Da quello zainetto, Sasha non si è più separato. Lo teneva in spalla anche per andare a letto. Anche quando i suoi giorni e le sue notti li ha dovuti trascorrere su lettini di fortuna, al freddo, con poca luce, nello scantinato in cui si era rifugiato per sfuggire alle bombe, insieme agli altri bambini dell’orfanotrofio.
Sasha ha da poco compiuto sei anni. Oggi vive in provincia di Torino, insieme a mamma Viviana e papà Andrea. Sono andati a prenderlo letteralmente sotto le bombe, per portarlo a casa. Sasha è un bambino ucraino, uno dei 24 che il 24 febbraio 2022, giorno in cui la Federazione Russa ha invaso l’Ucraina, era già stato abbinato a una coppia italiana. Viviana e Andrea sono andati in Ucraina due volte, in questi mesi di guerra: «viaggi della speranza», dice oggi Andrea. Quello zainetto glielo avevano portato a fine gennaio 2022, al loro primo incontro: era la promessa di una vita diversa, da figlio, in Italia. In quello zainetto, a metà luglio, Sasha ci ha infilato tutto ciò che aveva nella sua vita di prima: un pupazzetto a forma di topolino, un paio di occhiali rotti, alcuni disegni.
Andrea ha 50 anni, Viviana 46. I primi passi nel mondo adottivo li hanno fatti nel 2019 e l’idoneità è arrivata a dicembre 2020. «Pensavamo alla Cina, dove però per via del Covid si era già fermato tutto. Abbiamo scelto l’Ucraina perché durante la pandemia le adozioni erano proseguite e perché i tempi che d’attesa erano relativamente brevi, un anno, massimo un anno e mezzo. Invece ci siamo ritrovati dentro la guerra», racconta Andrea. Racconta perché «i bambini che erano già stati abbinati prima del 24 febbraio sono arrivati tutti in famiglia, in Italia, ma ci sono decine di coppie che hanno una procedura avviata in Ucraina. Vogliamo dare conforto, dare speranza». In Ucraina loro due c’erano stati appena un mese prima dell’invasione, per l’abbinamento con quello che sarebbe diventato loro figlio. L'appuntamento è a Kiev il 22 gennaio, negli uffici di quello che è il corrispettivo del nostro ministero della famiglia. «Non sapevamo nulla di Sasha, siamo partiti alla cieca, in Ucraina la procedura è così. Ci siamo seduti e ci hanno presentato un album con le foto di diversi bambini. Ci sono delle foto e poche righe di descrizione, dei codici medici che dovrebbero indicare le condizioni di salute, le disabilità, i bisogni speciali», ricorda Andrea. Con loro c’è la referente ucraina a Kiev del Cifa, l’ente autorizzato a cui di sono affidati. Insieme sfogliano l’album, «ma l’impressione è quella di sfogliare un catalogo», ammette Andrea. Il loro cuore si ferma su Sasha, uno dei più piccolini. «I bambini in Ucraina entrano nell’adozione internazionale solo dopo aver compiuto i 5 anni. Sasha li aveva compiuti a fine novembre, noi eravamo i primi a vedere la sua foto nell’album. Sembrava ancora più piccolo della sua età, con l’aria spaesata…». Nella sua scheda c’è solo un’annotazione: “Ha i piedi piatti”. Andrea e Viviana chiedono di conoscere Sasha.
Non sapevamo nulla di Sasha, siamo partiti alla cieca, in Ucraina la procedura è così. Ci siamo seduti e ci hanno presentato un album con le foto di diversi bambini. I minori in Ucraina entrano nell’adozione internazionale solo dopo aver compiuto i 5 anni, Sasha li aveva compiuti a fine novembre e noi così eravamo i primi a vedere la sua foto nell’album. Sembrava più piccolo. Nella sua scheda c’era solo un’annotazione: “Ha i piedi piatti”.
L’orfanotrofio in cui Sasha vive sta a 400 km da Kiev, nella regione di Vinnitsa. In comune incontrano l’assistente sociale locale e il medico dell’orfanotrofio, per una presentazione sommaria del bambio. Poi finalmente, con una call, conoscono Sasha. Dopo due giorni hano il permesso di entrare in orfanotrofio per incontrarlo: «È stata un’emozione unica, senza aggettivi. Ci avevano detto che amava i puzzle, gliene abbiamo portato uno. Si è messo sul pavimento, come a volerci dimostrare quanto fosse bravo». Fuori il termometro segna dieci gradi sotto zero, Andrea e Viviana possono stare con Sasha un paio d’ore il mattino e un paio d’ore il pomeriggio, iniziano a familiarizzare. «L’orfanotrofio era bello, con spazi ampi, giocattoli nuovi, i bambini erano trattati bene. Nulla da dire. Ma la quotidianità di un orfanotrofio è fatta di regole, non di amore. Sasha è stato abbandonato alla nascita, non ha mai vissuto l’affetto di una mamma e di un papà: si è mostrato subito un po’ restio a dare spazio ai sentimenti. Ci metteva alla prova, quando era con noi faceva cose che sapeva benissimo non si potevano fare… Cose sciocche, per esempio strappare le foglie dalle piante che c’erano nella stanza. Cercava la nostra attenzione e ci sfidava». Il 31 gennaio 2021 Viviana e Andrea confermano l’abbinamento davanti a un giudice: sì, desiderano che Sasha sia loro figlio.
A Kiev Viviana e Andrea avevano alloggiato in un hotel vicino a una caserma, vedendo un gran movimento di camion che entravano, caricavano fucili e munizioni, uscivano. «Dall’Italia parenti e amici ci telefonavano preoccupati, ma la gente là viveva con grande naturalezza, perché in fondo la guerra in Donetsk c’era da anni. Nessuno si aspettava un cambiamento nella situazione», ricorda Andrea. La coppia rientra in Italia relativamente tranquilla, con l’idea che Sasha per Pasqua sarebbe stato a casa. Invece il 24 febbraio cambia tutto. Gli uffici chiudono, alcune persone non vanno più a lavorare, le procedure si fermano. In quelle prime settimane in tanti si mettono in gioco ma nessuno sa dare risposte. Un’assistente dell’orfanotrofio, con cui si erano scambiati i numeri di telefono, per fortuna manda delle notizie e qualche foto. Ogni tanto anche qualche videochiamata rubata, di pochi secondi. Ma fra marzo e aprile le informazioni sono pressoché nulle. A un certo punto viene bombardata un’antenna tv nei pressi dell’orfanotrofio. La vita dei bambini – un’ottantina – si trasferisce negli scantinati. Serpeggia anche la preoccupazione che i russi possano prendersi i bambini ucraini o che possano fiire sfollati chissà dove. Cosa vi ha fatto resistere? «Cifa ci ha dato un grande supporto, anche psicologico. Ci ha dato forza il sapere che lui era lì, il credere che ce l’avremmo fatta», dice Andrea.
Anche lui e Viviana girano dei brevi video per Sasha: gli dicono che lo aspettano, gli mostrano la cameretta che è pronta per accoglierlo. Viene fissata una data per l’udienza per l’adozione: il 2 giugno 2022. Un'anomalia, perché solitamente prima di fissare l'udienza occorre avere i documenti a posto. Andrea e Viviana a fine maggio partono per Kiev. Non hanno ancora i documenti in mano, ma non vogliono lasciare nulla di intentato. «Nessuno sapeva se per quella data i documenti sarebbero stati pronti. Sono arrivati in extremis. Dobbiamo dire grazie agli ucraini, perché nonostante le bombe e la guerra hanno sempre cercato di fare di tutto per far funzionare le cose». Volano in Romania, da qui entrano in Ucraina a Černivci: «Le sirene suonavano ogni due ore, ma dopo un giorno fai come gli ucraini, ti abitui. Vai avanti a mangiare anche con le sirene, anche se sai che un missile può cadere ovunque», dice Andrea. Si spostano nella regione di Vinnitsa, dove il 2 giugno hanno l’udienza davanti al giudice. La sera prima, però, un altro intoppo: uno dei testimoni è stato convocato nell’esercito, l’udienza salta ed è rimandata di tre settimane. Viviana e Andrea parlano con il giudice, piangono e decidono di rimanere. La prospettiva è di stare tre settimane in un paese in guerra. Alla fine l’udienza viene anticipata. In quei giorni incontrano Sasha, stanno insieme: «Lui aveva già voltato pagina. Girava sempre con il suo zainetto in spalla e chiedeva continuamente “quando partiamo?”». Il 9 giugno 2023 Sasha, Viviana e Andrea sono una famiglia anche sulla carta.
Tornare in Italia lasciano nostro figlio in un paese in guerra, letteralmente sotto le bombe, è una cosa indicibile. Ma non puoi fare nulla, devi solo pensare che trenta giorni volano. Devi essere ottimista. Non puoi fare altro
Manca l’ultimo step, trenta giorni di attesa per verificare che nessuno contesti l’adozione, così che questa passi in giudicato. «Tornare in Italia lasciando nostro figlio in un paese in guerra, letteralmente sotto le bombe, è una cosa indicibile. Ma non puoi fare nulla, devi solo pensare che trenta giorni volano. Devi essere ottimista. Non puoi fare altro». Il 12 luglio Andrea e Viviana ripartono di nuovo alla volta dell’Ucraina. In questo viaggio fanno la scelta di non andare da Sasha finché non hanno tutte le carte a posto, «finchè da quell'orfanotrofio avremmo potuto uscire insieme a lui». Devono solo fare alcune pratiche burocratiche e andare nel comune di nascita del bambino, a un’oretta d’auto dall’orfanotrofio, per recuperare dei documenti. Mentre vanno verso l’ufficio anagrafe, l’ufficio viene bombardato. Ci sono trenta morti. Questione di metri e di attimi. «Siamo salvi per un pelo», dice Andrea. Dormire in hotel non è più sicuro, così un'assistente dell’orfanotrofio li accoglie in campagna, a casa sua. Il giorno dopo l’ufficio anagrafe è già tornato operativo, spostato in un altro edificio. Il 16 luglio Viviana e Andrea suonano all’orfanotrofio. In mano hanno tutti i documenti e i vestiti nuovi per Sasha. Da quella porta, finalmente, potranno uscire tutti e tre insieme.
Dovevamo solo andare nel comune di nascita del bambino a recuperare dei documenti, un’oretta d’auto dall’orfanotrofio. Mentre andiamo verso l’ufficio anagrafe, l’ufficio viene bombardato. Ci sono trenta morti. Questione di metri e di attimi. Siamo salvi per un pelo. Il giorno dopo l'ufficio era nuovamente operativo
«Tutti piangevano, Sasha no. Ha salutato velocemente ed è uscito, come se volesse voltare pagina», ricorda Andrea. Sei mesi dopo, sono felici. «Non è facile, sappiamo che ci vorrà del tempo a creare legami. Per un mese Sasha ha mangiato solo zuppa di cipolla, pollo e wurstel e si innervosiva quando sentiva parlare italiano. È un bambino estremamente intelligente, ma dal punto di vista emotivo e relazionale è come se fosse venuto al mondo ora. Ha difficoltà a interfacciarsi con gli altri bambini e con gli adulti, stiamo facendo un percorso con uno psicologo per capire come dobbiamo comportarci. Però è coraggiosissimo, straordinario, si è affezionato subito, senza mamma e papà non fa nulla. Gli piace aiutare in casa, dare il suo contributo. Lo abbiamo iscritto alla scuola dell’infanzia, sta imparando anche a giocare… All'orfanotrofio doveva "combattere" per tutto: per una bicicletta, un giocattolo. Si deve ancora abituare al fatto che qui non ha bisogno di stare continuamente "sul chi va là". Con le cose e soprattutto con l'amore dei suoi genitori».
Nella foto di copertina, Sasha con mamma Viviana: è stata scattata nei primi attimi, il giorno in cui sono andati a prenderlo in orfanotrofio per andare via. Nelle altre immagini, dei momenti degli incontri con Sasha a giugno, durante le visite in orfanotrofio. La foto in cui Sasha è solo, lo ritrae nei sotteranei dell'orfanotrofio, nelle camere allestite per ripararsi dalle bombe, con luci e riscaldamento di fortuna
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