Continua il dialogo sul populismo e dopo De Benoist, Tarchi e Veneziani interviene sul tema Diego Fusaro che offre una prospettiva basata sui rapporti di forza tra “dominanti” e “dominati”. Una visione che affonda le sue radici nel pensiero di Marx e di Hegel e che si pone in rapporto dialettico con l’illuminismo, ritenuto da Fusaro indispensabile, per aver spazzato via il vecchio ordine della società di ceto e di “ancien regime” ma, al contempo insufficiente per aver lasciato l’umanità in balia del sistema dell’atomistica, incapace di costruire una comunità all’altezza dei tempi.
Il termine “populismo” è uno dei più ricorrenti nel dibattito politico odierno e viene frequentemente utilizzato come elemento discriminatorio nei confronti dell’una piuttosto che dell’altra forza politica. Al fine di sgomberare il campo da false interpretazioni, potrebbe illustrarci cos’è oggi il populismo?
Come ho cercato di mostrare nel mio libro Pensare altrimenti. Filosofia del dissenso (Einaudi, 2017) populismo è una di quelle categorie, di quelle parole di conio, della neolingua capitalistica a beneficio dell’aristocrazia finanziaria come classe dominante.
L’aristocrazia finanziaria, con la complicità degli intellettuali, a guinzaglio più o meno lungo, utilizza una serie di categorie per santificare i rapporti di forza e per impedire alla base qualsiasi tentativo di rovesciamento dell’assetto capitalistico dell’odierno totalitarismo glamour del libero mercato. Populismo è, appunto, la categoria con cui gli intellettuali di riferimento dell’élite dominante demonizzano ogni prospettiva che assuma il punto di vista del popolo dominato e non dell’élite dominante.
Populismo è, quindi, la categoria con cui a vario genere e in diverso modo si assume la prospettiva legata agli interessi materiali delle classi dominate, dette anche popolo, il quale è oggi composto essenzialmente dal vecchio proletariato e dalla vecchia borghesia, dalla vecchia classe lavoratrice e dal vecchio ceto medio che sono oggi finiti in un unico ceto sociale, quello del “precariato”, che si caratterizza per essere pauperizzato e precarizzato. Pauperizzato perché reso sempre più povero, precarizzato perché reso instabile tanto nel mondo del lavoro, quanto in quello della vita mediante la flessibilizzazione integrale delle forme etiche dell’esistenza, dalla famiglia allo Stato, passando per gli enti intermedi.
Il populismo, come categoria, riemerge nei momenti critici della storia. Potremmo, dunque, esclusivamente definirlo come fenomeno di reazione verso la classe dominante, oppure ha delle radici filosofico culturali?
La storia del concetto di populismo sarebbe interessante e anche feconda. La categoria di populismo come sappiamo nasce in Russia e allude essenzialmente alla ricerca, da parte di alcuni intellettuali, di un contatto con il popolo alla difesa degli interessi del popolo legato alle sue tradizioni e ai suoi diritti sostanziali. Il fatto che oggi venga utilizzato come stigma negativo e quasi demonizzante la dice lunga su quanto stiamo subendo il dominio simbolico e reale da parte dell’élite dominante, la nuova classe egemonica che con Marx si chiama “aristocrazia finanziaria”.
Populismo è la categoria con cui a vario genere e in diverso modo si assume la prospettiva legata agli interessi materiali delle classi dominate, dette anche popolo, il quale è oggi composto essenzialmente dal vecchio proletariato e dalla vecchia borghesia, dalla vecchia classe lavoratrice e dal vecchio ceto medio che sono oggi finiti in un unico ceto sociale, quello del “precariato”, che si caratterizza per essere pauperizzato e precarizzato. Pauperizzato perché reso sempre più povero, precarizzato perché reso instabile tanto nel mondo del lavoro, quanto in quello della vita mediante la flessibilizzazione integrale delle forme etiche dell’esistenza, dalla famiglia allo Stato, passando per gli enti intermedi.
Diego Fusaro
L’attuale modello di crescita si innesta su un pensiero quale quello illuminista, ormai in crisi. Potrebbe ciò aver contribuito alla rinascita del populismo?
Sul tema dell’illuminismo bisognerebbe aprire una lunga parentesi. Io sulla lettura dell’illuminismo sto dalla parte di Hegel e di Marx e non da quella che mi pare sottoscrivano anche De Benoist, Veneziani e altri rispettabilissimi e stimabilissimi intellettuali contemporanei i quali si rifanno alla critica incondizionata dell’illuminismo. Io, diversamente, con l’illuminismo intrattengo un rapporto dialettico perché come Hegel, come Marx e come Fichte ritengo che esso sia stato insieme dialetticamente, indispensabile e insufficiente. Indispensabile perché ha spazzato via il vecchio ordine della società di ceto e di “ancien regime” , insufficiente perché ha lasciato l’umanità in balia del sistema dell’atomistica, come dice Hegel, frammentato, senza totalità e nemmeno più in cerca della totalità e quindi, non ha saputo più costruire una comunità all’altezza dei tempi. Possiamo dire che la situazione odierna si presenta esattamente come quella di allora dal momento che vige il sistema dell’atomistica in una forma inedita di globalizzazione dei mercati i cui fattori producono il sistema dell’atomistica su scala planetaria senza più alcun riferimento di eticità in senso Hegeliano. In tale sistema prevale, infatti, la scomposizione atomizzante in ogni ambito: intellettuale, quello che Hegel chiamava l’intelletto astratto; sociopolitica, l’individualismo egoistico delle monadi irrelate; e poi anche a livello di modello ovvero la crescita infinita di pochi individui, quello che Hegel chiamava il cattivo infinito come cifra dell’illuminismo nella sua variante negativa come cifra dell’economia di mercato odierna. Il cattivo infinito del progresso illimitato.
Il populismo, che spesso viene presentato come anti politica, è una forma anti democratica oppure può essere visto come una neo-democrazia? E in che misura potrebbe esprimersi?
Il populismo non è affatto necessariamente anti democratico, può essere orientato ed educato in forme democratiche. Quel che è certo è che l’opposto del populismo oggi è antidemocratico perché la lotta contro il populismo viene cavalcata dall’élite finanziaria e dal suo ceto intellettuale, gli oratores post moderni di accompagnamento, per tutelare il proprio dominio non democratico. Oggi la democrazia, infatti, nel quadro della società globalizzata, ultra capitalistica, esiste solo come autogoverno delle classi possidenti e quindi come plebiscito dei mercati essenzialmente che decidono che cosa è giusto e cosa no, si innervosiscono quando il popolo, populista e xenofobo, per come viene definito, vota altrimenti rispetto ai desiderata dei mercati e dei loro agenti. Pertanto il populismo e il popolo non sono intrinsecamente né democratici, né anti democratici, possono, però, costituire sola la base di una democrazia reale quale fondamento di un vivere autenticamente comunitario, dove per democrazia dobbiamo intendere potere del demos e demos al potere. Il demos suddiviso su basi libere e ugualitarie deve amministrare la polis, ovvero la comunità politica di riferimento, quindi devono esserci la possibilità del controllo economico, politico e monetario della comunità, deve esserci la possibilità di accedere al governo, secondo l’alternanza fra il governare ed essere governati, principio che Aristotele nella politica assume come fondamento della democrazia e, inoltre, deve esserci il libero gioco delle opinioni e lo scambio del discorso, il dialogo, come fondamento della democrazia, che è la forma che dovrebbe sostanziarsi di dissensi e opposizioni, discussioni e non di autoritarismi adialogici.
È possibile che dal fermento populista venga selezionata una nuova classe dirigente?
Non credo che dal populismo in quanto tale nasca una classe dirigente o intellettuale. Credo, tuttavia, che sia più che mai necessario avere intellettuali che portino la coscienza al popolo, come avrebbe detto Lenin. Occorre, cioè, che la coscienza infelice degli intellettuali che si trovano in contraddizione con il mondo in cui vivono si sposti casualmente, proprio come fece il giovane Marx secondo le logiche del clinamen di Epicuro, in maniera non necessitata dalla parte delle classi dominate. Il problema sta oggi nel fatto che gramscianamente gli intellettuali sanno ma non sentono, il popolo sente ma non sa. Pertanto, occorrere un innesto di quella che Marx chiamava l’umanità pensante e l’umanità sofferente. Solo allora si potranno creare le basi per una rivoluzione anzitutto culturale che scalzi il modo dominante di pensare, o pensiero unico, e riabiliti il popolo come categoria che possa essere fondamento della vita democratica.
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