«Sto chiuso in casa a Torino. Esco solo per portare la spesa ai miei genitori che sono molto anziani». A parlare è una leggenda dello sport italiano. Mauro Berruto è stato allenatore di pallavolo italiano, ex direttore tecnico della Nazionale italiana di tiro e ad della Scuola Holden di Torino. In questi giorni di reclusione attraverso il suo profilo Facebook sta pubblicando ogni giorno un video in cui racconta la storia di grandi sportivi del passato, più o meno famosi. Video che sono stati anche rilanciati dal Centro Sportivo Italiano nell'ambito della campagna #StorieDiSport. «È la bellezza dello sport che, attraverso i suoi protagonisti è capace di generare passione, immedesimazione e quindi esempio».
Lei dall'inizio dell'emergenza sta raccontando storie di sportivi su Facebook. Perché?
L'intento è quello di fare in modo che lo sport, che deve fermarsi com'è giusto che sia, possa continuare a fare quello che deve. Quindi se non può attraverso i suoi protagonisti produrre una performance e offrire uno spettacolo, può attraverso le proprie storie continuare ad ispirare le persone ad offrire intrattenimento e soprattutto ispirazione. La storia dello sport è un archivio infinito. Io sto solo cercando di recuperare e proporre quelle vicende che hanno avuto valore per me e che possano essere di aiuto anche per gli altri.
Eric Moussambani, Alain Mimoun, Shizo Kanakuri. Questi alcuni dei protagonisti delle sue storie. Nomi piuttosto ricercati…
Ho la fortuna di avere quella passione e sono pronto a tenere botta anche se il periodo di quarantena diventasse molto lungo. Non temo la scarsità di approvvigionamento (ride). Cerco di alternare grandi campioni mainstream con personaggi meno noti ma non meno dirimenti.
Lei ha sempre legato lo sport al tema educativo. La sua avventura con la Scuola Holden lo dimostra. Cosa ci può insegnare in questo momento lo sport?
C'è una cosa che in questo momento è importantissima e difficilissima. Nello sport lo sforzo del singolo viene messo a disposizione della comunità. Oggi è lo stesso. Ma ci viene chiesto nel modo più difficile: restare lontani. Oggi dobbiamo fare squadra senza poterci avvicinare
Uno dei tanti cortocircuiti del coronavirus…
È certamente una situazione bizzarra. Ma chiunque abbia vissuto uno spogliatoio di qualunque sport e di qualunque livello, sa bene che il valore individuale avrà senso soltanto se messo a disposizione del collettivo. La pallavolo insegna che non c'è un singolo gesto che fai che non sia collegato a qualcosa che fa qualcun altro. È l'unico sport al mondo in cui passarsi la palla è obbligatorio per regolamento. Non importa se sei il bomber da cinquanta goal a stagione o il ragazzo che prepara e porta le borracce. Entrambi quello che fanno lo mettono a disposizione della squadra. Oggi la squadra può essere un villaggio, una città o l'interp Paese. Ci sarà chi è in prima linea e chi invece sta a casa. Tutti questi gesti sono importanti allo stesso modo.
Questa solidarietà di squadra, in particolare dal punto d vista europeo, non sembra esserci…
Questa è una delle cose più tristi di questa vicenda. Io sono più di un europeista convinto. Sogno gli Stati Uniti d'Europa. Ma se c'è una gigantesca occasione che l'Europa ha perso si è proprio verificata in questo momento. Un risposta collettiva, identitaria, forte e coordinata avrebbe creato quell'idea di Europa dei popoli mille volte di più di qualunque azione economica. Guardavo nei giorni scorsi, mentre qui eravamo ormai in lockdown, in tv Liverpool- Atletico Madrid. Con un Anfield strapieno e 6mila madrileni accalcati. Oggi leggiamo che la Spagna sta rincorrendo l'Italia in questa tragica classifica della morte. Guardavo quella scena con gli occhi sbarrati: era come vedere un film dell'orrore di cui si sa la fine. Che l'Uefa, e vale ahimè per tute le altre istituzioni europee, abbia reagito con questo ritardo, approssimazione, titubanza e cinismo è sconcertante. Io abito a Torino, a est c'è Bergamo e alla stessa distanza ma a ovest c'è Chambery. Mentre da una parte si moriva dall'altra si viveva come se nulla fosse. In un mondo connesso come il nostro com'è possibile che ci siamo frantumati così? Questa è una grande tristezza. Mi auguro che si possa suturare questa ferita. Sono deluso.
A questo proposito sembra che si voglia mantenere l'appuntamento olimpico in Giappone. Che ne pensa?
Che il Cio si stia comportando in maniera così aprioristica mettendo la testa sotto la sabbia è incredibile. Dire, come stanno facendo, che o si faranno le Olimpiadi oppure che è troppo presto per decidere è un insulto all'intelligenza di milioni di sportivi nel mondo e anche all'altezza e all'importanza dei Giochi olimpici, di cui sono appassionato e a cui ho partecipato. Non c'è dubbio che quell'appuntamento potrebbe essere uno straordinario momento di ripartenza per l'umanità intera. Ma come si può pensare che questo succeda a luglio? Lo dico per ragioni anche tecniche legate alle qualificazioni degli atleti, che neanche si possono allenare. Ma sopratutto immaginiamo, visto che non sappiamo come questo virus si muove, che succederebbe se i Giochi diventassero il veicolo che porta il virus in continenti come l'Africa e il Sudamerica? Sarebbe una cosa disastrosa per la storia dei Giochi e per il loro senso. È evidente che vadano posticipati. Non so come e quando. Ma fare finta di nulla non si può fare. Il Cio in questo momento è l'ultimo baluardo di insensatezza nel mondo dello sport.
A proposito di atleti. Tutti i professionisti si stanno allenando in casa. Una delle grandi polemiche di questi giorni invece riguarda i runner. Si è fatto un'idea?
C'è un tema di esemplarità che in questo momento è l'unico strumento. È una situazione nuova per tutti. Nella nostra vita non abbiamo mai assistito a un processo di limitazione delle libertà individuali così su larga scala. C'è un principio di responsabilità individuale. È ovvio che se vado a correre in un bosco da solo non rischio o metto a rischio nessuno. Ma se la pensano così in centomila ecco che il rischio si concretizza. Ovviamente serve una piccola rinuncia individuale a favore di un gesto collettivo. Ma mi permetta di fare il boomer rompipalle (ride)
Prego…
Non ci stanno chiedendo di andare in miniera otto ore al giorno. Ci stano chiedendo di restare in casa con i nostri device, la tv, Netflix, Sky, le dirette social e tutto il resto. Mi sembra davvero che il richiamo sia più che altro alla maturità. Capisco il disorientamento ma adesso non si può più dire che non si sappia cosa succede. Non ci sono più alibi. Bisogna ragionare in termini di bene comune.
Quando torneremo alla normalità cosa pensa le lascerà questa esperienza?
Prima bisogna dirsi la parte più brutta e più dura: noi non torneremo al concetto di normalità che avevamo fino a tre settimane fa. Né in un mese, né in due e neanche in quattro. Ci torneremo forse quando arriverà un signore da qualche parte del mondo dicendo di avere un vaccino. L'idea di normalità di prima la perderemo per moltissimo tempo. È ovvio però che il Paese non potrà rimanere fermo altrimenti non moriremo di coronavirus ma di fallimento. Quindi i ragazzi torneranno a scuola, si tornerà a lavoro, gli esercizi commerciali riapriranno. Ma certamente questa vicenda ci deve insegnare a rivalutare il modo in cui noi stiamo nel mondo dal punto di vista dei rapporti interpersonali e sociali. Poi dovremo fare un esercizio importantissimo nel non dimenticare. Perché questa cosa ci cambierà in meglio se non dimenticheremo cose che sono successe in queste settimane
In che senso?
Penso alla monumentale importanza della competenza. Miglioreremo se spazzeremo via l'idea che tutti possono fare tutto. Un'idea che, evidentemente, ha generato mostri. Deve tornare il principio del merito. La nostra attuale vicepresidente del Senato, che sostiene questo governo nella più incredibile delle emergenze sanitarie è la stessa persona che due anni fa urlava con la bava alla bocca che fare i vaccini ai bambini fosse come marchiare le bestie. Non dobbiamo dimenticare quel signore, che non so chi sia, che si è fatto scappare un sms anticipando un decreto e generando gli esodi da Milano. Quel messaggio fa morire delle persone e bisogna esserne coscienti. Adesso non è il momento delle polemiche. Ma quando tutto sarà finito bisognerà fare i conti. Solo così il Covid19 ci cambierà, nonostante tutto, in meglio.
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