Il progetto “Insieme per tutti i bambini. Oltre i campi” (programma Zero-Sei) promosso dalla Compagnia di San Paolo è attivo nella provincia di Torino per promuovere occasioni di incontro, scambio e crescita per tutti i bambini e le famiglie del territorio. Sostiene iniziative ricreative, formative, aggregative volte a far incontrare, giocare, socializzare e avviare processi sociali che lentamente creino luoghi di sostegno e promozione della vita dei bambini: spazi dove sai che sempre accade qualcosa. Nei tre anni di attività nei comuni di Bruino, Rivalta, Orbassano, Beinasco, Piossasco e Volvera ha coinvolto oltre duemila persone, tremila bambini (di cui 200 in condizioni conclamate di marginalità). Lungo tutta la serie di iniziative fin qui attivate abbiamo scelto quattro storie, eccole.
Ludovico, Giovanni e Bruno/ Ludovico, Giovanni e Bruno hanno sette, nove e dieci anni e non hanno mai visto dei colori: matite, pastelli, tempere. Per cui appena Laura glieli mostra non sanno come utilizzarli, non capiscono a cosa servono, iniziano quindi a pitturarsi le mani, le braccia, il viso, solo successivamente pensano a quella tela bianca che hanno davanti. Questo perché non sono mai andati a scuola. La vedono tutti i giorni, ci passano davanti, ma non sanno cos’è quell’edificio costruito dai gajè. Non capiscono perché tutti quei bambini gajò si svegliano presto ogni mattina, non capiscono perché c’è una “casa” dove si va a leggere ed una dove si va a dormire. Nell’inverno 2016 con gli operatori del progetto Zero Sei hanno varcato la porta di quella “casa grande”. Oggi disegnano, scrivono, si alzano presto al mattino perché hanno capito che in quella “casa” si “imparano tante cose”. Si è vero, conclude Norma, «cerchiamo un’armonia con questi bambini… anche se sono “diversi” , diversi come due gocce d’acqua».
Mapo/ Sono le 8 del mattino di venerdì quando Fabrizio arriva con la sua consueta tranquillità alla Cascina Romana di Rivalta. Insieme a Sabrina, Anna e Maria, dovrà preparare una cena per 120 persone, tante si sono iscritte alle cosiddette Occasioni D'Incontro per le famiglie e i bambini del territorio: pomeriggio insieme con giochi e merenda e poi cena nel prato.
Il posto è bello: una cascina immersa nel verde e per Sabrina, Anna e Maria lo è ancora di più perché per partecipare a questa occasione di incontro hanno dovuto chiedere un permesso speciale al giudice per allontanarsi dalle loro case. Tutti si mettono subito al lavoro. Bisogna iniziare a tagliare i polli, pulire i fagiolini, mettere a lievitare il pane, schiacciare le noci per la proverbiale bomba – chiamata così per il suo contenuto ipercalorico. Alle 18 tutto è pronto, le donne si riposano mentre i bambini continuano le attività, e fumano qualche sigaretta perché dicono che “fumare fa dimagrire”. Verso le 19 arrivano gli uomini ed è come se le donne si ricomponessero, si mettono vicine e parlano solo tra di loro. Poi arrivano i giovani che, nonostante l’ora, perseguono nell’esibire occhiali da sole, cappellini da mare e barbe hypster.
Le persone si siedono nel prato per la cena secondo quelli che sono i gruppi “naturali” di appartenenza: non si socializza con gli estranei. Una trentina di persone quando realizzano che sono Sabrina, Anna e Maria ad aver cucinato e che serviranno, se ne vanno perché non sanno “se si sono lavate le mani”.
Così perché anziché parlare solo italiano si muovono agevolmente anche con il romanes e il serbo-croato? Nessuno si scompone e un buon gruppo resta. Mapo, il più anziano, non ci fa neanche caso e mi dice: «sai è vero le razze non esistono, ma ci sono le tribù cioè il modo con cui interpretiamo le differenze. Abbiamo una tribù che non è nella pelle, ma sta sotto, come un tatuaggio invisibile, ma io vengo prima del mio cognome». Lui si è sposato quando aveva 15 ed è nonno di 15 nipoti. È curioso, parla di politica, tecnologia, dei robot che sostituiscono l’uomo, racconta di aver vissuto a Roma, Rovigo, Verona e Orbassano, ma mi trovo meglio «dove le razze sono più mischiate». Si lamenta che non c’è più l’onestà di una volta, che quello che conta è solo il business, dei giovani che non ascoltano ed è preoccupato perché c’è in giro troppa droga.
Le persone si incontrano, parlano, ma sono soprattutto i bambini a confondersi a sparigliare i gruppi. Poteva essere una giornata qualunque che non fa piangere nè commuovere, invece è stato uno dei rari casi in cui zingari e gajè si sono incontrati in modo normale e si sono anche divertiti. Osservando i volti gioiosi dei bambini che se ne vanno con le bombe per la colazione di domani so che il 14 luglio per loro non è stato un giorno qualunque.
Sara/ Quando ho visto Sara per la prima volta nella primavera 2014 si trovava in un campo immerso nel verde di Rivalta di Torino nei pressi dell’acquedotto: una selva di zanzare d’estate e ghiaccio d’inverno. Insieme al marito e ai suoi 12 figli stavano tutti accatastati in una roulotte e in un paio di tende. Lei era agli arresti domiciliari, ma aveva un permesso per accompagnare i figli a scuola. Diversamente dagli altri bambini che vivono negli insediamenti spontanei i figli di Sara erano silenziosi e taciturni, ma partecipavano volentieri alle attività che gli venivano proposte, chiedevano solo di non frequentare i rom. Venivano alle Occasioni d’incontro organizzate dal progetto Zero-Sei, sempre un po’ in disparte, ma lentamente sono diventati prossimi e si sono fatti prossimo. Una fondazione si è poi presa carico della loro situazione: ha trovato loro un’abitazione e ne ha coperto le spese, ha messo a disposizione un’autista per accompagnare tutti i bambini a scuola e i risultati si sono visti: presenze superiori al 90% in tutte le fasce scolastiche e buoni voti in pagella. Sono stati fatti i documenti dopo estenuanti viaggi tra Torino, il consolato di Milano e gli uffici della questura. Si sono superati problemi di salute significativi ai polmoni e al timpano. Il marito Mirko è stato assunto a tempo indeterminato in una ditta che si occupa di logistica, ha preso la patente, ha ricevuto in regalo un’automobile. Sara ha terminato di scontare la sua detenzione domiciliare. Tutto faceva presagire uno showcase di successo. Invece, la scorsa settimana, hanno deciso di comprare un terreno agricolo a Rivalta e con un camper e due roulotte torneranno in un campo “per sentirsi più liberi”. Dopo un lungo giro sembra di essere tornati al punto di partenza con una differenza: prima Sara stava nel campo perché non aveva alternative ora il campo è l’alternativa: è la sua libertà.
Paola/ Paola ha i capelli rossi, un po’ slavati dagli anni e le punte marroni. Il volto è gioioso, placido, con le guance simpatiche che ti viene voglia di darle i pizzicotti ma chi è davvero, lo si capisce dal volto pieno di cicatrici per i colpi inferti da suo marito. Paola un giovedì è andata in ospedale con un cacciavite nella schiena, ha dichiarato false generalità e simulato un incidente: «stavo riparando una presa elettrica quando ho avuto un giramento di testa e sono caduta dalle scale, il cacciavite mi è scappato di mano ed è andato a terra più veloce di me e così me lo sono ritrovato sulla schiena». Paola è guardata a vista dalla famiglia del marito, ma dopo varie segnalazioni sono intervenuti, carabinieri, procura e servizi sociali. Ora è in una comunità protetta con i suoi quattro figli, ma ieri ha deciso di tornare indietro. Ha lasciato i figli alle spalle e sola si è incamminata verso un destino in cui il dolore non sembra finire. Gli operatori non l’hanno lasciata sola, hanno continuato a seguirla, giorno dopo giorno, passo dopo passo, ha ripreso il cammino, è entrata in una comunità, ha iniziato a lavorare, ha scoperto di aspettare una bambina, ma come per effetto di una magia al contrario è stata arrestata per un vecchio reato. Non è scappata, è rimasta nella comunità e continuerà a viverci finché la piccola Emma non compirà un anno di vita, poi insieme andranno in carcere. «Ma vedi Fabrizio, ormai ho versato tutte le lacrime che mi erano rimaste dentro per dieci anni, non ne ho più, ho versato anche quelle di Emma perché sono sicura che la sua vita sarà un'avventurosa e affascinante routine».
Quattro volti Zero-Sei
Testi a cura di Fabrizio Floris
Foto a cura di Annalisa Simonato.
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