Maria Grazia Mattei

«Non basta un computer. Serve una diversa cultura digitale»

di Sabina Pignataro

Accrescere e diffondere una maggiore “Cultura Digitale” è l’obiettivo che le sta a cuore. Per questo la fondatrice e presidente di MEET, il centro per la Cultura Digitale di Milano, a fine settembre ha scritto alla ministra per l'Innovazione, Paola Pisano, proponendo che venga insegnata a scuola, affinché ai bambini e ai ragazzi vengano offerte competenze analitiche e anche critiche rispetto al digitale come risorsa non solo strumentale, ma anche creativa

«Sono convinta che la diffusione della cultura digitale favorisca non solo la crescita dell’economia, ma anche delle opportunità e del benessere per tutti i cittadini» dice Maria Grazia Mattei (nella foto), fondatrice e presidente di MEET il centro per la Cultura Digitale di Milano inaugurato il 28 ottobre a Milano, un avamposto per cittadini, creativi, imprese e organizzazioni. «Per questo MEET nasce come impresa sociale: è un’impresa senza scopo di lucro, che reinveste gli utili in attività di utilità culturale, sociale e civica.
Il progetto vede la luce grazie all'unione di due storie diverse, quella di Fondazione Cariplo, e quella di Meet the Media Guru, piattaforma di idee ed eventi ideata e diretta proprio da Mattei che, dal 2005, indaga il tema dell’innovazione e del digitale come crocevia per la cultura, l’economia e le professionalità del nostro tempo.

L’obiettivo principale, spiega Mattei, «chiamiamola pura una missione», è quello di «contribuire a colmare il divario digitale nel nostro Paese». Come ha ricordato il presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Fosti, in occasione dell’opening di MEET: «Il futuro si costruisce a partire dalla crescita delle persone e dalla possibilità che tutti avranno di accedere a occasioni di cultura e di apprendimento. Il digitale oggi fa la differenza fra chi sta dentro e chi rimane fuori dalle opportunità. MEET deve essere uno dei protagonisti di ciò che si fa per tenere dentro».

Dottoressa Mattei, come è messa l’Italia a cultura digitale?
Secondo l’indice DESI della Commissione Europea, che misura la digitalizzazione dei paesi membri, il capitale umano digitale del nostro paese è scarso. I dati sono inequivocabili: il punteggio medio in Europa è 49,3 e l’Italia si attesta al 32,5. Questo significa che le italiane e gli italiani non hanno gli strumenti – strutturali, tecnologici e neanche culturali – per stare al passo dei bisogni del mercato, il che penalizza l’intera comunità».

Eppure lo abbiamo appena sperimentato, la tecnologia digitale si è rivelata una risorsa essenziale durante la pandemia
Direi la risorsa primaria – una risorsa sociale – per unire ciò che il virus aveva separato: famiglie, colleghi, amici. La Humana Communitas – evocata a gennaio da Papa Francesco – si è accorta di essere “onlife”, per usare il termine coniato dal filosofo Luciano Floridi, che così definisce il fluido e continuo scambio fra il Reale e la Rete. Siamo entrati tumultuosamente in un nuovo paradigma, quello del digitale relazionale ed esperienziale. Ma non sono mancate le difficoltà

Quali sono queste difficoltà secondo lei?
L’Italia digitale dell’autunno 2020 marcia a due velocità: molti hanno saputo “surfare” il cambiamento facendolo proprio, altri hanno visto la forbice del digital divide allargarsi, acuendo meccanismi di esclusione sociale, culturale ed economica.

Non tutti però sembrano essere riusciti a stare al passo
Durante il primo lockdown anziani, nuclei fragili, persone diversamente abili, nuovi italiani, detenuti sono stati travolti dal progressivo rarefarsi delle reti di socialità e supporto. Alienazione e solitudine hanno assunto significati nuovi per chi non aveva accesso a social network o a computer, tablet e smartphone. È andata peggio a chi, pur avendoli, non sapesse come usarli, trovandosi nella condizione di analfabeta digitale.

Abbiamo visto acuirsi questo problema soprattutto nella formazione
«Dalla sera alla mattina la cattedra, la lavagna, i banchi sono spariti insieme ad insegnanti e compagni. A pagare il prezzo maggiore sono stati bambine e bambini privi di connettività e device che, oltre al trauma della pandemia, hanno de facto perso il diritto alla formazione. Diversamente da quanto molti hanno a lungo creduto, non basta avere un computer a scuola o usare la rete in banda larga per muoversi consapevolmente nella cultura digitale nello stesso modo in cui suona assurdo ipotizzare che basti possedere una penna per discettare di letteratura»

E cosa serve allora?
Ci è richiesto uno sforzo nuovo, un salto di paradigma. Scuola e università sono istituzioni chiave in questo processo di transizione verso una società digitale inclusiva e matura. Per questo a fine settembre ho scritto alla Ministra Pisano proponendo che a scuola venga insegnata “Cultura Digitale”.
Ai bambini e ai ragazzi vanno offerte competenze analitiche e anche critiche rispetto al digitale come risorsa non solo strumentale, ma anche creativa. Tornando all’esempio della penna, da piccoli impariamo a scrivere, ma non ci fermiamo lì. Ad un certo punto siamo in grado di “utilizzare” quella competenza – la scrittura – in modo autonomo, personale, appunto creativo. Possiamo scrivere la lista della spesa oppure una poesia. Con il digitale deve essere lo stesso.

Lei ha più volta parlato della necessità di affrontare i temi tecnologici a partire da una prospettiva “più umanistica e meno tecno-diretta”. Cosa intende?
Cultura Digitale significa proprio questo. “Esporre” le persone alle innovazioni che viviamo come un processo, rilevando le connessioni fra saperi tecnologici e umanistici e una direzione di senso. Quando sento parlare di realtà virtuale come di una tecnologia nuova, mi viene da ridere! Se ne parla da almeno 50 anni, ma il lavoro di avanguardia è rimasto sottotraccia per molto tempo. Non possiamo credere che siano stati solo i giganti della tecnologia, dei social network o dell’e-commerce a farci arrivare qui. A farlo sono stati sapere condiviso, intelligenza collettiva e anche di sperimentazione di linguaggi creativi e tecnologie nuove.

Per lei l’innovazione è un fatto culturale, prima ancora che tecnologico. Cosa intende?
Uso spesso la metafora del cannocchiale rovesciato. Si crede che il cambiamento tecnologico sia la causa quando è la conseguenza del nostro modo di vivere e di pensare. Dietro ci sono i processi che descrivevo poco fa. È chiaro che questa prospettiva ci induce a diventare fruitori di tecnologia sempre diversa per stare al passo. In realtà, corriamo ma non sappiamo dove stiamo andando. Paolo Iabichino, un grande pubblicitario e un amico, ha descritto MEET come l’occhio del ciclone, il punto di quiete quando intorno tutto si muove freneticamente. Vogliamo essere un ancoraggio, un punto fermo a cui guardare quando si pensa al digitale. Un avamposto per cittadini, creativi, imprese e organizzazioni.

Quali sono i progetti di Meet per il sociale?
Siamo coinvolti in due progetti europei che guardano alla relazione fra giovani e cultura digitale. Il primo si chiama AUGE |Augmented Europe, ed è finanziato dal Bando Europeo sulla Cittadinanza Attiva e ha l’obiettivo di attivare una comunità transnazionale di giovani under 30 su 4 sfide sociali per rendere l’Europa un posto migliore: Inclusione sociale; Ambiente e cambiamento climatico; Interconnessione oltre i confini – mentali, culturali e fisici – infine Lavoro e futuro. MEET coordina il progetto che coinvolge, oltre Milano, altri tre partner da Berlino, Riga, Salonicco. Per farlo usiamo gli strumenti e i linguaggi dei social e della rete che “aumentano” le nostre possibilità di restare vicini, da qui il titolo del progetto.
Il secondo si chiama FREEYOU ed è finanziato dal bando Media Literacy for All – DG Connect. MEET è capofila e rappresenta l’Italia insieme ad altre 4 organizzazioni da Cipro, Portogallo, Spagna, Grecia. Questo progetto ha l’obiettivo è di rendere gli adolescenti più consapevoli rispetto alle informazioni che trovano in rete, su come le persone e aziende potrebbero utilizzare i loro dati e sui rischi e i possibili tentativi di manipolazione sui social media. Tra la fine del 2020 e i primi 6 mesi del 2021 sarà sviluppato e testato un format educativo innovativo, condiviso con un gruppo di facilitatori che diventeranno gli ambasciatori di FREEYOU tra i giovani e nelle scuole di secondo grado dei cinque paesi coinvolti.
C’è poi un altro progetto, che si chiama MENTORA STEAM ed è finanziato dal bando Erasmus Plus. MEET è partner di un consorzio guidato da INOVA – un’agenzia inglese che da anni lavora sul tema delle politiche di genere – e che coinvolge organizzazioni da Spagna e Finlandia. L’obiettivo è lo sviluppo di risorse innovative per l’empowerment di genere, rafforzando le competenze STEAM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Arte e Matematica) con focus su digital and creativity literacy delle donne – con particolare attenzione alle giovani immigrate – al fine di rafforzarne la presenza sul mercato del lavoro. (Il progetto è appena cominciato)
AI FOR FUTURE è un progetto Creative Europe, che vede MEET partner insieme ad organizzazioni da Spagna e Olanda, il cui obiettivo principale è di coinvolgere i giovani attivisti – come ad esempio i ragazzi di Fridays for Future – e giovani artisti in residenza, facilitando processi collaborativi, attraverso il format innovativi dell’Artathon, che valorizzino l’Intelligenza Artificiale e l’uso creativo dei dati come strumenti di consapevolezza urbana sulle sfide ambientali. (Il progetto è appena cominciato)

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