Reportage dalla Bosnia/2

Rotta Balcanica, migranti trattati come gli animali

di Anna Spena

Eqbal non parla una parola d’inglese e piange solo. Ha 31 anni, è madre di 5 figli. Con la famiglia ha provato il "game" 19 volte. Josef era pieno di speranze quando è partito, poi gli hanno rotto la testa a pugni. Zied l'hanno catturato, sfilato i pantaloni e picchiato sulle gambe come se fosse un animale. «Alcuni ragazzi», dice l'attivista locale Zemira, «mi hanno raccontato che uomini mascherati e vestiti di nero fanno mettere i rifugiati in ginocchio con le mani legate dietro la schiena per picchiarli con lunghi bastoni. Così si fingono svenuti come unica forma di autodifesa, ma la polizia continua, gli butta l'acqua addosso»

I profughi al confine tra la Bosnia e la Croazia non li vuole nessuno. Non li vuole la Bosnia, tantomeno la Croazia che li respinge con violenza. E per l'Europa sono polvere da nascondere. Qui la prima parte del reportage.

Pakistani, siriani, afghani, ma anche iracheni, iraniani. Qua le origini sono diverse e pure la convivenza tra loro è difficile. «C’è un nuovo accordo fra polizia bosniaca e polizia croata per impedire ai migranti di passare la frontiera», spiega Gian Andrea. «Ma i passaggi continuano, come del resto si vede intorno a Bihač dai gruppetti di migranti con zaini e viveri che ritornano momentaneamente sconfitti; e come vediamo ogni giorno anche a Trieste, nel luogo terminale del “game”, dove agiamo con il Gruppo Cura».

Nei vari viaggi in Bosnia Lorena e Gian Andrea hanno iniziato a collaborare con i pochi attivisti locali. Tra loro c’è Zemira che vive a Bihač ed è la presidente di Solidarnost Bosnia, il salotto di casa sua è la sede di coordinamento dell’associazione: «Alcuni migranti portano le loro cose nel mio garage per tenerle in sicurezza. Altri sono diventati “miei” collaboratori, vengono a casa e mi aiutano a preparare il cibo e, quando vanno in “game”, mi indicano altri ragazzi affidabili. La cosa più dura è fare i conti l’ostilità della gran parte dei cittadini di Bihač, ho dovuto togliere 70 persone dal mio profilo Facebook perché venivo continuamente insultata. Nel mio gruppo eravamo 40 volontari, adesso arriviamo a malapena a sei».

Zemira parla con i profughi tutti i giorni. La sua testa è diventata custode delle storie dei ragazzi che vengono respinti al “game” dalla polizia croata. «Mi hanno raccontato», dice Zemira, «che uomini mascherati e vestiti di nero fanno mettere i migranti in ginocchio con le mani legate dietro la schiena per picchiarli con lunghi bastoni. Alcuni si fingono svenuti come unica forma di autodifesa, allora buttano loro addosso acqua. Se un migrante viene avvistato dalla polizia, deve fermarsi e non fuggire per non essere massacrato. Non tutti i poliziotti sono così feroci, ma alcuni sì». Del perché di tanta violenza Zemira lo suppone. «Si addestrano i poliziotti con corsi specifici antimigranti», spiega, «in cui viene detto che sono portatori di associazioni mafiose».

A 60 chilometri di distanza da Bihač c’è Velika Kladusa. Il campo profughi ufficiale della città di chiama Miral, anche questo gestito dell’Iom. Una serie di container – questa volta all’area aperta – che ospitano 300 persone. I più, qui, vivono negli squat o al ciglio della strada. «Dobbiamo vivere. Dobbiamo provare», dice Zied che è scappato dalla Tunisia, e ha poco più di 30 anni. «Voi pensate che il mio Paese sia “un luogo apposto”. Ma voi europei non potete capire fino in fondo. Sono stato un anno e quattro mesi in Grecia. Non sapevo come passare il confine, poi ci sono riuscito. Sono andato in Albania e poi in Montenegro e ora sono qui bloccato in Bosnia. Ho provato a passare il confine nove volte o forse undici. Non ricordo. La polizia croata fa davvero schifo. Mi hanno tolto anche i pantaloni quando mi hanno preso e mi hanno picchiato forte». Ziad conosce l’Italia, parla di bellezza e rinascimento. Ziad vuole vedere Venezia e poi gli Uffizi di Firenze. Vuole fermarsi in un posto in Europa e ricominciare a studiare legge e poi trovare un modo per ricongiungersi con suo fratello che è rimasto in Tunisia. Ziad accorcia quella distanza tra noi e loro. Perché noi siamo loro.

Azma ha 26 anni. Aveva già raggiunto l’Italia si era fermato qui. Poi dalla Bosnia un suo zio l’ha chiamato perché aveva bisogno d’aiuto a spostare tutta la famiglia. Azma è tornato indietro: «Mio zio è riuscito a passare il confine. Io sono stato preso e ora sono bloccato qui un’altra volta. A chi posso chiedere aiuto?».

Eqbal non parla una parola d’inglese e piange solo. Ha 31 anni, è madre di 5 figli: Emir 14 anni, Zeynep 13, Fadil 12, Husein 7, Abbas 6. Lei e suo marito Hazim 38 sono scappati da Bagdad. Piange perché l’ultima figlia è morta sotto le bombe cadute su un ospedale della capitale. E il marito le ripete sempre “basta piangere. Non piangere. Abbiamo altri 5 figli a cui badare”. Ma lei piange lo stesso perché un figlio non lo sostituisce un altro. Vivono tutti insieme in un piccolo appartamento di fianco al campo profughi Miral a Velika Kladusa. È di un amico di Zehida, l’attivista locale amica di Lorena e Gian Andrea, l'ha messo gratuitamente a disposizione perchè lui lavora in Germania. Il loro viaggio è iniziato in Turchia nell’estate del 2018. Sono in Bosnia da un anno. Hanno perso due volte tutto quello che avevano: la prima volta per opera della polizia turca, la seconda per mano di quella croata. Hanno fatto il “game” 19 volte.

Velika Kladusa è una città strana. Nelle strade solo profughi dai vestiti logori e gli zaini in spalle. Tasselli di un mosaico che poi sempre si rompe ad ogni game fallito, non riuscito. Nel 2019 si stima siano stati circa 70mila i profughi che si sono messi in marcia per la Rotta Balcanica. E adesso che l’ultima terribile offensiva è stata lanciata su Idlib, nordovest delle Siria, e un altro milione di profughi si è messo in viaggio per raggiungere la Turchia che tiene in scacco l’Europa con la minaccia di aprire i confini e lasciare che i 3,6 milioni di profughi che ospita si mettano in viaggio verso la Grecia.

Proprio la Grecia dove le isole dell’Egeo stanno implodendo e al confine la polizia è diventata violenta come quella croata. Che succederà? L’Europa darà altri soldi alla Turchia per tenere prigionieri i profughi che in Turchia comunque non vogliono stare? La Grecia sarà orgogliosamente lo scudo dell’Europa e l’Europa a sua volta la ringrazierà per aver così bene difeso i confini? Ma difenderli da chi?

Da Josef che è partito carico di speranze dal Marocco e gli hanno rotto la testa con i pugni? O Ali che a 15 anni così magro com’è gli hanno rotto un braccio? E quel braccio non lo muove più perché la frattura si è calcificata male? O Mohamed che gli hanno dato fuoco e ha la pelle tesa, si trascina nella sedia a rotello all’esterno del campo profughi e non ha più le dita delle mani? Come cambierà la Rotta Balcanica se ci sarà una nuova ondata di profughi? Intanto peggio di così è difficile da immaginare.

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