Francesco Profumo

Pnrr: le fondazioni sono pronte a supportare le pubbliche amministrazioni

di Redazione

«Molte pubbliche amministrazioni non si sentono in grado di gestire i fondi del Pnrr. Le fondazioni sono pronte a mettere a disposizione competenze e risorse per la messa a terra del Piano». Riprendiamo da oggi e per i prossimi giorni le cinque interviste ad altrettanti presidenti di Fondazioni di origine bancaria pubblicare sul magazine di dicembre in occasione dei 30 anni delle Fob. Incominciamo con il dialogo con il presidente di Acri e della Fondazione Compagnia San Paolo

Pnrr: il grande nodo del Piano oggi è la sua effettiva “messa a terra”. Quale contributo concreto possono dare le fondazioni affinché un importo così rilevante di risorse diventi reale risorsa per le comunità?
Per fare in modo che i progetti finanziati con il Pnrr “atterrino” sui territori in maniera efficace, producendo un reale e duraturo effetto di ripresa ritengo sia indispensabile che si riescano ad attivare vasti e inediti partenariati, in grado di connettere pubblico, privato e Terzo settore, per consentire che centro, periferia, territori e persone collaborino nel modo migliore. Questa è l’unica via possibile se vogliamo che il Pnrr non crei “cattedrali nel deserto”, che lasceranno il conto ai posteri, ma sia invece un perno agli aiuti e alle azioni che possono trasformare l’Italia. Le fondazioni di origine bancaria faranno — e già stanno facendo — la loro parte su almeno due fronti. Il primo, offrendo il loro supporto al grande piano di digitalizzazione previsto dal ministero per l’Innovazione Tecnologica: il Fondo “Repubblica Digitale”, il cui obiettivo è sostenere progetti volti alla formazione e all’inclusione digitale, con la finalità di accrescere le competenze digitali degli italiani. Il secondo è l’accompagnamento degli enti locali nella redazione dei progetti che riceveranno le risorse del Pnrr. Le pubbliche amministrazioni territoriali saranno chiamate nei prossimi anni a implementare progettualità per ricevere quasi 90 miliardi di investimenti, ma già molte di loro stanno lamentando l’impreparazione a gestire un simile processo e stanno chiedendo aiuto. Le fondazioni rispondono mettendo in campo diversi interventi per “accompagnare” le pubbliche amministrazioni in tutte le fasi della progettazione, offrendo competenze e risorse, e mettendo a sistema questa esigenza diffusa.

Innovazione: per la fondazione che presiede questo termine cosa significa in concreto nel rapporto con le comunità di riferimento?
Tutte le fondazioni di origine bancaria operano nel solco definito dal legislatore negli anni Novanta del secolo scorso: sono soggetti privati nei cui organi di governo è data ampia rappresentanza a tutti gli attori — pubblici e privati — dei loro territori. La cosiddetta Legge Ciampi esprime con chiarezza il perimetro all’interno del quale le fondazioni possono esprimere al meglio il proprio potenziale, ciascuna secondo la propria visione e le proprie sensibilità, in una logica di autonomia non scissa da un imprescindibile senso di responsabilità.

Coprogettazione: come pensa di favorire l’implementazione di questo modello di policy nel rapporto con Terzo settore e pubbliche amministrazioni
Innanzitutto, lo ha ribadito recentemente la Corte Costituzionale, nella sua storica sentenza 131 del 2020: la coprogettazione pubblico-privato sociale realizza il principio di sussidiarietà previsto nella Carta. Quello che le fondazioni di origine bancaria hanno sperimentato in questi trent’anni è un metodo basato sulla collaborazione a tutti i livelli. Sul piano locale, regionale e nazionale, le fondazioni hanno ampiamente dimostrato che la progettazione riesce ad essere efficace e a produrre reale innovazione ed effetti duraturi solo se non è “calata” dall’alto, ma frutto di un progressivo e costruttivo processo di progettazione partecipata. Costruire partenariati, anche inediti, in grado di riunire attorno allo stesso tavolo soggetti molto diversi, e generalmente distanti tra loro, è la chiave del successo. L’abbiamo visto coinvolgendo, in primis, i vari soggetti del pubblico, le organizzazioni del Terzo settore, ma anche università, enti di ricerca, altri soggetti della filantropia, imprese profit, perfino singoli cittadini. Quando si tratta di promuovere il bene comune non possiamo rinchiuderci in vecchie logiche, ma dobbiamo aprirci e sperimentare. Se gli obiettivi sono chiari e condivisi, il ruolo di ciascuno è definito, l’azione può essere sinergica e il risultato sarà sempre superiore alla somma dei singoli interventi. Solo così cresce il senso di comunità e si radica la coesione sociale, perché tutti si sentono coinvolti e protagonisti attivi del cambiamento. Come noto, questo è stato il modus operandi del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, che sta consolidando il modello della “Comunità educante”, quale approccio efficace per affrontare il tema dei minori in difficoltà, senza delegarlo esclusivamente alla scuola e alle famiglie, ma responsabilizzando l’intero corpo sociale nella cura dei minori.

Impresa sociale: può essere davvero l’architrave di un nuovo modello economico? Come le fondazioni possono costituire un fattore di spinta su questo fronte?
L’impresa sociale rappresenta una realtà molto interessante del panorama economico del nostro Paese, che ha ancora ampie possibilità di crescere e diffondersi ulteriormente. L’impresa sociale è in grado di coniugare il perseguimento di obiettivi di interesse generale con logiche di gestione efficienti ed efficaci. Il sociale è il fine, l’impresa è il mezzo: l’importante è non invertire questa sequenza.

Le priorità: quali sono i bisogni del territorio che sentite come prioritari nei prossimi anni e su cui farete i maggiori “investimenti"?
Le priorità resteranno contrastare le disuguaglianze — su tutte quelle indotte dalla povertà educativa — e alimentare l’innovazione. Ovvero tutelare la coesione sociale sui territori e accompagnare i giovani con idee innovative intenzionati a trasformarle in progetti imprenditoriali concreti e sostenibili. Ma, soprattutto, nei prossimi anni le fondazioni continueranno ad ascoltare i territori, individuare insieme i bisogni e i desideri delle comunità e mobilitare tutte le energie per produrre reali e duraturi processi di cambiamento.


Foto: Agenzia Sintesi

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