finanziario per raggiungere tassi di crescita molto più elevati, perché nel mondo ci sono 4 miliardi di persone che vivono con meno di 4 dollari al giorno. Ciò deve avvenire insieme alla triplicazione degli investimenti globali nelle rinnovabili, in modo che il modello di crescita dei Paesi a basso reddito non ripeta quello di Stati Uniti e Cina. Terza priorità: ci deve essere quella che io chiamo la "produttività sociale della crescita”, ispirandomi a un economista cileno, Gabriel Palma, che compara i redditi del 10% più ricco della popolazione a quelli del 40% più povero. Si tratta quindi di orientare la distribuzione verso il 40% inferiore. La quarta priorità è migliorare l'uguaglianza di genere, garantendo alle donne un rapido accesso all'istruzione, a un reddito proprio e a un lavoro. Infine, la quinta priorità, è investire nell'intensificazione sostenibile dell'agricoltura, in modo da ottenere più cibo da una superficie minore di terra, per poi spostarci verso un'agricoltura rigenerativa, in modo che il carbonio nel suolo si accumuli e aiuti la produttività dei sistemi alimentari e gli ecosistemi a prosperare.

Quali sono i maggiori rischi se non si fa nulla?

Si arriverà al collasso della società e, se vogliamo riferirci alle notizie di oggi, in Sri Lanka e in Ecuador sta accadendo esattamente questo. Noi lo chiamiamo "indice della tensione sociale", calcolando quanto la disuguaglianza alimenta il rischio di rivoluzione. Se non si fa nulla ci saranno così tanti conflitti e tensioni sociali che i sistemi politici non saranno più in grado di rispondere alle crisi. A medio termine il rischio è la frammentazione della società e la mancanza di cooperazione, con i più poveri che soffriranno sempre più fino al 2050. E dal 2050 in poi sarà ormai troppo tardi per cambiare il clima, l'oceano, il sistema naturale. L'Amazzonia supererà il suo limite e inizierà un declino irreversibile di incendi boschivi e inaridimento ma il collasso sociale viene prima. Oggi ci si concentra solo sulle tensioni sociali, non sul coordinamento della nostra risposta al collasso ecologico.

Cosa possiamo fare noi cittadini per migliorare le cose?

Sono quattro i ruoli in cui i singoli individui possono esercitare il proprio potere. Il primo è quello di consumatore. Se non potete permettervi il prodotto più biologico, chiedete "Che cos'è e dove si trova?”, in modo che il gestore del negozio si renda conto che c'è una domanda per questi prodotti. Come consumatori, dovreste anche guardare l'impronta ecologica del cibo, ovvero la vostra distanza dell’origine del prodotto. Si vota sempre con il portafoglio e c'è un potere dei consumatori se è vero che quando si chiede agli amministratori delegati chi è che determina la velocità della loro strategia di sostenibilità rispondono due cose: il cliente e i dipendenti. E il secondo ruolo è proprio quello del lavoratore. Possiamo parlare con i nostri colleghi o il nostro sindacato e inserire i temi ambientali al centro. Ad esempio, se lavori per un giornale stampato su carta, chiedi che carta comprano. Da lavoratore, libero professionista e datore di lavoro posso influenzare il portafoglio prodotti dell'azienda essendo innovativo, parlando con il responsabile degli acquisti, il superiore e i team. Se sollevo un problema, avrò un impatto enorme sulla velocità del cambiamento in azienda, potrò inviare proposte ai capi, al responsabile della strategia, al responsabile dello sviluppo del business. Tu, come analista, scrivendo dell'economia del domani stai cambiando il portafoglio di articoli che il tuo giornale offre per avere una quota maggiore nell'area della sostenibilità. Abbiamo un potere sia come consumatori che lavoratori ma anche, e questo è il terzo ruolo da cittadino, se sono proprietario di qualcosa, qualche azione, una pensione, una casa, un'auto, qualsiasi cosa. Posso spostare ciò che ho verso una maggiore sostenibilità delle risorse verso un'economia pulita.

Come?

Chiamando i gestori dei miei fondi azionari o pensionistici per chiedere che tipo di valutazione governance ambientale, sociale e aziendale (ESG) usano, che verifiche fanno per assicurarsi che non stiano investendo in grandi aziende che fingono di essere verdi. Questo è il ruolo di proprietario: influenzare il posizionamento dei miei beni nel mondo. Infine, naturalmente, sono anche un partecipante della società civile e ho, almeno nelle democrazie, l'opportunità di votare. Ognuno di noi deve votare per il programma del partito più responsabile dal punto di vista ambientale, ogni volta che c'è un'elezione. Alla fine le democrazie si muoveranno. All'interno di questi quattro ruoli, ci sono almeno dieci opportunità per ciascuno di noi di fare qualcosa. Vorrei incoraggiare chiunque altro stia leggendo questa intervista a prendere almeno cinque post-it e a scrivere altrettante cose che potrebbero fare in ciascuno di questi quattro ruoli.

Perché è così difficile abbandonare le fonti di energia fossile?

Per tre motivi. Il primo è il rischio normativo e la burocrazia. Se si vuole che un investitore metta più soldi nelle rinnovabili, è necessario un contratto di acquisto di energia elettrica della durata di 20 anni che garantisca un buon rendimento nel periodo e si dovrà avere una controparte, un'azienda elettrica, una comunità, una regione, un governo che garantisca questo accordo di acquisto di energia. Sviluppare questo sistema in tutti i Paesi del mondo, con diversi tipi di normative e diversi tipi di governo, è un’impresa titanica. Il secondo ostacolo è la finanza. In Europa non c’è questo problema ma se volete volete fare un investimento nelle rinnovabili in Nigeria, Zimbabwe o Malesia, paesi che hanno un rating basso, le banche vi chiederanno un interesse molto alto, soprattutto se paragonato a quello dei combustibili fossili. Tutti i costi delle energie rinnovabili sono infatti iniziali, perché bisogna comprare i pannelli solari che creano la rete e le pale eoliche. Ma una volta che li hai, c'è un costo marginale pari a zero e si continua a produrre energia dal sole e dal vento. Se invece si costruisce una centrale, all'inizio è molto più economico costruirla ma poi bisogna continuare a pagare il gas o il carbone. Quindi si rimanda parte dei costi, il che rende il progetto meno rischioso dal punto di vista finanziario ma peggiore per le generazioni future. In terzo luogo, c'è l'interesse acquisito della lobby dei combustibili fossili che farà tutto il possibile con politici corrotti per ottenere un trattamento preferenziale per la loro energia e cercare di impedire alle rinnovabili di conquistare quote di mercato.

Ci sono oggi buoni esempi da seguire?

Si, penso alla Danimarca, sino a pochi anni fa il paese funzionava quasi interamente a carbone e gas ma poi ha cambiato radicalmente il suo sistema energetico. La più grande compagnia allora esistente, la Danish Oil and Natural Gas, nel 2017 ha cambiato il nome in Orsted e oggi il più grande fornitore di energia eolica offshore del mondo. Se altri Paesi si ispirassero alla Danimarca, risolveremmo la crisi climatica per tempo.

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