Nel fracasso del nuovo disordine mondiale, c’è un angolo di questa terra in cui si consuma un dramma che non ha precedenti: il Camerun. Mai nella storia post-coloniale di questo paese strategico dell’Africa centrale, lo Stato è stato sfidato da un gruppo di persone decise a fare tabula rasa dell’ordine costituito. Dal 2014, il movimento jihadista di origine nigeriana Boko Haram ha fatto oltre 1.500 morti (di cui 1.400 civili), gettando sulle strade 200mila sfollati camerunensi e circa 85mila rifugiati nigeriani.
Di fronte alla minaccia salifita, il governo italiano ha approvato un Programma di intervento regionale per fornire protezione e assistenza umanitaria alle popolazioni delle aree più colpite dallo scontro che oppone Boko Haram agli Stati del Lago Ciad. Su otto milioni di euro di finanziamento, tre andranno a finire in Camerun (Estremo Nord) e in Ciad. Due paesi che rientrano nelle sfere di competenza di Samuela Isopi, nominata tre anni fa ambasciatrice italiana a Yaoundé e accreditata anche in Repubblica centrafricana e Guinea Equatoriale.
Di crisi, Samuela Isopi, se ne intende. Già dal 2009 al 2012 ricoprì le vesti di Consigliere Politico e Vice Capo Missione all'Ambasciata d'Italia a Kabul, dove venne incaricata del coordinamento del settore politico e della cooperazione allo sviluppo. In questa intervista concessa a Vita.it al termine di una sua recente missione effettuata nel Nord Camerun assieme ad una delegazione del governo camerunense, Samuela Isopi spiega perché l’Italia deve stare al fianco del popolo camerunense in un paese che, nonostante le tensioni che stanno colpendo anche alcune regioni anglofone e un clima politico che non favorisce l’emergere di una nuova classe dirigente, “dispone di potenzialità umane ed economiche straordinarie che pochi paesi africani possono vantare”.
Ambasciatrice, qual’è stato il significato di una missione di questo genere in una regione come quella del Nord Camerun, in preda alla povertà e alla minaccia Boko Haram?
E’ stato un segnale molto forte inviato alle popolazioni locali, ma anche ai terroristi di Boko Haram. La loro minaccia non deve e non può impedire a un’area del paese dal potenziale enorme di svilupparsi e vivere in pace. Purtroppo le regioni del Nord Camerun sono state a lungo trascurate dal potere centrale, è quindi importante che ritornino al centro dell’attenzione, con le autorità nazionali in prima linea e la Comunità internazionale al loro fianco. Abbiamo visitato tantissimi comuni e comunità, anche molto remote, dove le infrastrutture sociali come le scuole e i centri sanitari sono molto scarse, se non inesistenti, e che il governo deve migliorare. Entrare in classi che accolgono dai 70 ai 90 alunni non può lasciare indifferente.
Il problema è che non ci si può limitare a costruire, le risorse umane sono altrettanto, se non più importanti ancora. Purtroppo è difficile trovare nei settori educativo e sanitario funzionari o personale disposti a vivere nel Nord, dove le condizioni di vita sono più difficili rispetto ad altre regioni del Camerun. L’Italia è pronta a fare la sua parte, a patto però che le autorità camerunensi facciano la loro. Dopo una prima fase dedicata alle infrastrutture, abbiamo invitato i ministri competenti ad orientare gli sforzi sulle risorse umane. E’ importante che i servizi di base funzionino perché sono la dimostrazione che lo Stato c’è e che sa stare al fianco dei suoi cittadini.
La minaccia di Boko Haram non deve e non può impedire a un’area del paese dal potenziale enorme, la regione dell'Estremo Nord, di svilupparsi e vivere in pace.
In che modo la Comunità internazionale sta rispondendo alla crisi umanitaria nel Lago Ciad?
Purtroppo la crisi umanitaria di quest’area è stata in gran parte sotto-finanziata. Secondo i dati rilasciati dalla Nazioni Unite, in settembre 2016 meno di un terzo (197 milioni di dollari, ndr) della cifra totale (739 milioni di dollari, ndr) richiesta per far fronte all’emergenza nei quattro paesi del Lago Ciad, aveva ricevuto una coperatura finanziaria. All’appello mancano oltre 500 milioni di dollari.
Che ruolo ha l’Italia sul fronte umanitario?
Il programma adottato dal governo italiano per sostenere le fasce di popolazione più vulnerabili nella regione del Lago Ciad prevede uno stanziamento di circa 8 milioni di euro, di cui due milioni già destinati alla Nigeria, gli altri sei milioni divisi tra Ciad e Camerun, con tre milioni di euro, e il Niger. Finora i principali interventi italiani di contrasto all’emergenza generata da Boko Haram si sono concentrati sul versante nigeriano del Lago Ciad attraverso quattro interventi di assistenza umanitaria sul canale multilaterale via l’OIM, l’ACNUR, l’UNICEF e la Croce Rossa internazionale.
Quali gli obiettivi del Programma lanciato dal governo italiano?
L’obiettivo principale è di fornire protezione e assistenza umanitaria alle popolazioni colpite da Boko Haram, in particolare gli sfollati interni che vivono in campi appositamente allestiti, nei siti spontanei e nei villaggi di accoglienza, estendendo l’accesso ai servizi educativi, sanitari, abitativi e psico-sociali, aumentando la disponibilità di acqua potabile e promuovendo attività generatrici di reddito. I bisogni sono enormi: nell’intera regione del Lago Ciad si contano oltre 21 milioni di persone colpite dalle violenze di Boko Haram, mentre 9,2 milioni di uomini, donne e bambini – tra cui sette milioni nella sola Nigeria – avrebbero un bisogno urgente di assistenza umanitaria. La metà degli sfollati interni sarebbero bambini con un’età inferiore ai cinque anni e circa il 90% vivrebbe in villaggi di accoglienza, il che crea non poche tensioni tra questi sfollati e chi li ospita.
Che situazione prevale in Camerun?
Le violenze hanno costretto oltre 200mila camerunensi a lasciare i propri villaggi, ai quali si sommano 86mila rifugiati nigeriani che vivono prevalentemente nel campo di Minawao, ormai sovraffollato. La nostra prima azione in Camerun risale al 2015, con un volo umanitario della cooperazione italiana in collaborazione con Intersos e la distribuzione di beni non alimentari agli sfollati. Già all’epoca avevamo intuito che i profughi camerunensi stavano in condizioni peggiori rispetto ai rifugiati nigeriani, subito assisti dalla macchina umanitaria. Attraverso questa operazione abbiamo erogato 500mila di euro a favore di 28mila nuclei familiari, ai quali si sommano un milione di euro messi a disposizione dell’ACNUR per lavorare assieme a Intersos, sia all’interno del campo pro di Minawao che all’esterno per assistere gli sfollati.
Attraverso il nuovo Programma di assistenza umanitaria, sosterremo dei progetti nella regione dell’Estremo Nord che saranno gestiti da ong italiane e altre organizzazioni non profit chiamate ad implementare iniziative nei settori della salute e della sicurezza alimentare, quello educativo e a favore della protezione degli sfollati. Detto questo, vorrei ricordare che la cooperazione non è soltanto governativa, ci sono tanti attori coinvolti in azioni socio-umanitarie, penso ad esempio ai missionari e alle Onlus cattoliche presenti in Nord Camerun, che da decenni sostengono i più deboli. Cercheremo di coinvolgere anche loro nelle nostre iniziative.
L’obiettivo principale del programma della cooperazione italiana è di fornire protezione e assistenza umanitaria alle popolazioni colpite da Boko Haram, in particolare gli sfollati interni che vivono in campi appositamente allestiti, nei siti spontanei e nei villaggi di accoglienza.
Sulla sicurezza che cosa ci può dire?
Che è molto migliorata rispetto al passato. Certo le popolazioni civili non sono al riparo degli attacchi kamikaze, che sono ripresi con la stagione secca, ma le autorità locali, assieme alle forze dell’ordine e quelle armate, nonché il governo stanno svolgendo un grande lavoro per garantire la sicurezza non solo ai cittadini, ma anche agli operatori umanitari e i missionari presenti sul terreno. Purtroppo la lotta contro Boko Haram sarà lunga, ma va sostenuta perché dalla stabilità del Camerun e dei suoi vicini dipendono il futuro sia dell’Africa centrale che del Sahel.
Dopo il Nord, il governo camerunense è alle prese con un’altra crisi, scoppiata a fine novembre nel sudovest dove la comunità anglofona, maggioritaria in questa regione, protesta contro la sua marginalizzazione ad opera della maggioranza francofona. Sinora il dialogo è stato sopraffatto dalla repressione della polizia camerunense contro chi chiede pacificamente più diritti. C’è una soluzione a questa crisi?
Un caso angolofono esiste e non lo si può sicuramente negare, ma va inserito in un quadro storico complesso. Il Camerun è un paese nato dall’unificazione di due parti che in realtà non si sono mai integrate. La comunità angolofona ha conservato il modello di ordinamento giuridico britannico, il Common Law, e un sistema educativo di tipo anglosassone, mentre la parte francofona ha ereditato del sistema politico coloniale francese. Nonostante le tensioni persistenti, sono convinta che si finirà per trovare un nuovo equilibrio, ma è importante che entrambe le parti lo vogliano.
Di sicuro, alcune rivendicazioni richieste da certe categorie che sono all’origine della contestazione andrebbero prese in considerazione. Penso agli avvocati che lamentano l’assenza di testi giuridici in inglese e alla mancata riorganizzazione dell’apparato giudiziario, oppure al corpo insegnante e agli studenti che denunciano un sistema anglofono che secondo loro tende a francofonizzarsi. Non credo che il separatismo sia una via proponibile, un riequilibrio nei rapporti tra francofoni e anglofoni invece sì. Il Camerun ha sempre fatto della diversità e del dialogo tra le comunità la sua ricetta per superare i momenti difficili. Questa crisi può essere risolta soltanto attraverso un dialogo tra le parti in conflitto.
Alcune rivendicazioni richieste da certe categorie della popolazione anglofona che sono all’origine della contestazione andrebbero prese in considerazione. Nonostante le tensioni persistenti, sono convinta che si finirà per trovare un nuovo equilibrio.
Ma nel suo discorso televisivo di fine anno, il Presidente Paul Biya è più incline a ristabilire l’ordine, sostenendo che il Camerun “è uno e indivisibile”…
Il Presidente Biya ha ricordato il sacrificio e la volontà dei padri fondatori del Paese, che si sono battuti per l’indipendenza del Camerun e per la sua riunificazione, decisa con un referendum, e quindi non con la forza, nel 1972. Ha detto anche che “tutte le voci sono state ascoltate” e che ci sono rivendicazioni legittime che avranno una giusta risposta. Occorre che tutte e due le parti vogliano il dialogo. Confidiamo che questo avvenga per il bene di un paese che ha un ruolo centrale per la stabilità della regione.
Dopo la visita del Presidente Mattarella lo scorso anno, a febbraio è prevista una missione economica del vice ministro degli Esteri con delega alla cooperazione internazionale, Mario Giro, in Camerun. Con quali obiettivi?
Durante la visita di Mattarella, la controparte camerunense ci ha chiesto di rafforzare la cooperazione economica tra l’Italia e il Camerun, che poi è la condizione sine qua non dello sviluppo del settore privato locale e della capacità ad attrarre nuovi investitori stranieri. Con questa missione, vogliamo favorire l’incontro tra il settore privato camerunense con quello italiano e convincere gli imprenditori del nostro paese a investire in questo paese, nonostante i problemi che sussistono.
Il Camerun, come io credo il resto dell’Africa, ha bisogno di più commercio, di più economia, per creare posti di lavoro per i giovani e generare reddito. La cooperazione allo sviluppo da sola non basta e dovrebbe essere più orientata a favorire lo sviluppo dell’economia, attraverso il sostegno all’impresa privata, la formazione delle capacità umane e il trasferimento di know-how. Sono le due cose che i camerunesi ci hanno chiesto: più impresa e più formazione di qualità anche in loco. Non più aiuti.
Dopo la visita del Presidente Mattarella, co la prossima missione del Vice ministro degli Esteri, Mario Giro, vogliamo favorire l’incontro tra il settore privato camerunense con quello italiano e convincere gli imprenditori del nostro paese a investire in questo paese, nonostante i problemi che sussistono.
Infatti il Camerun è spesso criticato per la sua assenza di good governance e una corruzione molto diffusa. Come convincere imprenditori ad investire in un paese dalle potenzialità così inespresse?
Più si promuove un sistema in cui le aziende non vengono soltanto a vendere le loro tecnologie o merci, ma favoriscono un business pulito attraverso partenariati di successo, più si alzano le possibilità di migliorare la governance del paese. L’esperienza dell’Europa e dell’Asia ci dimostrano che lo sviluppo economico sta alla base di tutto, soprattutto della società. In Camerun ho incontrato imprenditori, giovani e non, di grandissimo talento, che vanno sostenuti.
A differenza di altri paesi partner africani, il Camerun gode di un settore privato dinamico e di una classe imprenditoriale competente, che non si limita alle grandi multinazionali. Dobbiamo guardare alle piccole e medie imprese, che poi sono l’alleato più prezioso per lottare contro la disoccupazione, special modo quella giovanile e consentire al Camerun di sfruttare le sue enormi potenzialità per promuovere un’industria di trasformazione. L’Italia, con la sua storia imprenditoriale, è un partner ideale che può favorire questa svolta e inculcare una nuova cultura di business. Se scoraggiamo le imprese italiane ed europee ad investire, a fare affari, non aiuteremo mai il paese a sviluppare una cultura degli affari e una governance sana.
La cooperazione allo sviluppo da sola non basta e dovrebbe essere più orientata a favorire lo sviluppo dell’economia, attraverso il sostegno all’impresa privata, la formazione delle capacità umane e il trasferimento di know-how.
Che cosa contraddistinguono i rapporti commerciali fra Italia e Camerun?
Oggi siamo tra i primi 10 partner commerciali. Fino agli anni ’80, eravamo assieme ai francesi i partner che hanno dotato il paese delle sue principali infrastrutture. Con l’arrivo dei cinesi, la crisi del debito e un sistema Italia più orientato ad investire in altre aree grografiche come l’Asia, abbiamo perso posizioni. Il Camerun, come l’insieme del continente africano, è l’ultima frontiera per tutta la realizzazione delle infrastutture, telecomunicazioni, ecc. Nonostante la crisi del petrolio e la minaccia di Boko Haram, questo paese è riuscito a garantire una certa stabilità politica ed economica.
Pochi lo sanno, ma assieme alla Nigeria, il Camerun è il paese che ha avuto il tasso di crescita più rapido della classe media. Se poi osservate attentamente il pil pro capite per abitante, i camerunensi hanno in media un livello di vita superiore rispetto ad altre popolazioni africane come i senegalesi o i nigeriani. E hanno una cultura dei consumi assolutamente europea. Sta a noi approfittarne.
I camerunensi hanno in media un livello di vita superiore rispetto ad altre popolazioni africane come i senegalesi o i nigeriani.
Quale il ruolo delle cooperative?
E’ una realtà abbastanza nuova, ma in piena crescita. Coopermondo sta attualmente collaborando assieme all’Ifad per rafforzare le capacità organizzative delle cooperative camerunensi nelle filiere del riso e della cipolla. Le cooperative hanno un ruolo importante da giocare nel settore agroalimentare, un settore dalle enormi potenzialità per un paese che viene considerato il granaio dell’Africa centrale. E propongono un modello associativo interessante, in linea con la cultura locale. Anche Coopermondo parteciperà alla missione economica del Vice Ministro Mario Giro, che prevede l’organizzazione di un grande forum economico Italia-Camerun, con il quale vogliamo soprattutto condividere il nostro modello di sviluppo e sottolineare l’importanza del trasferimento di tecnologie e conoscenze per passare da un’economia ancora di tipo post-coloniale ad una economia moderna. Anche questa è cooperazione.
Foto di copertina: l'ambasciatrice Samuela Isopi durante un'intervista rilasciata a media camerunensi durante la sua missione nella regione dell'Estremo Nord del Camerun (J. Massarenti).
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.