Mauro Magatti

Non serve crescita, serve sviluppo

di Antonietta Nembri

Presentato il primo rapporto “Italia generativa” che ha tra gli obiettivi quello di raccogliere in una logica ricompositiva alcuni segni del dinamismo sociale ed economico del contesto italiano. Ne abbiamo parlato con il sociologo dell’Università Cattolica che lo definisce uno strumento a disposizione di tutti per guardare ai nodi del nostro Paese con occhi diversi e passare da un’idea di crescita a una di sviluppo

“Italia in surplace, dalla dispersione intergenerazionale all’ecosistema generativo”. Così nel suo sottotitolo il primo rapporto “Italia generativa” descrive la situazione italiana, come un ciclista che in pista è fermo sui pedali e mette tutta la sua forza e abilità nel rimanere fermo. Ma tutti gli amanti di questo sport sanno che i veri pistard sono quelli che dal surplace sanno ripartire.
Di questo rapporto, la cui redazione è stata sostenuta da Fondazione Unipolis, realizzato dal Centre for Anthropology of Religion and Generative Studies – Arc Università Cattolica del Sacro Cuore abbiamo parlato con il sociologo Mauro Magatti, tra i curatori del rapporto, cui abbiamo chiesto di raccontarci che Italia emerge dalle pagine dello studio «Il rapporto arriva a conclusioni simili a quelle che di recente sono emerse da altri soggetti che hanno analizzato la società italiana» osserva Magatti. «Penso al Censis che ha parlato di malinconia o a Ipsos che ha parlato di una società statica. Certo, noi abbiamo avuto il rimbalzo post pandemico tra gli anni 2021 e 2022, grazie un po’ al governo Draghi, al Pnrr però questo è arrivato, non solo dopo il crollo del 2020, ma dopo molti anni in cui l’Italia ha manifestato una tendenza al declino molto evidente. Tuttavia questo rimbalzo non è sufficiente perché l’Italia è piena di alcune luci e tante ombre, molto disuguale sia per quanto riguarda la dimensione territoriale, sia per quanto riguarda i gruppi sociali, sia per quanto riguarda i gruppi di età e quindi anche questo rilancio importante non ha per il momento cambiato, invertito la rotta».

Da qui l’immagine del ciclista in surplace?

L’Italia è ancora tendenzialmente ferma, rivela come sapevamo tante potenzialità, ma aspetta ancora di trovare il modo per tradurre nella concretezza queste potenzialità. Che poi concretamente vuol dire, per come concludiamo il rapporto, smettere di pensare a una crescita puramente quantitativa misurata dal Pil o da alcuni parametri esclusivamente economici e metterci in testa che per generare anche la ricchezza economica è necessario che cresca la società nel suo insieme. Cioè le persone e i territori in cui le persone vivono, le infrastrutture sia quelle più hard sia quelle più soft. Perché è lo sviluppo che fa la crescita economica e non viceversa.


Fonte Rapporto "Italia generativa"

Per ciascuno dei punti che vengono segnalati nel Rapporto: “Nascere e crescere”; “Educare, formare, abilitare”, “Autorizzare, consegnare, dotare”, “Partecipare, esprimersi e contribuire”, “Intraprendere”, “Innovare”, “Custodire e rigenerare” e “Risparmiare e investire” viene segnalata una policy esemplare realizzata in altri Paesi. Perché?

Questa sezione noi l’abbiamo inserita anche nella prospettiva di fare un lavoro più sistematico in futuro proprio sulle politiche, non abbiamo analizzato quelle di quest’anno. Diciamo che il nostro obiettivo era mostrare che per affrontare i nostri problemi che conosciamo: la demografia, il ritardo scolastico piuttosto che il ritardo negli investimenti, la parità uomo donna, e tanti altri temi… forse dovremmo avere anche l’intelligenza di andare a guardare gli altri Paesi in Europa e non solo invece di pestare l’acqua nello stesso mortaio con discussioni anche un po’ stantie che si sentono tutti i giorni. Abbiamo cercato insomma in maniera un po’ esemplare e un po’ provocatoria di andarne a prendere per ogni singolo capitolo una, ovviamente nessuno immagina che quella politica particolare possa essere risolutiva della questione di cui si parla nel capitolo, però siamo andati a prendere delle politiche che aiutassero un po’ a ispirare approcci in termini di policy un po’ originali, un po’ innovative e trasformative. Ovviamente abbiamo cercato una certa originalità, ma anche policy che avessero nella loro struttura nella loro logica questo impianto intergenerazionale e intertemporale che è la caratteristica tipica di un’analisi generativa.

L’unico esempio italiano di policy riguarda il Servizio civile universale, perché?

Quella abbiamo voluto tenerla perché pensiamo che sia una questione che abbia valore simbolico molto rilevante, inoltre ci sembrava bello e volevamo evitare l’effetto: l’erba del vicino è sempre più verde. Ma è stato anche un modo per presentare che il nostro Paese ha certamente nello sviluppo delle politiche alcune eccellenze che dovrebbero semmai essere valorizzate e rafforzate.


Fonte Rapporto "Italia generativa"

Sono cinque i nodi che secondo il Rapporto vanno affrontati per ricucire l’Italia, tra questi il suo ecosistema fatto di pmi e piccoli centri….

Più che altro l’Italia ha questa conformazione sia economica-imprenditoriale sia urbana che è una conformazione che ci caratterizza, cioè noi abbiamo poche grandi imprese come abbiamo poche grandi città, questo viene sempre denunciato come un limite, un ritardo del Paese. Quando c’è un sottobosco l’ecosistema deve essere curato, bisogna creare le condizioni perché questo ecosistema non muoia soffocato dalle logiche diverse, Allora in tutti e due casi sia quando parliamo di imprese sia quando parliamo di distribuzione della popolazione noi viviamo in un’epoca in cui anche l’Italia che è un Paese avanzato e subisce la spinta alla verticalizzazione imprenditoriale e alla concentrazione urbana con gli effetti conseguenti, noi dovremmo cercare di essere più consapevoli di essere portatori di un modello originale che è il nostro punto di forza. Però questo modello ha bisogno di una cura e di politiche che lo rendano riproducibile in un contesto appunto dove le logiche che tendono a essere proposte vanno in un’altra direzione. Ci vorrebbe una consapevolezza maggiore e una cura maggiore del modello che caratterizza l’Italia. Senza questo modello basato sulla diffusività del mondo imprenditoriale e su luoghi abitativi che mantengono una dimensione più umana e più relazionale l’Italia non è neanche più l’Italia. Quindi noi esistiamo perché abbiamo questa matrice qui e forse ci converrebbe prendercene più cura di questa matrice. Senza un governo dei processi, le spinte che ci sono anche in Italia portano verso la verticalizzazione economica, basti pensare a quello che succede nelle banche e la concentrazione urbana. Le conseguenze sono la riduzione della base produttiva e lo spopolamento di intere aree interne. Questo è un fenomeno molto difficile da contrastare ci sono tanti fattori che concorrono, però senza una visione diventa difficile sfuggire alle conseguenze.

Manca una visione larga rispetto alla realtà italiana?

Sì torniamo al punto di prima che è la visione generativa. Noi abbiamo lavorato mettendo insieme tanti dati che sono disponibili ma che sono totalmente dispersi per organizzare una lettura coerente dentro una prospettiva specifica. Una prospettiva basata sull’intergenerazionalità e sulla complessità, cioè sull’intreccio tra tante dimensioni che è l’idea di sviluppo al posto di crescita Questi aspetti che sono apparentemente così non prioritari sono secondo noi fondamentali per risolvere quelle problematiche che poi alla fine impediscono al Paese di prendere quella velocità di cui forse sarebbe capace.

Quali aspettative avevate nella realizzazione del rapporto?

Naturalmente l’aspettativa è che questa prospettiva e sguardo sulla società italiana che abbiamo sviluppato in tanti modi con l’archivio, l’alleanza, gli accompagnamenti dei territori e di realtà sia profit sia non profit diventi sempre di più un modo di leggere la società italiana e anche di agire. Anche rispetto alla sostenibilità – che è parente della generatività – però quest’ultima sottolinea con più forza il fatto che alla fine la sostenibilità per non essere perversa ha bisogno di radicarsi nella qualità delle persone, delle relazioni, delle dimensioni istituzionali e territoriali. È condizione perché la prospettiva della sostenibilità verso cui ci muoviamo sia una prospettiva non solo necessaria, ma che sia anche una via per creare una società migliore. Non è automatico e quindi in questo caso il rapporto è un’occasione per aiutare a far comprendere questa prospettiva e il suo valore


Fonte Rapporto "Italia generativa"

Il rapporto è un invito a guardare la realtà italiana con occhiali diversi da quelli utilizzati fino ad ora?

Esatto. Alla fine rischiamo di creare quei problemi che non riusciamo ad affrontare. Per esempio la denatalità, che in Italia è particolarmente violenta ma riguarda tutti i Paesi avanzati. Certo che se noi abbiamo un’idea della crescita a breve termine, un’idea di un individualismo radicale dove ciascuno dovrebbe pensare solo a se stesso slegato da quello che viene prima e da quello che viene dopo gli esisti non possono essere che quelli che vediamo: una società che invecchia, problemi di inquinamento, di ambiente e di distruzione del territorio. Cioè non si vede come possa essere diverso l’esito, abbiamo bisogno di un cambio di prospettiva che in parte ci viene dalla sostenibilità, noi aggiungiamo questa riflessione sulla dimensione generativa perché queste due dimensioni aprono una prospettiva di futuro dove un modello che fa avanzare la scuola, la qualità dell’aria, le strutture del territorio cioè lo sviluppo sociale è condizione, elemento e fondamento della crescita economica e non viceversa. Questo è un punto molto importante che il rapporto mette in evidenza molto bene. La speranza è che qualcuno lo vada a leggere, ci siamo impegnati per rendere il sito dedicato al rapporto molto leggibile, speriamo che questo sia uno strumento digitale per cui le persone, le amministrazioni e i territori possano andare a leggere quello che più gli interessa e possano utilizzarlo come uno strumento per il loro lavoro e per quello che fanno.


Nell'imagine in apertura Mauro Magatti, foto ©Pedrelli

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.