C'è vita nelle aree interne

Noi, local insider, piccoli sarti di comunità

di Daria Capitani

Il presente delle aree interne è fatto di grandi porzioni di territorio e piccoli centri. È un mondo costellato di storie e sperimentazioni: VITA ha deciso di raccontarle mettendosi in viaggio lungo lo Stivale per un percorso a puntate con lo sguardo e la voce di chi si sta facendo motore di cambiamento

Sarti di comunità. Tessitori di relazioni in quei luoghi in cui non è la rete dei trasporti o la vicinanza ai grandi centri a fare da collante tra le persone, ma sono le persone a farsi ponte. Il presente delle aree interne in Italia è fatto di grandi porzioni di territorio (la maggior parte dello Stivale) e piccoli centri, spesso distanti. Ci convivono spopolamento e rigenerazione, scarsa accessibilità ai servizi essenziali e strategie per rinsaldare i legami. È qui che i sarti di comunità cuciono relazioni. Professioni al confine, che affondano le radici nel sociale e si traducono in nuove declinazioni dialogando con il contesto in cui si trovano. Benvenuti in un mondo costellato di storie e sperimentazioni. Spesso ha il volto di un animatore territoriale, è leader più o meno consapevole, o per dirla all’inglese è un local insider. Altre volte è un gruppo che sta lasciando un segno nella comunità in cui vive.

Analisi della comunità per partire dai bisogni.

Partire dai bisogni

«Per rispondere ai bisogni delle aree marginali è necessario un elemento fondamentale: abitarle». Enza Maria Macaluso ha 29 anni, è filosofa, agente di sviluppo territoriale e socia siciliana della Rete Rifai, la rete italiana dei giovani facilitatori delle aree interne. Un insieme di storie e persone nato dall’incontro, nel 2020, di un gruppo di giovani residenti nelle zone montane di tre regioni (Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Sicilia) a Valloriate, Valle Stura, in occasione del Film Festival Nuovi Mondi. Dal desiderio di raccontarsi e immaginare il futuro nelle rispettive terre d’origine, hanno dato vita a un manifesto rivolto a chi si occupa di prendere le decisioni che riguardano la Strategia Nazionale Aree Interne.

Abitare questi luoghi, secondo Macaluso che da alcuni anni si occupa di ricerca per l’innovazione civica, sociale e culturale nelle aree marginali, «non significa semplicemente viverci, lavorarci e poter avanzare una dichiarazione di residenza, ma significa imparare a rapportarsi a essi, inserirsi in un sistema di relazioni che è unico nel suo genere, avere consuetudine di un luogo, farne un habitus, assumere una postura nel presente che sia aperta all’ascolto, al dialogo e alla possibilità, come direbbe Georges Perec, di mettere, ritrovare e plasmare le proprie radici». In questo senso la facilitazione si fa competenza fondamentale, «perché mette a confronto persone e punti di vista verso un’azione coesa e potenzialmente generativa».

Giovanni Teneggi, esperto di imprese cooperative e comunitarie (è responsabile per l’innovazione e lo sviluppo in Confcooperative Terre d’Emilia e B.More soc coop) descrive bene le comunità che vivono i territori abitandoli: «Questa popolazione collega il proprio abitare ai valori universali e alle istanze globali di sostenibilità, pacificazione e democrazia. Ha ispirazioni e attività culturali. Ha biografie di forte implicazione umana, familiare, professionale, sociale con la vicenda comunitaria».

Negli ultimi anni c’è un’attenzione crescente non soltanto verso i bisogni dei centri minori, ma soprattutto verso le buone pratiche presenti in questi territori, spesso esempi pionieristici da cui trarre ispirazione. Nascono nuove professioni? «Se cambia il nostro modo di abitare i luoghi e di percepirci in relazione agli altri, cambiano anche i nostri bisogni e le professionalità capaci di rispondere a questi ultimi – spiega Macaluso -. Innumerevoli sono le testimonianze di modelli imprenditoriali e cooperativistici capaci di rendere stabili e permanenti progetti culturali ed educativi, di strutturare solide proposte legate al turismo e all’ospitalità o di sperimentare innovative esperienze di neo-ruralità. Sono tutte professioni nuove e innovative: anche chi decide di rilevare l’azienda di famiglia o di occuparsi di un terreno incolto generalmente lo fa con uno sguardo rinnovato».

Si sente spesso paragonare l’animatore territoriale a un sarto di comunità. Nel caso delle aree interne si tratta soprattutto di un lavoro di upcycling, in cui a essere modificato creativamente è il destino di quei territori e di quelle comunità che rischiano di scomparire.

Enza Maria Macaluso

Teneggi sottolinea lo sviluppo di profili «perlopiù riferibili al community design e management, all’incubazione, accelerazione e accompagnamento di impresa, all’analisi dei dati socioeconomici, tecnici forestali, gestione delle energie rinnovabili, architettura e ingegneria sostenibile, tecnologie dei materiali, comunicazione e marketing, progettazione culturale».

Più spazio per donne e giovani

Una recente analisi realizzata dal centro studi Legacoop sulla governance delle cooperative di comunità mette in luce come nelle aree interne sembrino trovare più spazio le donne e i giovani. «Il 33 per cento delle realtà aderenti a Legacoop ha un cda composto tra il 26 e il 49 per cento da donne, e il 24 per cento supera quota 50 – spiega Paolo Scaramuccia, responsabile Sviluppo locale, Cooperative di comunità e Servizi associativi di Legacoop nazionale -. Nel 18 per cento delle cooperative, il cda è composto da donne per una quota che va dall’1 al 25 per cento. Quanto all’età media degli organi gestionali, nel 16 per cento dei casi è inferiore ai 40 anni. Il 24 per cento ha una presidente donna, il 13 per cento ha un presidente under35».

I tavoli di lavoro sono uno strumento fondamentale.

Numeri emersi in modo spontaneo, senza una politica ad hoc, e che proprio per questo fanno riflettere. «Spesso le donne godono di un credito fiduciario nella comunità in cui vivono», aggiunge Scaramuccia. «Lo stesso vale per i ragazzi e ragazze che rientrano dopo gli studi universitari ed esperienze in Italia o all’estero o che restano nel territorio in cui sono cresciuti decidendo di impegnarsi. Sono esperienze che è impossibile standardizzare: ogni comunità risponde con processi e forme diverse. Per questo, i migliori leader di un territorio sono gli abitanti della comunità stessa che si attivano per un’esigenza concreta».

Secondo Scaramuccia, le cooperative di comunità sono riuscite a mantenere un sistema sociale e a ricostruire un sistema economico laddove il mercato non arriva perché scarsamente remunerativo e il pubblico non riesce a intervenire per mancanza di risorse: «Una cooperativa di comunità che fattura meno di un milione e occupa 10 persone non è certo un dato particolarmente rilevante, ma se quel dato lo caliamo in un contesto di meno di mille abitanti, principalmente anziani in un’area montana dell’Appennino, assume tutt’altro impatto».

Chi anima oggi le comunità?

«Una persona che lavora sulle relazioni». Benedetta Talon non impiega mezzo minuto a trovare la definizione per un mestiere per cui nutre una passione profonda («Non potrei rinunciarvi», ammette). È la coordinatrice del servizio di animazione territoriale del Centro Servizi Volontariato (Csv) Friuli Venezia Giulia. «Siamo partiti nel 2017 da una richiesta delle associazioni dell’assemblea regionale del volontariato di aiutare il terzo settore a lavorare in rete per rispondere in modo più efficace ai bisogni emergenti», racconta. «Abbiamo iniziato a costruire a livello di distretto una serie di coordinamenti delle associazioni, tutte, senza distinzioni. Ci siamo posti come facilitatori e aggregatori per far sbocciare iniziative radicate sui singoli territori. Il primo passo consiste nella mappatura delle associazioni, le conosciamo, capiamo su cosa stanno lavorando e quali bisogni intercettano. Soltanto dopo le accompagniamo nel percorso di connessione».

Benedetta Talon, coordinatrice del servizio di animazione territoriale del Centro Servizi Volontriato Friuli Venezia Giulia.

Un esempio classico è il trasporto in aree montane: spesso l’anziano non può spostarsi, la singola associazione non riesce a soddisfare tutte le richieste che provengono dai servizi sociali ma la rete sì. «Per questo è la relazione il cuore della nostra professione, non tanto tra persone ma tra attori di uno stesso territorio», aggiunge Talon. «I nostri strumenti di lavoro sono i gruppi, gli incontri, i tavoli, la progettazione partecipata. Non basta la capacità comunicativa, servono un’attenta lettura e l’analisi del contesto, quali le risorse umane quali i problemi, per costruire processi di cambiamento positivo».

Per Enza Maria Macaluso di Rete Rifai «grazie all’animatore o facilitatore trovano convergenza la dimensione locale e quella globale in un costante lavoro di coordinamento, sistematizzazione e co-progettazione. Si sente spesso paragonare l’animatore territoriale a un sarto di comunità. Mi piace molto questo appellativo ma vorrei specificare che nel caso delle aree interne del nostro Paese si tratta soprattutto di sperimentare un lavoro di upcycling, in cui a essere rimesso a nuovo e modificato creativamente è il destino di quei territori e di quelle comunità che rischiano di scomparire».

Operatori del servizio di animazione territoriale del Centro Servizi Volontriato Friuli Venezia Giulia al lavoro.

Macaluso descrive la professione «ibrida». Talon ne individua la paternità in percorsi di animazione sociale come quelli portati avanti dal Gruppo Abele o da figure come Elvio Raffaello Martini e Piergiulio Branca, entrambi psicologi di comunità: «Non c’è un unico percorso di studi che porta a essere un buon facilitatore. Nel nostro servizio, 10 animatori per 18 territori, operano assistenti sociali, educatori, esperti in comunicazione, psicologi e laureati in Scienze Politiche. Tanto fanno l’esperienza sul campo, l’aderenza al contesto e il lavoro in équipe. Ecco, credo che sia quasi impossibile ricoprire il ruolo da soli, perché per lavorare sulle relazioni bisogna essere in relazione».

«Sogno un mondo al contrario, in cui vivere in provincia sia più stimolante che vivere in città», confida la filosofa Macaluso. Ci sono luoghi, e storie, in cui tutto questo è già più di un sogno. Le raccontiamo nelle prossime settimane in un percorso a puntate, attraverso lo sguardo e la voce di chi si sta facendo motore di cambiamento dentro la propria comunità.

L’immagine in apertura è di Cristina Gottardi su Unsplash. Le altre foto sono di Rete Rifai e Csv Friuli Venezia Giulia.


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