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Immigrazione

Rosarno, viaggio tra i dimenticati della tendopoli di San Ferdinando

di Giulia Polito

La tendopoli sorge nel nulla di un’area industriale. Un’imponente catasta di rifiuti segna il punto di ingresso. Dentro i lavoratori vanno avanti in condizioni disumane. Joseph vive e lavora a San Ferdinando da 11 anni. Viene dal Sudan, scappato dalla guerra in casa propria e sbarcato a Lampedusa: «Non mi piace vivere così. Nessuno ci aiuta. Siamo rimasti soli»

L’aria si riempie di un odore acre e intenso. Sono le quattro del pomeriggio ma tra le baracche iniziano già ad accendersi i primi fuochi, unica fonte di calore in una giornata fredda e umida di pioggia. La tendopoli di San Ferdinando sorge nel nulla di un’area industriale, alle spalle di una fabbrica chiusa e con la Salerno-Reggio Calabria che sfreccia al di sopra. Lontana dagli occhi, la tendopoli è una corte dei miracoli dove la sopravvivenza raggiunge le più alte forme di resistenza umana. La luce filtra ancora dalle nubi grige ma «tra qualche ora qui sarà tutto buio». Lo raccontano gli operatori di Emergency, una delle ong attive da diversi anni sul territorio, che ci accompagnano in questo viaggio. Un’imponente catasta di rifiuti segna il punto di ingresso della tendopoli: in questo spazio le persone vengono a gettare abusivamente la spazzatura. Lungo il perimetro, sorgono diversi container di servizio per i lavoratori che vivono all’interno, delle lavanderie donate dall’Elemosineria Apostolica agli uffici di consulenza legale. Al centro del piazzale antistante la tendopoli è parcheggiato il Polibus di Emergency, un grande pullman rosso attrezzato al proprio interno con due ambulatori, una piccola sala di attesa e una stanza per le mediazioni.

Credit foto Giulia Polito

Ousmane Thiam è originario del Senegal ed è uno dei mediatori culturali di Emergency, ma la sua storia in Italia inizia da lontano e attraversa i campi di coltivazione e raccolta del pomodoro nel foggiano. Ousmane è stato un bracciante in nero prima dell’incontro con la ong che gli ha cambiato la vita. Oggi a San Ferdinando rappresenta uno dei ponti privilegiati tra il dentro e il fuori la tendopoli. Lo vediamo scivolare nel corso del pomeriggio tra gli appuntamenti per le mediazioni, le attività del Polibus e la tendopoli. È lui ad accompagnarci all’interno del campo in cui la vita ha trovato un suo punto di equilibrio. Le tende blu targate dal Ministero dell’Interno a malapena si notano in mezzo alle baracche sorte poco tempo dopo la costruzione della nuova tendopoli, ma restituiscono il senso del paradosso che da 15 anni si consuma in quest’area. Negli anni qui è sorta una micro-economia interna: c’è chi aggiusta le biciclette o il sarto che ripara i vestiti. C’è persino chi fornisce barili di acqua calda per le abluzioni che precedono la preghiera.

Moschea nella tendopoli, credit foto Giulia Polito

C’è una moschea costruita direttamente dai lavoratori, un grande tetto in lamiera e le pareti di tenda; a guidarli nella preghiera c’è anche un imam. Tra le persone che incrociamo lungo le strade infangate della tendopoli emerge una coppia: «Lei è l’unica donna che vive qui con il marito – spiega Ousmane – ma non conosciamo la loro storia. A volte però accade che i braccianti che non riescono più a lavorare nei campi debbano reinventarsi delle attività che portano all’interno dei campi disseminati in tutta Italia. Sono ambulanti a tutti gli effetti che seguono le migrazioni dei lavoratori agricoli che viaggiano lungo il Paese seguendo le stagioni di raccolto». 

Qui vivono più di 500 persone, l’età media all’interno della tendopoli è di circa 30 anni, la maggior parte dei lavoratori sono regolarmente soggiornanti. Se fino a qualche anno fa erano per la maggior parte lavoratori in nero, oggi si parla soprattutto di lavoro grigio, regolare dunque ma solo dal punto di vista formale. Le provenienze sono molto varie ma la maggior parte dei lavoratori proviene dall’Africa subsahariana: «Sono arrivati nel corso degli anni anche maghrebini – spiega Ousmane – ma la convivenza tra loro è difficile. Ecco perché, dopo un certo periodo di tempo trascorso qui, preferiscono trovare altre soluzioni». In qualche modo la tendopoli di San Ferdinando è diventata una cittadella che difende i propri confini e che vive seguendo un proprio tempo, un proprio corso delle cose. È il segno che nel territorio di Rosarno-San Ferdinando non è mai stata costruita alcuna integrazione: la città e la tendopoli, i calabresi e i braccianti, vivono ad una manciata di chilometri di distanza che rappresentano due dimensioni spazio-temporali diverse. Il divario si allarga e diventa irrecuperabile, tutti si sentono vulnerabili, l’intolleranza dilaga. 

Credit foto Davide Preti

Joseph vive e lavora a San Ferdinando da 11 anni. Viene dal Sudan, scappato dalla guerra in casa propria e sbarcato a Lampedusa: «Non mi piace l’Europa – racconta – e non mi piace vivere così. Nessuno ci aiuta, lo Stato, le istituzioni, i datori di lavoro o le forze di polizia. Siamo rimasti soli». Lo racconta mentre prepara la cena all’interno di casa sua, con dei fornelli a gas che potrebbero provocare un incendio. Joseph è già stato ferito al viso da un incendio divampato all’interno della tendopoli, che tutt’oggi non si sa se sia stato di natura dolosa o meno, riportando delle ustioni gravissime con cui ha dovuto lottare per tanto tempo. Oggi sul suo bel viso sorridente non si nota più nulla: un miracolo della medicina di Emergency che lo ha seguito sin dall’inizio. Accanto a lui, un suo concittadino sudanese arrivato da poco. Non parla ancora l’italiano, Joseph lo tiene accanto a sé, cucinano insieme mentre altri li raggiungono. La vita scorre, nonostante tutto. Nonostante il freddo, il fango e la luce che inizia a farsi sempre più fioca.  

Credit foto Giulia Polito

Emergency qui lavora su diversi fronti. Il Polibus rappresenta un presidio mobile dove viene fornita assistenza infermieristica di base, mediazione culturale, supporto psicologico e orientamento socio-sanitario. «Spesso molti lavoratori hanno difficoltà ad accedere alle cure previste dal servizio sanitario nazionale – spiega Ousmane – la mediazione serve non solo a capire le loro esigenze ma soprattutto a supportarli nelle pratiche burocratiche necessarie per garantire loro le prestazioni necessarie. Forniamo inoltre – prosegue – supporto tecnico agli ospedali, a volte impreparati a gestire alcuni dei casi segnalati. Le condizioni, ad esempio, cambiano a seconda che la persona abbia un regolare permesso di soggiorno o meno. Ogni caso è diverso». Con loro, a giorni alterni, c’è MEDU – Medici per i Diritti Umani. Tante organizzazioni di Terzo Settore, locali e nazionali, operano nella tendopoli: c’è l’associazione Piccola Opera Papa Giovanni, la Caritas San Ferdinando Re, Afro World, Associazione Chico Mendes, Associazione Coopisa – Cooperazione in Sanità, Reggio Non Tace, SOS Rosarno, l’USB Calabria, la Chiesa Evangelica Valdese e Mediterranean Hope / Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Tutte organizzazioni firmatarie, nelle scorse settimane, di un nuovo grido di allarme, l’ennesimo che in 15 anni viene lanciato da questa zona.

La nuova tendopoli è sorta nel 2019, poco dopo la morte del giovane Al Ba Moussa durante un incendio. Dotata di acqua ed elettricità, ma si trattava pur sempre e solo di tende. Di nuovo, così come in precedenza, la nuova tendopoli è stata ben presto abbandonata. I riflettori si sono spenti e a distanza di 15 anni dalle rivolte di Rosarno nulla è cambiato. L’emergenza a San Ferdinando sta nuovamente montando, uno degli ultimi episodi riguarda l’aggressione di un lavoratore che vive nell’ostello Dambe So di Mediterranean Hope. In questi giorni, nella provincia di Reggio Calabria, sono diversi gli incontri che si stanno promuovendo e le proposte che si stanno mettendo in campo per offrire soluzioni sostenibili e definitive per il superamento del ghetto «ma è fondamentale – dice Mauro Destefano coordinatore del Progetto Calabria di Emergency – cambiare paradigma. Non possiamo riferirci a queste persone e considerarli ancora migranti. Sono a tutti gli effetti lavoratori. Parliamo dei diritti di persone che qui lavorano e che qui sono anche invecchiate». 

Credit foto Davide Preti

Lunedì 3 marzo, alle ore 11, alla baraccopoli di San Ferdinando si terrà una visita-presidio del  sindaco di Riace ed eurodeputato di Avs Mimmo Lucano, accompagnato da monsignor Giancarlo  Maria Bregantini, arcivescovo emerito di Campobasso-Boiano, padre Alex Zanotelli e dall’ex  parlamentare e sindaco di Rosarno Peppino Lavorato. L’iniziativa, che segue alla visita effettuata  lo scorso 24 gennaio, ha l’obiettivo di chiedere la chiusura della baraccopoli e l’adozione di  soluzioni alternative ai ghetti di Stato. 

Lasciamo la tendopoli che è sera inoltrata. Il Polibus è l’unico punto illuminato dell’area, sulle baracche è sceso il buio ad eccezione di qualche punto di luce sparso che notiamo da lontano, i fuochi accesi per cercare di scaldare la notte. Sembra quasi un cielo stellato sulla terra nella sera umida che anticipa una nuova alba, una nuova giornata di lavoro nei campi di arance della Piana di Gioia Tauro.

Credit foto apertura Davide Preti/Emergency

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