«Io non so se l’arte abbia o debba avere una funzione curativa, ma quello di cui sono certo è che è capace di portare sollievo. È quello che cerco nelle attività che propongo ai bambini».
Una laurea triennale al Dams, l’intensa esperienza di teatro universitario con gli adulti, poi improvvisamente i laboratori con i bambini, un mondo dal quale Salvino Calatabiano – burattinaio palermitano – non si è mai più voluto staccare. «Improvvisamente ognuno ha preso strade diverse e il gruppo universitario si è sciolto», racconta Calatabiano, «così io e Vito Bartucca, anche lui un grande amante di questo mondo, ci siamo guardati e abbiamo deciso di fondare una nostra compagnia, il Teatro degli Spiriti. Era il 2009 e da allora la mia vita è cambiata totalmente».
La telefonata decisiva
«Avevo capito che la strada da percorrere era quella con i bambini, ai quali potere portare la mia esperienza di teatrante. Ancora, però, non mi ero immerso in quella che sarebbe diventata una dimensione quasi magica», prosegue il giovane burattinaio. «Una bella mattina, però, squilla il cellulare e, all’altro capo, ecco una voce che stentavo a riconoscere. Era un mio ex professore di letteratura al liceo, a quei tempi preside a Ustica, che mi chiedeva se avessi avuto voglia di andare a tenere un laboratorio con gli studenti della sua scuola media. Non me lo feci dire due volte, era l’occasione per portare l’arte dei burattini ai più piccoli».
È il teatro di figura che Calatabiano porta nell’isola di Ustica. Un amore, il suo, scoppiato dopo avere partecipato a uno stage in Liguria ed essere capitato per caso in un negozio di di artigianato che stava per chiudere e svendeva tutto, compresi quattro burattini che hanno inaugurato la sua collezione, nel tempo parecchio cresciuta.
«Fu un colpo di fulmine perché già mi stavo sperimentando con gli spettacoli rivolti ai bambini al Piccolo Teatro Patafisico, una realtà artistica di nicchia del territorio palermitano dove l’arte, il teatro in modo particolare, diventano strumenti per creare sinergie con i giovanissimi. Qualche volta anche con adulti, desiderosi di tornare per qualche ora piccini. La conferma che quella era la strada giusta mi arrivò con la visita di Mimmo Cuticchio, erede della tradizione dei cuntisti siciliani e dell’ Opera dei Pupi, oggi iscritta tra i Patrimoni orali e immateriali dell’umanità dell’Unesco. Quando mi disse che lavoravo bene mi sentii lievitare dalla gioia. Io provengo da una famiglia umile, mio padre un artigiano, e ho sempre conosciuto il valore che ha l’elogio che arriva da un maestro. Da allora più nessun dubbio. Sono 15 anni che muovo con le mani e i gomiti questi personaggi dando loro anima».
Da 15 anni il mio mondo si identifica con quello dei bambini, insieme ai quali vivo dimensioni magiche
Salvino Calatabiano, burattinaio
Un fascino assoluto, quello che i burattini hanno sempre esercitato in Calatabiano, trasmesso con grande emozione e trasporto ai suoi giovanissimi allievi, il più piccolo dei quali ha sei anni mentre il più grande 11.
«Credo di avere imparato più io da loro che loro da me. All’inizio del mio lavoro ritenevo importante la performance, il saggio finale, ma loro stessi mi hanno fatto capire che non era quella la cosa da tenere in conto. Faccio, infatti, sempre la differenza tra ciò che insegno ai bambini e quello che loro imparano. Per esempio, decidiamo di lavorare su Pierino e il Lupo di Prokofiev e credo di stare insegnando una cosa. Loro, invece, mi dimostrano concretamente di avere imparato altro: l’arte della pazienza, la capacità di aspettare il loro turno, di rispettare i tempi del compagno. Quando si forma il gruppo, poi, se c’è uno di loro che ha qualche difficolta non si innervosiscono, anzi lo aiutano. Io stesso mi stupisco e mi rendo conto che, nel giudicare i nostri bambini, siamo sempre molto superficiali».
Il teatro di figura strumento per fare incontrare e comprendere tutte le fragilità nella coralità più assoluta. Un’occasione anche per perseguire specifiche finalità?
Serve avere la capacità di portare sul palcoscenico un racconto, un messaggio chiaro attraverso la voce, il corpo, il lavoro che si fa insieme, non per mostrarci ma per incontrarci. Spesso capita che arrivi un genitore e mi dica che suo figlio è portatissimo per il teatro e che ha voglia di farsi valere. Insieme agli altri invece si impara che non ci sono primi ruoli. In teatro c’è una figura meravigliosa, che non si trova altrove: la spalla. Serve a imparare che ognuno si può appoggiare all’altro. Tutti conoscono il ruolo di tutti e, se manca un bambino, il suo ruolo può essere assunto da un altro. Con molta serenità.
Un lavoro paziente, quello che il teatro richiede e che, nel caso specifico di attori così giovani, diventa un’opportunità di crescita personale.
Io non uso drammaturgia, parto da un racconto e ogni bambino lo fa proprio portandolo sul palcoscenico secondo quel che sente e vuole comunicare. Lo fa, lo deve fare in piena autonomia. Certe volte, non poche in verità, amo metterli alla regia, dando loro modo di decidere quali strumenti portare in scena, come costruire le quinte, come muovere le ombre, quali luci usare. Alla fine, sollevano e muovono da soli tutte le marionette, ottenendo un risultato inaspettato anche per loro.
In teatro c’è una figura meravigliosa, che non si trova altrove: la spalla. Serve a imparare che ognuno si può appoggiare all’altro
Ma qual è il vero senso di un teatro che, come in questo caso, utilizza personaggi inanimati? Che messaggio arriva?
Che il lavoro corale conta più di tutto, completandosi grazie all’ indipendenza e alla collaborazione. L’anno scorso ho portato e condiviso un lavoro che hanno tanto amato, dal titolo Ho un buco nel calzino. È la storia di un gruppo di bambini ai quali la maestra, una volta portati in giardino, chiede di togliersi le scarpe. Una delle bambine si vergognava perché sapeva di avere un calzino bucato ma, dopo tanti brutti pensieri e riluttanze, scopre che anche qualche altro compagno era nella stessa situazione. La morale di questa storia? Che le perplessità, le paure, le ansie appartengono a tutti e che si può essere più vicini agli altri di quanto non si pensi.
Possono dunque delle semplici marionette, dei burattini, avere un ruolo educativo più alto di altri percorsi scolastici?
Ritengo di sì perché hanno il grande potere dell’espressività. Il burattino è uno strumento che, a prima vista, credi serva a nasconderti, ma poi ti accorgi che, quando lo muovi nelle quinte, sviluppi tante capacità. Prima di tutto, quella di dare vita e anima a un pezzo di legno, un po’ come Pinocchio; poi devi fare anche un lavoro che sviluppa il senso dell’udito perché devi capire e cogliere anche il suono della noia da parte del pubblico e lì devi avere la capacità di cambiare immediatamente registro. Certo, un bambino non ha tutti gli strumenti di chi possiede l’esperienza ma, credetemi, ha capacità che noi abbiamo perduto. Il suo candore, la sua freschezza vincono su tutto. E poi riesce a immedesimarsi subito nel burattino che ha tra le mani. È un classico che, se dai a uno di loro un burattino da costruire, lo farà a sua immagine e somiglianza. Un’identificazione che lo aiuta a crescere e fortificarsi. Tra l’altro con una precisione sbalorditiva, nonostante io non chieda loro la perfezione ma solo l’armonia.
Tonando all’inizio di questa nostra chiacchierata, l’arte può avere un ruolo curativo?
Io dico che lenisce le sofferenze e i turbamenti dell’anima. Quando, poi, i protagonisti sono i bambini, ti dà la possibilità di osservare e comprendere elevando il punto di osservazione. Basta solamente accorgersene.
In apertura uno dei momenti laboratoriali con i burattini e i bambini (foto gentilmente concessa da Nicasio Rotolo)
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