Procida è una striscia di terra abbracciata dal mare e gli occhi non si stancano di guardarla. Quando Ousainou l’ha vista per la prima volta ha pensato: «Mi piace tutta questa isola. È bellissima. Da grande voglio fare il cameriere o il cantautore. Per questo sono venuto qui». Ousainou ha solo 17 anni, è gambiano. In Italia c’è arrivato da solo, su un barcone in un viaggio lungo sei mesi e diversi Paesi: «Mali, Algeria, Senegal, e pure la Libia». Dopo la traversata del Mediterraneo centrale è sbarcato, poco più di un anno fa, a Catania, «poi», racconta, «mi hanno mandato in un centro in Campania, e adesso sono qui a … cantare».
L’orchestra dei migranti
Il centro in Campania di cui parla Ousainou è il Sant’Andrea di Conza, in Irpinia, un centro Sai (Sistema accoglienza e integrazione). E adesso lui è “qui a cantare” perché è uno dei 14 partecipanti del progetto “Amìh”, un’orchestra musicale formata da un ensemble multietnico con persone provenienti da 7 nazioni, 3 continenti e alcuni componenti della banda musicale Isola di Procida. «I musicisti», racconta Giampaolo Vicerè, responsabile dei progetti di comunità di Procida Capitale, «sono stati selezionati con una call lanciata a tutti i Sai italiani, abbiamo invitato i migranti a raggiungere l’isola per un progetto di residenza artistica che è partito lo scorso novembre e si è concluso con uno spettacolo musicale».
A guidare i laboratori il chitarrista e compositore Osvaldo Di Dio, direttore musicale del progetto: «I musicisti», spiega, «hanno lavorato a composizioni originali, che prendono spunto dalle rispettive culture, stili e lingue». Sono nati cosi brani come Why you had to leave (“Perché sei dovuto partire”), un tuffo nelle storie di vita personale dei partecipanti. Insieme ai ragazzi dei Sai anche tre donne ucraine, oggi cittadine procidane, che hanno cantato brani della loro tradizione per farsi portavoce di un messaggio di pace.
Accoglienza formato famiglia
Qui il leitmotiv “l’isola che non isola” non è una frase fatta. L’isola non solo è stata ed è la protagonista di uno dei processi di innovazione sociale e culturale più riuscito degli ultimi anni, grazie a un percorso partecipato di co-creazione collettiva, Procida è un modello umano a cui ispirarsi che ha tutte le carte per trainare la rinascita culturale del Sud Italia e delle aree interne e sta disegnando nuove traiettorie partendo dall’accoglienza: è l’unica piccola isola italiana ad aver attivato nel 2018 un progetto di accoglienza Sai, rivolto a nuclei familiari di richiedenti e titolari di protezione internazionale. Il progetto è gestito dalla cooperativa sociale Less. «Facciamo un’accoglienza diffusa», dice Daniela Fiore referente di Less, «ci sono dei piccoli appartamenti su tutta l’isola dove vivono i migranti». 22 Nodi è un progetto nato per i 6 migranti adulti attualmente accolti e gli 8 bambini.
Tra loro G. che viene dalla Nigeria e ha 23 anni: «Sono stata in Libia per 2 mesi poi i trafficanti hanno organizzato il viaggio per l’Italia con un barcone gonfiabile, abbiamo viaggiato per due giorni prima di essere salvati da una nave grande e ci hanno portato a Taranto. Ora vivo a Procida con mio marito e mio figlio».
O ancora S.: «Ho lasciato la Nigeria il 21 agosto 2016 con mia figlia più piccola, siamo partite dal Edo state Nigeria e siamo arrivate a Cotonou Benin Republic dopo 2 giorni di viaggio con il pullman. Poi da Cotonou all'Agadez Niger con 12 ore di viaggio in pullman, siamo arrivate ad Agadez. Dopo una settimana siamo partiti per la Libia con un gruppo di persone in un furgoncino e abbiamo viaggiato per 10 giorni nel deserto; poi siamo arrivati a Gatron Libia, abbiamo fatto una settimana lì e siamo ripartite per Tripoli. Dopo 2 giorni di viaggio con il furgoncino siamo arrivate a Tripoli dove siamo rimaste per un mese prima di imbarcarci via mare con un gommone per l'Italia. Abbiamo viaggiato per un giorno e ci siamo stati salvati grazie a una nave grande che ci ha portato in Sicilia; dopo 2 giorni in Sicilia ci hanno trasferite in un progetto d'accoglienza a Napoli; dopo 5 anni a Napoli siamo stati trasferiti a Procida».
Ma 22 Nodi è anche «un programma per riprendere confidenza col mare», spiega Fiore,«per chi ha subìto il trauma delle traversate: abbiamo organizzato momenti in barca, battute di pesca, navigazione a vela, escursioni e immersioni. Spesso i migranti che escono dal sistema di accoglienza poi scelgono di restare qua perché è più facile sentirsi parte della comunità».
Cosa ci lascia Procida Capitale? L’inclusione è diventata un marchio di riconoscimento
«Per l'isola», racconta il primo cittadino Raimondo Ambrosino, «diventare Capitale Italiana della Cultura 2022 è stato ed è motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Una piccola realtà come la nostra ha raggiunto un grande obiettivo. Un risultato che non sta tanto, o almeno, non sta solo nella nomina in sé. Ma è una soddisfazione che sta in come quest’anno è stato gestito anche dal punto di vista amministrativo. All’inizio avevo un po’ di timore, invece la grande collaborazione con la Regione Campania e con gli organizzatori di Procida Capitale ci ha permesso di reggere più che bene: a Procida in un anno sono sbarcate 500mila persone, il doppio del flusso solito». Procida è sempre stata un po’ all’ombra di Capri e Ischia, le altre due isole del Golfo di Napoli. Ma è un'isola con un valore aggiunto: «L’identità», spiega Raimondo. «Non lo dico io, ma è l’impressione che ci hanno restituito le tantissime persone che l’hanno finalmente scoperta. Stiamo parlando di un “fazzoletto di terra”, poco meno di quattro chilometri quadrati e 10mila abitanti. La stragrande maggioranza dei nostri cittadini fa ancora il lavoro del mare. E diciamolo: siamo particolarmente legati a questa terra, alle nostre tradizioni, ai valori caratteristici. Siamo una comunità marinara che, almeno per adesso, non si è commercializzata. E chi sbarca a Procida questa cosa la sente, la percepisce subito. È un’isola autentica, lenta, staccata dai ritmi frenetici della terraferma».
Credit foto apertura e foto 4 e 5 Alessia Della Ragione
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