«Perché se tu dai qualcosa a qualcuno che ha bisogno, fai solo quello che devi fare. Sta sul vangelo di Matteo, al capitolo 7, versetto 12: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, fatelo voi a loro”». Franco Magnani, presidente di Fondazione Cariparma, è di Voghera (Pv), come lo era Alberto Arbasino. A Parma, anzi sull’Appennino parmense, c’ha vissuto però fin da bambino, per poi laurearsi in giurisprudenza e proseguire con la professione forense. È in fondazione dal 2000 come consigliere, era presidente uscente e il consiglio l’ha cooptato e rieletto. Un temperamento schietto, un personaggio che si fa voler bene. L’operazione che vide il cambio di banca conferitaria, dopo che nel giugno 2010 Intesa Sanpaolo aveva ceduto a Crédit Agricole 96 filiali alcune anche dell’ex-Cariparma, lo annoverò fra i protagonisti. Oggi la fondazione, con oltre un miliardo di patrimonio, è la decima d’Italia.
Presidente come andò, in quella occasione, coi francesi?
Tutto ciò che era stata la Cassa di Risparmio di Parma era dentro a Intesa, una banca seria, insomma. Poi però c’è stata la possibilità di uscire da questa situazione (Intesa, dopo la fusione con San Paolo, era obbligata a vendere per problemi di eccessiva concentrazione, ndr), con la Francia che stava acquistando. Rappresentava un’occasione da coltivare. Ho partecipato a tre paginette, in un contratto che abbiamo messo in mano agli specialisti. E questa è stata la nostra fortuna, perché ci consente oggi di avere il 10,54% di Crédit Agricole Italia.
Una conferitaria che vi dà begli utili, come dimostrato nell’ultimo bilancio.
Sì, rappresenta un provento fondamentale, che ci consente di garantire al territorio tutto il supporto che necessita.
Voi a Parma un po’ francesi lo siete stati per storia, oltretutto.
Guardi, tempo fa, l’attuale ceo di Crédit Agricole Francia, Philippe Brassac, chiese di conoscermi: «Posso veder Magnani in faccia? Perché sono 19 anni che ne sento parlare così bene, che devo vedere com’è fatto».
E lei?
Beh io ho risposto: «Guardate che io parlo italiano ma anche dialetto parmigiano, nel quale c’è anche un po’ di francesismo». È venuto a Milano, ci sono andato, ci siamo conosciuti. E lui ha avuto, credo, la conferma di vedere una persona che era uguale a quella che gli avevano descritto.
Per il resto, la Fondazione come è andata, negli anni successivi?
Per il resto c’è stata l’opportunità di chiamare un nuovo direttore giovane, Antonio Lunardini che va benissimo. Abbiamo sistemato tutto il personale interno, si lavora con entusiasmo e competenza.
Per Parma quanto siete importanti, presidente?
Una volta eravamo soltanto in attesa delle richieste. Ora le suscitiamo noi, le richieste. Abbiamo cambiato proprio sistema. A chiunque venga in mente qualche cosa che possa essere utile per la città, ce la può proporre seguendo le quattro linee di azione individuate – Società e Sfide per il Welfare, Trasformazioni Urbane e del Territorio, Sviluppo del Capitale umano e Sostegno (R)Esistente – che guidano la rotta delle nostre nuove mappe erogative. Ogni necessità viene valutata e valorizzata.
Compito non da poco.
Sì, perché magari stanziamo un budget su un bando e ci sono domande per un ammontare 3-4 volte superiore, quindi dobbiamo capire bene. E in ogni caso, chi non sarà finanziato dovrà capire che non è arrivato terzo o quarto: sono arrivati tutti con le stesse aspettative. Vorrei che arrivassimo tutti a quell’educazione, immensa, per la quale ci si considera tutti uguali e tutti giustamente in attesa cercando di giungere a privilegiare ciò che appare effettivamente più urgente. Per fare le cose fatte bene…
Che cosa fate?
Abbiamo stabilito due steps, uno entro il 15 marzo e l’altro entro il 15 settembre, proprio per avere anche lo spazio per andare a recuperare se nel frattempo, come pare stia accadendo, arrivano maggiori risorse. Allora quei 27 milioni che abbiamo annunciato potrebbero diventare anche qualcosa in più. Cerchiamo di essere una famiglia: cioè se siamo tutti bocche da sfamare dobbiamo ricercare chi deve mangiare subito. Ma lo vediamo insieme. Io dico sempre che la Fondazione è di tutti. Non è difficile. Noi cerchiamo di adoperarci particolarmente nel Terzo settore, le cui realtà vado spesso a visitare, ogni volta commuovendomi.
Va spesso a incontrare le realtà sociali, presidente?
Vorrei farle vedere le foto di un ragazzo con disabilità grave, dell’Associazione “Gli Amici di Davide”, che, vedendomi, mi ha preso la mano e non l’ha più mollata: mi dicono che lui capisce benissimo, sente e metabolizza tutto, ma non può parlare e non si sa perché. Recentemente abbiamo dato un contributo importante all’ospedale di Parma per rifare il reparto oncologico. E abbiamo richiesto che fosse un reparto dove si fa ricerca e, dove, quando si scopre qualcosa, lo si metta a disposizione di tutto il mondo, pretendendo la stessa cosa da quelli a cui si inviano questi studi. Perché il mondo dovrebbe essere così. E non tenersi il risultato fino a quando non me lo vieni a pagare, queste risorse che si rinvengono devono essere a disposizione di tutti.
A proposito di Terzo settore. Da qui, in questi anni, come lo ha visto cambiare, evolversi?
Si sta ingigantendo. Anche in ragione del fatto che, intanto, noi interveniamo in un modo ampio e puntuale. Quando sono andato nel posto che le dicevo prima, dove il ragazzo mi ha abbracciato, è stato davvero molto bello, ma sono cose che capisci quando le tocchi con mano e quando torni a casa, ti guardi allo specchio e ci ripensi.
Ci sono altre realtà in Parma che la colpiscono per le cose che fanno, per come le fanno?
Beh, ce ne sono moltissime, l’Emporio solidale, per esempio. Niente di particolare, se vuole, però sono mille metri quadrati di capannone, dove tutto è stato organizzato come supermercato per i fragili. Quello che mi ha commosso è che hanno procurato anche i carrellini, per non uscire con delle gran borse. Si accede usando una tessera scalare, anche per dare valore alle cose. Insomma tutto fatto rispettando la dignità di tutte le persone.
Prego.
Aggiungo anche che quella mamma, la fondatrice di Fa. Ce. Onlus Parma – mancata da poco – madre di una ragazza con disabilità, che mi mostrava un luogo stupendo, che accoglie e vi si lavorava con questi giovani. Ho pensato a come fosse contenta di portare e lasciare lì sua figlia. L’essere presidente di una fondazione filantropica è un gran bel modo di impegnare la propria vita. Occorre che vi si approccino persone che sentono di avere questa propensione…
Ha ragione, bisognerebbe richiedere a chi presiede una capacità di commuoversi come la sua. Direttore Lunardini, avete fatto un cambio di pelle anche coi bandi: sono diventati uno strumento moderno di attuazione delle politiche.
Abbiamo fatto questo percorso, quello dei bandi, strutturando prima di tutto un piano strategico pluriennale. È stato nel 2022 che abbiamo deciso di iniziare un percorso con Sda Bocconi e il professor Andrea Rotolo come supervisor principale di un’equipe molto importante. Quel lavoro, partendo dai dati e dall’approfondimento dei temi, ci ha permesso di ripensare i nostri concetti di filantropia, non demolendoli ma rimettendoli in discussione. Abbiamo smesso di dire: “Si è sempre fatto così”.
Tipica resistenza di tutte le organizzazioni.
Abbiamo fatto un’analisi dei sistemi filantropici, dei documenti sia delle principali fondazioni italiane ma soprattutto delle principali fondazioni europee.
Che cosa è scaturito?
Una serie di laboratori col territorio chiamando, in una prima fase, alcuni portatori di interesse particolari ed esperti che davano le loro letture. In quella fase, il territorio è stato molto presente: cooperative sociali, associazioni di volontariato, enti pubblici, enti culturali, fondazioni etc. Dopodiché Bocconi ha tratto una sintesi e ha fatto un lavoro successivo con il nostro Consiglio Generale: quattro mesi intensissimi, che hanno condotto al documento strategico. Con l’ambizione appunto di passare dalla filantropia riparativa a quella generativa…
E come la declinerete?
All’interno di questo documento abbiamo individuato le 4 linee di azione – Società e Sfide per il Welfare, Trasformazioni urbane e del territorio, Sviluppo del Capitale umano e Sostegno (R)Esistente – che segnano la rotta dei nuovi Bandi ad esse correlati. Abbiamo declinato il Documento previsionale programmatico – Dpp del primo anno, quello attualmente in corso, che delinea nel dettaglio i nuovi Bandi ed ogni anno, per questi quattro anni, andremo a ridefinire il nuovo Dpp e i bandi grazie ad un’attenta lettura della loro efficacia. Già adesso siamo partiti con questa attività di analisi. Vogliamo tenere sempre la barra dritta sull’osservazione ed il confronto per andare a livellare laddove è possibile, solo così possiamo essere certi della nostra efficacia.
Un bel cambiamento anche organizzativo, immagino.
Necessariamente ma se chiediamo cambiamento al territorio, i primi che devono praticare il cambiamento siamo noi stessi. Per esempio, i colleghi e le colleghe, che seguono l’istruttoria delle erogazioni, hanno dovuto smontare alcuni concetti che erano dei must assoluti. E sono stati davvero bravi, perché si sono ripensati anche loro.
Immagino che Bocconi vi dia supporto anche per la valutazione in generale.
Utilizziamo la Teoria del cambiamento per verificare l’efficacia dei nostri bandi, ma vogliamo passare a una valutazione di impatto più puntuale. Ci stiamo lavorando intensamente.
Come mi capita spesso di chiedere in queste interviste, il Terzo settore vi percepisce ancora come il bancomat o l’approccio sta cambiando?
Era così anche da noi, non si può negarlo, ma ci abbiamo lavorato, e parecchio, anche dal lato della comunicazione. E i risultati si vedono.
La reazione?
I nuovi bandi hanno scombussolato un po’ le carte, per cui la prima reazione è stata: «Oddio, ma adesso la mia richiesta dove la presento?». Poi, alla fine, la reazione è risultata molto positiva anche per un confronto reciproco fra i beneficiari oltre che per l’incontro con nuove realtà, che prima d’ora non si erano mai interfacciate con Fondazione Cariparma. Abbiamo fatto un open day ed è stato un bel momento, perché abbiamo puntualizzato che non eravamo a spiegare i bandi ma a chiarire la filosofia a monte, a far capire che era un bene di tutti e che, come diceva prima il presidente, non ci sarebbero stati vincitori e vinti.
Lunardini, lei fa parte di una generazione di direttori o di segretari generali, giovani e molto competenti, di cui le fondazioni bancarie si stanno dotando. La filantropia bancaria dà buoni segnali…
C’è un bel movimento di pensiero a livello nazionale. E c’è un bel movimento positivo all’interno delle fondazioni di origine bancaria. Una volta all’anno, in sede Acri, facciamo una due giorni con tutti i direttori e il confronto è sui modelli filantropici, sulla valutazione. C’è desiderio di fare sempre meglio.
Puntata n. 5 – continua
Le altre puntate.
Pistoia, la filantropia ha un cervello sociale
Piacenza, la filantropia che non dimentica i piccoli
Modena, un miliardo di bene
Biella, filantropia per lo sviluppo
Nella foto di apertura, di A.Samaritani/Agenzia Sintesi, il duomo e il battistero di Parma.
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