«L'articolo 27 non scade, vale per la prima volta che si commette uno sbaglio punibile dalla legge, ma resta valido anche per una seconda, una terza o una quarta possibilità di lavorare sulla rieducazione». Parole della Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, sottoscritte – nei fatti – da don Claudio Burgio, fondatore della comunità Kayròs di Vimodrone. Una comunità che nel suo nome che arriva dal greco antico, vuole dire “momento opportuno, il giusto tempo”, come quello di cui ha potuto disporre Daniel Zaccaro, di cui è stata presentata la storia nel libro “Era un bullo. La vera storia di Daniel Zaccaro” di Andrea Franzoso (edizioni De Agostini), presentato proprio da don Claudio insieme alla Ministra Cartabia.
«Si tratta di un romanzo biografico, imperniato sulla vicenda di Daniel – spiega don Claudio Burgio, presidente di Kayros e cappellano al carcere minorile Beccaria di Milano – che De Agostini ha deciso di pubblicare perché quella di Daniel è una storia esemplare, che raggiungerà anche le scuole rientrando in un percorso di educazione».
Don Claudio, Daniel è uno dei tanti ragazzi passati dalla sua Comunità…
Sì. È stato tre anni al carcere minorile Beccaria di Milano, poi è venuto a Kayròs in due riprese: la prima è durata due anni, fino al termine della sua condanna, e poi per un’altra vicenda penale è stato da me altri cinque anni o forse più. Diciamo che nell’arco di un decennio Daniel ha fatto tutto il suo percorso, fino a tornare a studiare e a laurearsi in Scienze dell’educazione. Oggi è un educatore.
Daniel ora lavora nella Comunità Kayros?
Aveva iniziato da noi come educatore dimostrandosi molto bravo, capace di dialogare con i ragazzi. Adesso sta completando la laurea magistrale, si sta orientando verso la formazione e ha altre prospettive. Quindi dopo anni abbiamo fatto la scelta, giusta, di esplorare anche il mondo sociale. Adesso lavora nel servizio di zona di Quarto Oggiaro e questo è ancora più bello.
Quanti sono oggi i minori che stanno scontando una pena?
In Italia i ragazzi minorenni detenuti nei vari istituti di pena sono circa 450. Al Beccaria, anche per motivi di ristrutturazione dell’edificio, in questo momento sono circa 35 (la capienza sarebbe di 70 posti letto). Il numero corrisponde al criterio della giustizia minorile, perché il carcere è inteso come extrema ratio; quindi la tendenza è quella di collocarli prevalentemente nelle comunità come la nostra. Il carcere viene utilizzato solo nelle situazioni più gravi, nelle recidive o per i reati peggiori.
Il Beccaria quindi non riesce a ospitare tutti?
Da Milano, per mancanza di posti, molti ragazzi vengono purtroppo trasferiti nelle altre carceri italiane, per cui tanti vanno al centro-sud: questo è un problema, perché sono lontani dalle famiglie e in una condizione di isolamento ancora peggiore. Una situazione annosa, ancora lontana da una soluzione. Viste le proporzioni, perché il Beccaria copre tutta la Lombardia, il carcere è insufficiente.
Quella di Daniel, un ragazzo nato e cresciuto a Quarto Oggiaro, un quartiere popolare di Milano, è un storia unica, ma non la solo: molti come lui che alla fine ce l'hanno fatta. Come il rapper Marracash. È impensabile che ci sia per ognuno un percorso lineare?
Esatto, non è mai “lineare”. Ma che è reso possibile e quindi diventa una certezza, grazie anche e soprattutto a un 'mondo' fatto di persone. Dal prete, come nel mio caso, al brigadiere, dall'insegnante al procuratore, all'avvocato, persone che tutte insieme hanno lavorato 'con e per' Daniel. Ritengo sia necessario soprattutto dedicarsi alla formazione di tutto il personale della Polizia Penitenziaria, anche perché tante volte è proprio da loro che parte un'occasione. L'articolo 27 della Costituzione Italiana, che tra l'altro dice che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, deve essere una finestra aperta per tutti, in vista di una seconda possibilità ed è qualcosa di possibile. Più che una speranza è una certezza perché c'è tutto un coro e una comunità che rende possibile questa scintilla di fiducia e di certezza.
La storia di Daniel fa pensare che i ragazzi che finiscono al Beccaria o che entrano a Kayròs vengono da famiglie difficili, ma è davvero così?
Non tutti, il fenomeno è molto più trasversale. Sempre anche i ragazzini di famiglie molto tranquille, anche abbienti e che vivono in zone “rinomate” di Milano finiscono in carcere o in comunità come Kayòs, ma non c’è solo quella naturalmente. E questo non capita solo a Milano, ma in tutte le altre città lombarde, dove sembra che in famiglia, in società, anche nei nostri oratori, effettivamente non si riesca più arginare le cattive condotte. Che però non solo create dai social, al massimo solo alimentate. Questo è un dato significativo e drammatico: i social amplificano alcune condotte dovute più all’immagine che non per palesare una certa situazione. Inoltre registro anche il fenomeno di ragazzi rapper che in questo momento stanno facendo molto discutere. Tantissimi li ho avuti in comunità e li ho tutt’ora. Alcuni li a indirizzati io sulla strada della musica, come mezzo per esprimere Questo tipo di canzoni e di cultura favorisce certi comportamenti. Senza dare troppa colpa a questi ragazzi, è il clima culturale quello che oggi preoccupa.
Fatto questo quadro complessivo, in chiusura vorrei capire in medi oggi qual è l’età media dei ragazzi in detenzione?
L’età si sta abbassando sempre di più. In questo momento al Beccaria ci sono molti ragazzi di 14-15 anni, mentre prima erano sui 17 e poi diventavano maggiorenni in carcere. Invece adesso molti sono più giovani. Ora anche nelle comunità ci arrivano piccoli, quindi molto incoscienti, instabili, senza un principio autoritario: di conseguenza magari scappano e poi tornano.
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