La conversazione

Ricerca, insegnanti e giovani: il futuro secondo Ugo Amaldi

di Nicla Panciera

Sala trattamento adroterapia CNAO
Il fisico, padre di quella particolare forma di radioterapia chiamata adroterapia, è stato nominato presidente emerito del centro nazionale di Pavia, il Cnao. Con VITA parla anche del domani della ricerca pubblica, che sta da tempo nel cuore del suo impegno per il bene del Paese

Professore, cos’è l’adroterapia?

Quando, nel 1992, fu creata a Novara la Fondazione Tera (da TErapia con radiazioni adroniche) introdussi il termine collettivo adroterapia per indicare l’uso terapeutico di protoni, neutroni, ioni carbonio e altri ioni, particelle subatomiche che appartengono alla famiglia degli adroni. Studi americani e giapponesi avevano già messo in luce le potenzialità degli ioni carbonio nella radioterapia dei tumori radioresistenti, che non sono sensibili ai convenzionali raggi X. Per colpire i tumori profondi, irradiando i tessuti sani circostanti meno dei raggi X, ogni ione carbonio deve avere un’energia di 5000 milioni di elettronvolt (MeV); per raggiungerla è necessario un sincrotrone con un diametro di 20 metri. D’altra parte, per produrre fasci di protoni – che, come i raggi X, hanno poco effetto sui tumori radioresistenti ma risparmiano i tessuti sani come gli ioni carboni – è sufficiente un ciclotrone, che è un acceleratore di un paio di metri di diametro. Fummo ambiziosi, scegliemmo la strada difficile.

Una scommessa vinta…

Sì, per una decina d’anni il gruppo tecnico di Tera ha lavorato al Cern alla progettazione di un sincrotrone innovativo collaborando con ingegneri e fisici sia di questo grande laboratorio internazionale sia dell’Istituto nazionale di fisica nucleare – Infn. Nel 2003, gli oltre venti esperti del gruppo tecnico e i piani di questo sincrotrone medico e delle attrezzature ausiliarie sono passati alla Fondazione Cnao.

E, nel frattempo, le evidenze sull’efficacia del trattamento si andavano accumulando

Sì, infatti molti pazienti erano stati irradiati con ioni carbonio in centri giapponesi e tedeschi. Gli ioni carbonio hanno una carica elettrica sei volte maggiore di un protone e che produce al Dna delle cellule attraversate gruppi di rotture vicine. Era stato dimostrato che, effettivamente, possono controllare i tumori radioresistenti e, quindi, sono una radiazione diversa sia dai convenzionali raggi X sia dai protoni.

Il Cnao è divento un centro unico anche nel panorama mondiale. Quanti pazienti sono stati trattati finora?

Nelle tre sale di trattamento del Cnao, la cui costruzione fu approvata circa vent’anni fa per merito dei ministri della Salute Umberto Veronesi e Girolamo Sirchia, sono stati irradiati 4.500 pazienti, metà con ioni carbonio e metà con protoni. Infatti, il nostro è uno dei soli sei centri al mondo che dispongono di fasci terapeutici di entrambi questi adroni, mentre sono in funzione un centinaio di centri di protonterapia.

Ugo Amaldi (foto Ufficio Comunicazione Cnao)

Guardiamo avanti. Si è parlato dell’importanza di proseguire la ricerca, ad esempio sulle possibili interazioni della terapia con i nuovi farmaci immunologici. Quali innovazioni scientifiche sono allo studio?  

Circa gli sviluppi recenti, lei ha citato le nuove combinazioni di immunoterapia e di irradiamento con ioni carbonio basati su dati preclinici che mostrano che alte dosi di ioni carbonio hanno vantaggi biologici, rispetto ai raggi X, in combinazione con inibitori del checkpoint immunitario. Negli ultimi due anni, inoltre, al Cnao sono molto aumentati gli irradiamenti di bambini e ragazzi con protocolli molto più impegnativi di quelli usati per gli adulti.

Altre novità?

Oltre all’estensione delle terapie, il Cnao ha in cantiere due grandi progetti di costruzione. Innanzitutto, si sta installando un piccolo acceleratore di protoni da 250 MeV che tratterà pazienti in una nuova sala dotata di una testata che ruota intorno al lettino del paziente; questa aggiunta libererà il grande sincrotrone, che in futuro sarà dedicato ai soli trattamenti con ioni carbonio e altri ioni, come gli ioni elio. In secondo luogo, in un altro bunker sarà installato un acceleratore di protoni di bassa energia ma alta corrente (della ditta americana Tls) che produrrà un intenso fascio di neutroni con il quale, in via sperimentale, la tecnica Boron neutron capture therapy Bnct sarà applicata al trattamento, per esempio, dei glioblastomi. Con queste aggiunte il Cnao diventerà il centro di adroterapia più attrezzato al mondo.

In Italia, oltre al Cnao di Pavia (con fasci di ioni carbonio e di protoni) vi sono in Italia il centro Infn di Catania, dove si trattano con protoni le patologie oculari, il centro di protonterapia di Trento (con due sale) e, presto, quello dell’Istituto Europeo d’Oncologia (con una sala). Le liste d’attesa sono lunghe. Si stima che molti pazienti trattati con la radioterapia potrebbero essere trattati, meglio, con l’adroterapia. Non è così?

In Italia, sono trattati con raggi X circa 180mila pazienti l’anno, più della metà di coloro che sviluppano un tumore. Oggi si stima che circa il 4% di questi pazienti dovrebbe essere trattato con protoni e l’1% con ioni carbonio; si tratta, quindi, di circa 7.000 pazienti l’anno per la protonterapia e 1800 pazienti l’anno per la terapia con ioni carbonio.

In che modo garantire a tutti l’accesso alla metodica? 

Riducendo al massimo il numero di sedute per un ciclo di trattamento (in media 16 sedute di mezz’ora per paziente), gestendo bene i flussi dei malati e lavorando 10 ore al giorno, in una sala di trattamento si possono irradiare 300-350 pazienti l’anno. Se tra dieci anni, con una rete di collaborazione estesa e completamente informatizzata, si riuscirà a raggiungere il 50% dei potenziali pazienti, saranno necessarie 10 sale con protoni e 3 sale con ioni carbonio. Per merito del Cnao, il secondo traguardo è raggiungibile, quando il sincrotrone sarà dedicato alla sola terapia con ioni carbonio, ma molto va ancora fatto per installare su tutto il territorio nazionale una decina di centri uni-sala di protonterapia simili a quello dell’Ieo.

Il Piano Amaldi? Le nostre preoccupazioni sono state parzialmente accolte me senza una visione programmatica pluriennale

Ugo Amaldi, presidente emerito del Centro nazionale di adroterapia oncologica Cnao di Pavia

La ricerca di base è il fondamento della conoscenza e dell’innovazione tecnologica del futuro. Lei si è battuto in maniera instancabile per il bene del paese, per difendere la ricerca pubblica. A che punto è del suo percorso il celebre «piano Amaldi» di arrivare a investire stabilmente lo 0,75% del Pil in ricerca pubblica? 

Il 1° ottobre 2020 sulla prima pagina del Corriere della Sera fu pubblicato un appello al Premier Conte firmato da 14 scienziate e scienziati, che chiedevano per la ricerca pubblica un investimento di 15 miliardi in 5 anni, in modo che nel 2027 l’intensità di Ricerca&Sviluppo – R&S raggiungesse lo 0,75% del Pil. Nei due anni successivi la proposta Amaldi-Maiani, come fu chiamata dal più illustre firmatario della lettera, Giorgio Parisi, fu oggetto di altre lettere aperte e di molte discussioni pubbliche. Le nostre preoccupazioni per lo sviluppo futuro dell’Italia furono parzialmente accolte, cosicché quest’anno l’intensità di R&D è arrivata a 0,66% a partire dallo 0,55% del 2020, ma purtroppo senza una visione programmatica pluriennale.

L’accademia dei Lincei ha organizzato di recente il simposio «La ricerca pubblica e il futuro dell’Italia». È intervenuta anche l’attuale ministra, Anna Maria Bernini. Che impegni ha preso?

Nel suo intervento, la Ministra ha detto «terremo conto dello 0,70-0,75% nelle politiche di bilancio che praticheremo da adesso in poi» e ha espresso preoccupazione per  «lo strapiombo» dell’intensità di R&S quando terminerà il Pnrr, dopo il 2026. Ciò è inevitabile, come abbiamo mostrato nel documento “Strategia per la ricerca fondamentale” pubblicato un anno fa dal Tavolo del ministero della Università e della Ricerca coordinato da Luigi Ambrosio. Siamo ora nella fase di discussione delle modifiche di organizzazione e procedure che, se accolte, miglioreranno il sistema della ricerca pubblica.

La caduta dell’intensità di R&S non è un timore ma una certezza, se Governo e Parlamento non interverranno con la finanziaria 2024

Ugo Amaldi

Ammontano a 30,88 miliardi gli euro per la missione 4, dedicata a “Istruzione e Ricerca. Il timore è che, come da lei anticipato, in mancanza di fondi strutturali si torni ai bassi livelli di finanziamento attuali. È d’accordo?

L’opportunità offerta dal Pnrr all’Italia è davvero unica ma alla ricerca pubblica è dedicata soltanto una frazione piccola dei 30,88 miliardi. Se tutto andrà bene, fino al 2026 arriveranno soltanto circa 6 miliardi. Poi, si assisterà al ritorno dell’intensità di R&S ai livelli del 2020, come è mostrato nel documento “Piano quinquennale 2023-2027 per la ricerca pubblica”, dove per invertire questa tendenza  si proponeva un piano quinquennale d’investimenti di 10,4 miliardi.

La caduta dell’intensità di R&S non è un timore ma una certezza, se Governo e Parlamento non interverranno con la finanziaria 2024: poiché il 2023 è passato, per rimanere nel quadro di questa legislatura è stato preparato un piano quadriennale 2024-2027 da 6,4 miliardi, che ho presentato al Simposio dei Lincei (l’effetto sull’intensità di R&S di questo intervento, che dovrebbe essere approvato con la legge di bilancio 2024, è mostrato qui sotto).

Grafico, presentato al Simposio dei Lincei, con gli andamenti dell’intensità di R&D senza e con le risorse  del piano quadriennale da 6,4 miliardi 

Alti livelli di formazione e di competenze e produzione di nuova conoscenza sono le due condizioni necessarie all’economia della conoscenza. Quali sono i principali ostacoli e le criticità del sistema Italia alla loro realizzazione?

Innanzitutto, voglio sottolineare che, in media, un ricercatore pubblico italiano produce ogni anno più lavori eccellenti di un suo collega americano, francese o tedesco; questo significa che l’Italia ha le competenze e l’inventività scientifica per diventare quella società che a me piace chiamare “dell’equità e della conoscenza”. Ma non mancano criticità e punti di debolezza, descritti in dettaglio nel documento “Strategia per la ricerca fondamentale” già citato.

Ce li dice in breve?

Innanzitutto, l’espatrio senza ritorno di moltissimi ricercatori e, negli ultimi quindici anni, il calo del numero di professori universitari e degli amministrativi, essenziali per l’acquisto delle apparecchiature e la realizzazione delle infrastrutture necessarie alla ricerca. Inoltre, le procedure sono quelle dello Stato, troppo lente e farraginose quando si tratta di ricerca d’avanguardia. Il numero di dottorandi italiani è troppo basso e quelli presi nel quadro del Pnrr scompariranno presto. I programmi di ricerca collaborativa di interesse nazionale – Prin sono sottofinanziati, distribuiti in modo non abbastanza meritocratico e il tasso di successo è troppo basso secondo tutti gli standard internazionali. Ci vuole un sistema efficiente di distribuzione delle borse individuali arrivando agli standard dell’European Research Council. Le infrastrutture di ricerca sono sottofinanziate e non vi sono fondi sufficienti per mantenere in vita neanche le migliori. Infine, voglio citare l’inadeguatezza dei canali di trasferimenti alle imprese della ricerca pubblica, non soltanto di quella di base ma anche di quella applicata.

L’ex ministra Maria Cristina Messa ha detto a VITA che “All’estero, esiste discrezionalità nel reclutamento di un ricercatore perché una scelta sbagliata ricade su chi l’ha compiuta. Ma noi non abbiamo questa cultura”. Tradotto: ce la meritiamo l’università che abbiamo. È d’accordo?

La meritocrazia è uno dei temi importanti discussi nel documento del Tavolo Ambrosio sulla ricerca fondamentale e l’ex ministra Messa ha ragione: in molti casi è una questione di cultura e ogni cambiamento è necessariamente lento. Ma sono ottimista perché, come ho detto, la media dei ricercatori italiani è scientificamente produttiva e nuove strutture meritocratiche nella distribuzione dei Prin e delle borse individuali sarebbero in grado di migliorare rapidamente il sistema della nostra ricerca pubblica.

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Lei è figlio d’arte: suo padre Edoardo era un fisico e sua madre Ginestra Giovene un’astrofisica. Quanto ha contato per lei la curiosità che le hanno trasmesso? Cosa andrebbe fatto per favorire nei giovani italiani tale curiosità intellettuale, nonostante le incertezze e le sfide che li aspettano e che la sua generazione non ha conosciuto come decrescita e cambiamento climatico?

Sono un privilegiato perché la curiosità scientifica era, posso dirlo, di casa e la scelta, che mi ha molto arricchito, di dedicarmi alla ricerca e alla diffusione della scienza sono state facili, anche perché mia madre era una divulgatrice senza pari. Per ciò che riguarda il futuro delle nuove generazioni, sono essenziali gli insegnanti della scuola media e superiore, che devono essere meglio retribuiti e più considerati per il ruolo che hanno nella costruzione di una società dell’equità e della conoscenza. Inoltre, la scuola e istituzioni pubbliche e private dovrebbero lanciare programmi di sviluppo della creatività giovanile, come ho proposto in un saggio pubblicato dalla Consulta del Cortile dei Gentili nel volume Pandemia e generatività.

Esterno edificio CNAO Pavia
Sala trattamento adroterapia CNAO
Staff dipartimento clinico CNAO
Sala controllo centrale sincrotrone CNAO
Tecnici Sanitari di Radiologia Medica in sala trattamento CNAO
attività ricerca radiobiologica al CNAO
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