Fenomeno Juventus One

Noi, la Vecchia Signora dell’inclusione

di Daria Capitani

«Non siamo speciali, siamo Juventus». È il messaggio di inclusione degli atleti bianconeri che giocano nel campionato Figc, divisione calcio paralimpico e sperimentale per calciatori e calciatrici con disabilità cognitivo-relazionale. Una squadra che vince e con un nuovo nome punta all'inclusione

«Dai, fateci giocare». I campi dello Sporting Orbassano sono inzuppati d’acqua, c’è una grande pozzanghera da guadare per raggiungerli. Un ragazzo in divisa nera, fradicio, insiste: «Non fateci tornare a casa». Sulla sua giacca c’è una J stilizzata, inconfondibile. Benvenuti a Torino, quarta giornata di campionato Figc, divisione calcio paralimpico e sperimentale per calciatori e calciatrici con disabilità cognitivo-relazionale. Siamo a una ventina di chilometri dall’Allianz Stadium e la squadra che sta per scendere in campo è Juventus One. Un numero che è un grande valore aggiunto di questa stagione.

Juventus One in campo (Fotografia Juventus FC).

Semplicemente calcio

Il sopralluogo in campo dura pochi minuti. Alla fine la Federazione dice no, non ci sono le condizioni per giocare. Le partite del primo febbraio andranno recuperate. La delusione degli atleti è palpabile, quella dello staff esplicita. «È una questione di sguardo. Siamo ancora visti in un modo diverso rispetto alle altre categorie. I nostri atleti non corrono maggiori rischi di infortunio: qui non c’è nulla di speciale, facciamo calcio e basta». Marco Tealdo, coordinatore del progetto Juventus One, sceglie le parole in modo tutt’altro che casuale: è proprio attorno a quell’aggettivo, speciale, che si è giocata la partita (recentissima) del nome della squadra.

Per mio figlio la Juve è tutta la vita. Dedicare una giornata agli allenamenti a due ore da casa non ci pesa, è il nostro spazio e ne vale la pena

Il papà di un atleta della Juventus One

«Fino alla scorsa stagione, ci chiamavamo Juventus for Special», spiega Tealdo. «Ma pensavamo che quel nome non veicolasse il vero senso di inclusione che vogliamo lanciare al mondo attraverso l’esperienza sportiva. Le persone con disabilità non sono persone speciali. E i calciatori con disabilità non sono calciatori speciali. Sono calciatori, atleti a tutti gli effetti. Juventus questa cosa l’ha capita fin dall’inizio, ma il mondo attorno non ancora. È per questo che abbiamo intrapreso una battaglia piccola e fondamentale: attraverso la scelta di un nome, cambiare l’immaginario, far sì che il nostro calcio venga visto non come uno sport per persone sfortunate o speciali, ma semplicemente come calcio. Avere al nostro fianco una realtà come Juventus, con la sua forza comunicativa, ha fatto da detonatore».

Oggi, sulla manica destra di ogni maglietta c’è un logo che recita J One, in lettere e in numero: «È un nome che ci piace tantissimo perché ci mette alla pari di tutti gli altri progetti che porta avanti il Club. Sembrerà una cosa piccola messa su carta, ma per noi significa molto: non vogliamo essere considerati diversi, migliori o peggiori, vogliamo essere valutati per i nostri risultati, in modo positivo se raggiungiamo gli obiettivi, meno bene se non otteniamo certi livelli di successo sportivo».

Felice Fabrizio, Juventus People & Sustainability Manager (Fotografia Juventus FC).

Felice Fabrizio, People and Sustainability manager di Juventus, conferma: «Il progetto Juventus One è partito da subito con una grande sintonia perché sul tema diversità abbiamo lo stesso tipo di visione. Una valenza sociale certamente, ma con forti ambizioni dal punto di vista sportivo. Atleti che lottano per un posto da titolare e che se non performano bene restano in panchina».

Un’esperienza iconica

Andateli a vedere i risultati. Gli oltre 140 atleti della J One (dai 6 ai 55 anni, suddivisi in tre livelli agonistici a seconda dell’abilità e un quarto livello amatoriale) vincono. Campioni italiani all’esordio nel campionato quarta categoria nella stagione 2018/2019, primi al torneo interregionale Piemonte-Sardegna ‘21/’22, prima la squadra del terzo livello al torneo regionale e poi alle finali nazionali e al torneo internazionale di Vienna nel ‘22/’23. Campioni d’Italia, infine, nell’ultima stagione del terzo livello. La scorsa estate allo Juventus Museum, la loro coppa era esposta accanto agli altri due trofei vinti dalle squadre bianconere: Coppa Italia maschile e Supercoppa italiana femminile. Tealdo la definisce «un’esperienza iconica».

Alcuni calciatori della Juventus One prima di scendere in campo (Fotografia Juventus FC).

La storia…

Questa è la storia di due educatori appassionati di calcio e di una cooperativa che ha creduto nella loro idea. Bisogna tornare al 2010: uno dei due educatori è Tealdo, lavora alla cooperativa Coesa di Pinerolo e insieme a Gianluca Gallina propone di far partire un’attività di calcio con i ragazzi delle comunità e dei centri diurni. Alla cooperativa il progetto piace e decide di mettere a disposizione un monte ore sufficiente a organizzare gli allenamenti e le partite.

A ricostruire i passaggi che hanno condotto una ventina di ragazzi dai primi tornei amatoriali per atleti con disabilità fino all’agonismo con Juventus, è Massimo Miegge, presidente dell’associazione Nessuno Escluso a cui fa capo il progetto: «La scelta (rivoluzionaria per quegli anni) è stata da subito quella di realizzare un’attività professionalmente orientata, con un’attenzione marcata alla preparazione tecnica e atletica», racconta. «L’agonismo per noi non è mai il fine, è il mezzo per creare un’esperienza autentica di calcio». Nel 2017, in Lombardia nasce il campionato paralimpico della Figc che prevede che ogni club adotti una squadra composta da atleti con disabilità. Da Pinerolo parte una spedizione in direzione Milano per chiedere di poter entrare nel circuito. «Nel giro di un mese, la Federazione ci comunica che saremmo stati adottati da Juventus. Inutile dire che è stata un’esplosione di gioia».

Abbiamo intrapreso una battaglia piccola e fondamentale: attraverso la scelta di un nome, cambiare l’immaginario, far sì che il nostro calcio venga visto non come uno sport per persone speciali, ma semplicemente come calcio

Marco Tealdo, coordinatore del progetto Juventus One

Due vocazioni, sociale e sportiva insieme. È in questa connessione, secondo Miegge, il grande valore di Juventus One. «Per molti dei nostri ragazzi, e le loro famiglie, siamo un riferimento. Il fatto che a gestire il progetto siano allenatori con una formazione da educatori o psicologi rende possibile un percorso a 360 gradi. Il sistema squadra assume in alcuni casi una componente terapeutica». Ed è una lente di ingrandimento sul tema dell’inclusione: lo staff e gli atleti entrano ogni anno nelle scuole. Raggiungono migliaia di studenti con il loro dirompente messaggio: la disabilità non è un limite ma uno dei tanti aspetti comuni all’esistenza e alla diversità umana.

…e le storie

Un ragazzo è partito da Varese per giocare la partita annullata il primo febbraio. «Per mio figlio la Juve è tutta la vita», racconta il papà. «Dedicare una giornata agli allenamenti a due ore da casa non ci pesa, è il nostro spazio e ne vale la pena».

Simone Santeramo è il portiere della squadra che l’anno scorso si è aggiudicata il titolo di campione d’Italia, lo chiamano “senatore” perché è presente fin dal primissimo giorno. In 15 anni avrà saltato uno o due allenamenti «per situazioni estreme». Vincere? «È molto bello». Accanto a lui c’è Sebastiano Messina, tifoso sfegatato juventino, gioca sulla fascia: la scorsa settimana non aveva un passaggio in auto e così ha raggiunto il campo a piedi. Fabrizio Idà «è uno di quei giocatori che per qualità tecniche può essere adattato a diversi ruoli»: da ragazzo era arrivato a giocare in prima categoria, il calcio è tornato nella sua vita e l’ha anche un po’ cambiata. In meglio.

In mezzo, c’è la loro allenatrice. Silvia Dema li ha incontrati da studentessa all’università: «Frequentavo Scienze dell’Educazione, avevo giocato nel Torino e nella Juventus femminile. Quando ho finito gli esami mi sono presentata agli allenamenti: se posso essere utile, ci sono». È finita che su questa storia ci ha scritto una tesi di laurea. E oggi parla anche di lei.

Le fotografie sono di Juventus Fc

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