«Sono un manager delle risorse umane e dell’organizzazione. Ho una storia professionale iniziata in Olivetti, poi proseguita in Fiat, poi in Barilla e Luxottica, poi ho vissuto e lavorato per multinazionali anglosassoni a Londra, in Belgio, in America. Quindi ho portato la mia famiglia in giro per il mondo nelle mie esperienze professionali», si presenta così Nicola Pelà dal marzo 2020 Human Capital & Organization Director di Atlantia.
Nel cuore, ci dice, due esperienze in particolare:
«La prima in Olivetti dove ho respirato anche nelle fabbriche l’idea che industria e produzione possano fondersi con cultura e bellezza. Ricordo poi Barilla, un’azienda fortemente radicata nel territorio e ispirata, guidata da una famiglia autenticamente vicina ai propri dipendenti. Sono un po’ le due esperienze, Olivetti e Barilla, che mi hanno segnato e che mi hanno fatto maturare alcune convinzioni».
Quali, chiediamo interrompendo un racconto che fatica a contenersi
«L’ultima riga del conto economico. L’imperativo di un’impresa: il profitto. Certo, il profitto. Non si discute. Non c’è però aldilà di questo obiettivo una destinazione, una vocazione, che vada a connotare il “come” si arriva al profitto? Può un’azienda darsi una vocazione che la porti ad essere non solo forte ma anche bella? Io credo di si. E credo che la bellezza di un’organizzazione nasca dalla capacità di lavorare sul suo versante spirituale, sui valori che se condivisi creano identità e fanno nascere una comunità. L’azienda è un “non luogo” antropologico e se non illumini questo luogo con la luce delle emozioni e dei sentimenti non riesci a dare un senso al lavoro di chi lo abita quotidianamente. Arrivo al punto. Ci sono parole importanti che se agite anche in un’organizzazione profit, la dotano di un’anima e la trasformano in comunità. Sono parole abituali per chi lavora nel terzo settore: relazione, ascolto, reciprocità, apertura, inclusione, solidarietà, coraggio. Sono virtù preziose ma deboli nelle aziende profit, invece forti, fortissime nel mondo non profit. La risposta: creare opportunità permanenti di integrazione tra questi due mondi».
Abbiamo siglato coi sindacati un accordo che prevede che i dipendenti che intendano offrire il loro impegno nell’ambito del Terzo settore potranno usufruire, in aggiunta a quanto previsto dalla legge e dagli accordi collettivi vigenti, fino ad ulteriori 10 giorni retribuiti per collaborare con associazioni, enti e istituti che svolgono attività benefiche caritatevoli, assistenziali, sociali, religiose, artistiche, culturali, sportive e ambientali
È da queste convinzioni che nasce l’idea dell’accordo firmato giovedì 7 ottobre da Atlantia e tutti i sindacati? Un accordo che prevede che i dipendenti che intendano offrire il loro impegno nell’ambito del terzo settore potranno usufruire, in aggiunta a quanto previsto dalla legge e dagli accordi collettivi vigenti, fino ad ulteriori 10 giorni retribuiti per collaborare con associazioni, enti e istituti che svolgono attività benefiche caritatevoli, assistenziali, sociali, religiose, artistiche, culturali, sportive e ambientali.
«Sì è con questo spirito che abbiamo prospettato e poi condiviso con i sindacati questa idea. Ti confesso che ci sono stati attimi di vera emozione e commozione quando abbiamo discusso e messo a punto i contenuti dell’accordo con i rappresentanti dei lavoratori. In quei momenti ho pensato che è cosa formidabile avere interlocutori ai quali non chiediamo solo di essere al tavolo per gestire le crisi, ma anche per gestire percorsi di costruzione valoriale. Credo sia giusto riconoscere al sindacato un ruolo nella definizione dei valori di un’organizzazione e di come si concretizzi la sua responsabilità sociale».
I dipendenti quanti sono?
«Noi siamo 31mila nel mondo. Questo è un accordo immediatamente applicato nella holding e che, presentato come linea guida alle società operative, sarà auspicabilmente da loro recepito ed applicato nei prossimi mesi. La holding di Atlantia è sempre più terreno di sperimentazione, laboratorio di iniziative adottabili su scala generale dalle realtà locali e regionali del Gruppo. In questo senso, un anno fa,abbiamo reso azionisti tutti i nostri dipendenti italiani, oltre 10mila, attraverso un’attribuzione gratuita di azioni ordinarie della società. Atlantia deve essere piu’ che mai anche loro».
Un percorso di rigenerazione di un’azienda, così appaiono queste decisioni…
«Il percorso che ti sto raccontando l’hai giustamente definito rigenerativo ed ha bisogno di una identificazione assoluta tra dipendenti ed organizzazione. E’ un percorso che parte dall’elaborazione di un lutto – la tragedia di Genova – una tragedia che tutti noi ci sentiamo ancora dentro con un intatto senso di dolore e tristezza. Il lutto lo elabori solo se lo affronti stringendosi l’uno all’altro e decidendo di far ricorso alle
energie emozionali, psicologiche e spirituali di tutti».
Ho letto i verbali di accordo con i sindacati e ci sono dei passaggi molto interessanti, si dice che: “la partecipazione effettiva delle lavoratrici e dei lavoratori alla vita civile e sociale, è un modello di cittadinanza attiva”. Espressioni non banali che dicono di una cultura avanzata…
«La tua sensibilità ha colto anche un altro aspetto credo significativo, il linguaggio, le parole che abbiamo usato nell’accordo. Parole semplici, dirette, che fanno emergere la necessità di umanizzare il linguaggio in azienda».
Quando mi hanno segnalato il vostro accordo, mi sono detto cavolo bello, poi però, forse per quella crasi giornalistica, “fare volontariato pagati dall’azienda”, mi sono chiesto ma è giusto? Cioè dal punto di vista del volontariato. Insomma, fai volontariato, ma un po’ garantito, non rinunci a qualcosa, non fai un sacrificio … Come risponde?
«Provo a convincerti. Ma perché devo rinunciare? Ma perché il volontariato è vero sacrificio? Non e’ piuttosto concretizzazione delle pulsioni più belle e nobili di un essere umano? Riconoscendo la possibilità ad un dipendente di sostenere il suo impegno sociale e civile, si perde “presenza/tempo” per un numero limitato di giorni ma in cambio ci si assicura un dipendente che, quando presente, arricchisce e nutre l’organizzazione di energie e comportamenti speciali. Una seconda riflessione credo meriti di essere condivisa. L’intero Terzo settore è stato
ferito, in molti casi a morte, dalla pandemia. Il crollo delle risorse finanziarie disponibili, la presenza dei volontari forzatamente limitata dalle restrizioni necessarie per contrastare il contagio ha messo in ginocchio molte organizzazioni benefiche. Questo accordo riflette anche il desiderio di aiutare a ridare piena vita al terzo settore adesso che le condizioni lo consentono. Una testimonianza di vicinanza al pezzo più generoso della nostra società».
Mi ha convinto, grazie. Le restano ambizioni dopo tanti successi?
«Sì, un’ambizione ce l’ho. Nel 2009, per i nostri operai in Luxottica ci inventammo il welfare aziendale. Oggi sai quanto vale il welfare integrativo aziendale? Vale 21 miliardi in Italia ed è diventato un elemento presente in tutti i contratti collettivi di lavoro. Ecco la mia ambizione è che l’accordo di cittadinanza attiva firmato in Atlantia possa fare da apripista per altri accordi di promozione dell’impegno dei lavoratori nel terzo settore e possa portare anche ad una legislazione di favore. L’Italia intera ne beneficerebbe. È questo il mio auspicio finale».
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