Davide Ugo Capello

Quel volo di 50 metri, così mi è cambiata la vita

di Luigi Alfonso

L'ex calciatore di Cagliari e Olbia, vigile del fuoco al Comando provinciale di Savona, ricorda quei terribili momenti vissuti il 14 agosto 2018. Il giovane sardo, sopravvissuto al crollo del ponte Morandi, domani non parteciperà alla cerimonia commemorativa. «Ma è impossibile dimenticare». E ricorda il ruolo dei volontari italiani

Domani saranno quattro anni dal crollo. Il ponte Morandi di Genova, nonostante la ricostruzione parziale e la riapertura al traffico, non ha cancellato dalla memoria collettiva le drammatiche immagini di quella piovosa mattina del 14 agosto 2018 quando, alle 11 e 36, un boato accompagnò lo sbriciolamento di una consistente parte delle strutture del viadotto Polcevera, in corrispondenza della zona industriale di Sampierdarena. «È impossibile dimenticare, non sarebbe umano. E neppure giusto», commenta Davide Ugo Capello, 38 anni da compiere il prossimo 27 settembre. Lui, sardo di Nuoro, quel giorno transitava con la sua autovettura proprio in quel tratto del ponte. «Mi recavo al porto antico per attivare la tessera del tifoso, necessaria per assistere alle partite del Genoa (società per la quale da cinque anni svolge il ruolo di allenatore del settore giovanile, ndr). All’improvviso avvertii uno strano rumore, come di un osso spezzato, poi un rombo sordo. In pochi istanti mi ritrovai con l’auto cinquanta metri più giù. Sembrava di trovarsi all’improvviso sulle montagne russe, ma non c’era spazio per il divertimento: credetti davvero che fosse arrivato il mio momento. Invece… sono stato fortunato, l’auto è caduta in un punto che non è stato sfiorato dal pilone più vicino. Ancora oggi non ho difficoltà a ritenermi un miracolato».

Davide è un ex calciatore professionista. Una carriera da portiere, la sua, tra la serie A e la Lega dilettanti (ha vestito le maglie di Cagliari, Bellunoponte, Olbia, Nuorese, Alghero, Budoni e Savona), con tre presenze nella Nazionale Under 20. In Liguria si è fermato quando ha appeso gli scarpini e vinto il concorso per entrare nei Vigili del fuoco. Ancora oggi è operativo al Comando provinciale di Savona.

«Il ricordo di quel giorno è sempre con me», ammette. «Impari a conviverci ma so che mi accompagnerà per sempre, sinché camperò. Ognuno lo vive a modo suo. Ancora oggi, mi faccio tante domande: sono sopravvissuto a una tragedia simile mentre altre 43 persone non ce l’hanno fatta. Ti chiedi: perché proprio io? Non ho trovato una risposta, sinceramente. Le cause non sono state ancora accertate del tutto, ma mi resta una grande amarezza: quel cedimento strutturale poteva essere evitato. Resta poi inspiegabile la dinamica del mio volo, il punto di caduta e tutto il resto. Evidentemente non era arrivato il momento di andarmene. Diciamo che mi sono trovato al posto giusto ma al momento sbagliato».

Passati i primi momenti di sbigottimento e paura, Davide ebbe la freddezza per telefonare al padre Franco, raccontargli l’accaduto e rassicurarlo, prima che le tv nazionali trasmettessero in diretta quelle immagini apocalittiche. «Un mio collega, tra i primi a giungere sul posto, mi aiutò a uscire dall’abitacolo e portarmi in salvo. Si sentivano i gemiti dei feriti. Si erano ribaltati i ruoli: il mio lavoro mi porta a soccorrere gli altri, in quell’occasione invece ero io ad avere bisogno d’aiuto. Quell’esperienza non ha cambiato tanto il mio approccio con le mansioni di vigile del fuoco, quanto il mio modo di vivere: la percezione della realtà, ma anche la capacità di attribuire il vero valore alle cose. Sembrano frasi fatte, se le senti dire dagli altri, ma quando ti vedi passare la vita davanti, ti cambia davvero tutta la prospettiva. Ora mi arrabbio di meno per le sciocchezze, e non do più per scontate certe cose che invece si rivelano fondamentali, come gli affetti, la famiglia, gli amici».

Domani Davide non parteciperà a nessuna celebrazione commemorativa. «Non l’ho fatto negli anni passati e non lo farò neppure stavolta, per vari motivi. Ognuno ha il diritto di fare ciò che sente nel proprio intimo. In occasione delle ricorrenze, ho sempre preferito stare con le persone a me più care: di pacche sulle spalle ne ho già avuto tante e francamente non ne ho bisogno. Confesso poi che mi imbarazzerebbe incontrare i familiari delle vittime, non è facile rapportarsi con persone che hanno vissuto quel dramma in maniera diversa, che hanno perso un genitore, un figlio o un amico. Niente e nessuno potrà restituirli ai loro cari. Infine, resta una grande amarezza perché questo disastro poteva essere evitato con una corretta prevenzione. E questo lo dico senza voler giudicare nessuno, sia chiaro: questo è un compito che spetta alla magistratura. Ma la negligenza c’è stata, è evidente».

Fidanzato da anni con una giovane ligure, la prospettiva e pure l’auspicio è quello di rientrare in Sardegna e stabilirsi nell’Isola, magari per mettere su famiglia («Piacerebbe a entrambi, in verità»). La vicenda del ponte Morandi gli ha fatto apprezzare diverse cose: «Il vivere semplice, innanzi tutto. E poi l’impegno di chi fa volontariato: il mio lavoro mi porta spesso a operare in stretta collaborazione con il personale della Protezione civile, per esempio negli incendi estivi, e del Servizio 118. Incontro tante persone straordinarie, costituiscono una delle colonne portanti del nostro Paese, di cui dobbiamo andare fieri. Mi piacerebbe fare del volontariato, ma non ho il tempo libero necessario. Mi accontento di lavorare con i giovani calciatori e insegnare loro che la vita va vissuta giorno per giorno, impegnandosi in tutto ciò che facciamo».

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