Tra passato e futuro c’è una lacuna. Quella lacuna, scriveva Hannah Arendt, è il presente. Anche quando parla di antico è sempre al presente che il teatro pone le proprie domande. Accade così a Ventimiglia, dove si è da poco concluso il Albintimilium Theatrum fEst. Diretto da Sergio Maifredi, prodotto dal Teatro Pubblico Ligure realizzato in collaborazione con la Direzione Regionale dei Musei Liguria, il Festival è entrato nella rete STAR Sistema Teatri Antichi Romani. Sei lavori, sei appuntamnti che hanno valorizzato un territorio attraverso il Teatro Romano, vero e proprio hub da cui si sono diramete le parole di Odissea un racconto mediterraneo, il racconto orale di uno dei testi fondativi della cultura occidentale affidato a «cantori contemporanei» (da Paolo Rossi a Moni Ovadia, da Maio Incudine a Giuseppe Cederna) .
È l’occasione per fare il punto con Maifredi di un complesso – e spesso complicato – rapporto tra parola e arti, ma soprattutto fra arti e territorio.
Che cosa è accaduto in un luogo di frontiera come Ventimiglia?
A Ventimiglia c’è un teatro romano. Un teatro romano che potremmo definire “ferito”. Questo è un punto di partenza, ma per partire davvero dobbiamo capire perché è “ferito”. Da un lato, accanto al Teatro Romano passa la ferrovia, dall’altro, sul lato mare, passa l’Aurelia. Si tratta di un sito archeologico spesso visto – passando col treno o in auto – ma difficilmente ci si ferma. Ancor meno lo si vive come luogo di spettacolo. Da almeno dieci anni cercavo di fare qualcosa in questo teatro, assieme alla Sovraintendenza ligure e al Comune di Ventimiglia, per fare in modo che potesse ritornare a essere un luogo di spettacolo. Quest’anno ci siamo riusciti. Ed è un passo importante.
Per questo passo avete scelto l’Odissea…
Odissea un racconto mediterraneo è un progetto che porto in giro da dieci anni. Si tratta molto semplicemente dei ventiquattro canti dell’Odissea affidati a diversi cantori di oggi. Attori da cui il pubblico ha voglia di sentirsi raccontare ancora questa storia che da tremila anni vive nella sua condizione originaria: la dimensione dell’oralità. Questo progetto è andato ad abitare il sito.
Scelga un canto per noi…
Scelgo quello letto da Paolo Rossi il 24 luglio: il canto X, quello della maga Circe. Rossi lavora con noi dall’inizio e, fin da subito, scelse questo canto riuscendo a svelare aspetti non così noti dell’Odissea, ad esempio aspetti comici. Penso alla morte di Elpenore, uno dei compagni di Odisseo. Elpenore è un soldato sopravvissuto a tutti i pericoli dei viaggi e alla guerra di Troia ma… muore cadendo ubriaco dal tetto della casa di Circe. Ubriaco, Elpenore si era addormentato sul tetto. Quando Odisseo lo chiama, svegliato di soprassalto… cade. Ridere “con” (e non “di”) un testo fondativo della nostra cultura è un modo per riavvicinare il pubblico a quel testo o, forse, per essere noi meno presuntuosi e avvicinarci al pubblico. Resta il fatto che proporre al pubblico un testo fondativo della nostra cultura e condividerlo con un cantore che possa anche chiosare e fare note a margine, ma che mantenga il testo al centro è fondamentale.
Il testo, ma anche il luogo…
Attraverso l’Odissea reinterpretiamo il tema davvero cruciale per il nostro Paese della rigenerazione dei luoghi attraverso la cultura. Ventimiglia è un territorio, da un lato, affascinante (è pur sempre la città del Corsaro Nero), è una città storica e stratificata molto bella e interessante. Ma è indubbiamente una città di confine con tutto ciò che comporta essere città di confine e di confino.
Una città-frontiera…
Per una città di questo tipo è difficile trovare una propria identità, se non si affida a ciò che ha di più caratteristico: l’essere attraversata. Su questi attraversamenti abbiamo costruito una parte del Festival, titolandola “Via”: una sorta percorso che fa riferimento alla via Iulia Augusta, che taglia la città e collega il Nord Italia (la zona di Piacenza), con la Provenza. Lungo questa via abbiamo creato una serie di appuntamenti in cui abbiamo fatto accadere tante piccole cose – da incontri a letture – per stimolare una coscienza di luogo. Un’esperienza di identità che non fosse “fissità”, ma transito. Percorsi. Cose per marcare l’idea che, un tempo, il teatro non era il “teatro di una città”, ma teatro di una via. Una via di comunicazione.
Quindi aperto…
Aperto e inclusivo. Il teatro era una sorta di tappa che il viaggiatore poteva fare mentre si recava in Provenza per commerci o altro. Da qui, l’idea – sempre nel quadro della rigenerazione dei luoghi attraverso la cultura – di un teatro che diventi via di comunicazione.
Anche oggi, di fatto, Ventimiglia è in questa condizione…
Proprio per questo siamo partiti dalla ferita che è stata inflitta al suo Teatro Romano. Un teatro “ferito” da una ferrovia e da una strada ma… improvvisamente si scopre che è sempre stato lungo una strada. La nostra idea è stata, dunque, il far in modo che la strada non sia un limite, ma un punto di forza. Con l’idea di dare forza anche alla comunità.
Una forza che le viene da questa ferita…
E dal potersi identificare con una storia antica. Passato e futuro, appunto, che si fanno presenti in un progetto culturale di confine. Un progetto che attraverso la parola di Omero – che, ricordiamolo, è parola ospitale – apre sguardi sul passato e sul futuro. Permettendoci di guardare con più consapevolezza a questo tempo del rischio, colmando quella lacuna che è il presente.
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