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Noi che salviamo il cuore blu dell’Europa

di Elisa Cozzarini

Un pugno di scienziati e di attivisti sul fiume Neretva, uno degli ecosistemi più ricchi dei Balcani. A minacciarlo un piano di costruzioni di centrali idro-elettriche

Il fiume Neretva è uno degli ecosistemi più ricchi e minacciati dei Balcani. Per difenderlo, si sono dati appuntamento a Ulog, paese semiabbandonato della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, novanta tra scienziati e attivisti locali e internazionali, per studiare la biodiversità straordinaria del corso d'acqua e dell'ambiente circostante, dove tutto è ancora connesso. A coordinare l'iniziativa, l'ong Riverwatch, in collaborazione con il Centro per l'ambiente (Czzs) di Banja Luka, nell'ambito della campagna Save the blue heart of Europe.

Il cuore blu dell'Europa batte nei Balcani. È qui che scorrono gli ultimi fiumi naturali, ed è a Ulog, lungo la Neretva, in Bosnia ed Erzegovina, che si sono incontrati, tra fine maggio e inizio giugno, novanta tra scienziati, studenti, giornalisti, fotografi, attivisti, da diciassette paesi, per studiare e raccontare la straordinaria biodiversità presente nell'alto corso del fiume. La Neretva Science Week, alla seconda edizione, fa parte della campagna internazionale Save the Blue heart of Europe, che vuole difendere i fiumi balcanici, il cuore blu dell'Europa, appunto.

«Tutto è cominciato undici anni fa, osservando la mappa dei corsi d'acqua naturali, o quasi, dalla Slovenia alla Grecia, che per convenzione sono disegnati in blu», racconta Ulrich Eichelmann, ecologo tedesco e presidente della ong Riverwatch. «L'abbiamo sovrapposta a un'altra mappa: quella dei progetti per nuove centrali idroelettriche, in rosso. È stato evidente che, nel giro di pochi anni, il rosso avrebbe cancellato il blu. Dovevamo fare qualcosa per non distruggere un patrimonio di natura che, nei Paesi dell'Europa occidentale, è perso da decenni. Così è nata la nostra campagna, sostenuta anche da Leonardo Di Caprio».

Agire per contrastare la crisi climatica costruendo nuovi impianti per la produzione di energia idroelettrica, nel caso dei fiumi balcanici, porterebbe a una perdita di biodiversità che molti scienziati e attivisti considerano inaccettabile. La nostra epoca è infatti caratterizzata anche da una grave crisi di biodiversità, con la crescente scomparsa di specie animali e vegetali, specialmente a causa delle attività antropiche e della frammentazione degli habitat. Per questo lo scorso dicembre il Comitato permanente della Convenzione di Berna, sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali in Europa, ha chiesto alla Bosnia ed Erzegovina di fermare la costruzione di tutti gli impianti idroelettrici nel bacino della Neretva, «uno degli ecosistemi fluviali più preziosi d'Europa» e di istituire invece aree protette. Proprio a Ulog, dove si sono ritrovati studiosi e attivisti, è in costruzione una diga di 60 metri. All’inizio doveva essere di 150 metri, ma l’instabilità dei versanti ha imposto un ridimensionamento.

Tra le specie in pericolo, la trota dalla bocca soffice, Salmo obtusirostris, endemica di alcuni fiumi balcanici. Ma molte altre specie, se venissero costruite tutte le opere in programma per la produzione di energia, potrebbero scomparire prima ancora di essere scoperte. Nella prima edizione della Neretva Science Week, un anno fa, ne sono state trovate ben otto, fino ad allora sconosciute al mondo scientifico. La Bosnia ed Erzegovina è infatti ancora per lo più inesplorata, in questo senso. Quest'anno gli studiosi, divisi in gruppi a seconda della specializzazione, hanno proseguito la ricerca allargando il raggio d'azione all'ecosistema circostante il fiume e i suoi affluenti, fatto di foreste, prati, laghi, sorgenti, grotte, per avere un quadro il più ampio possibile della biodiversità presente in un ambiente dove tutto è ancora connesso.

«Camminando tra gli alberi, da un versante all'altro delle montagne lungo la Neretva, si possono scorgere i segni del passaggio dell'uomo, risalenti ormai anche secoli fa, quando questi luoghi erano abitati», spiega Michal Franhovic, ricercatore slovacco del gruppo Remote primary forests, «in Bosnia ed Erzegovina non possiamo parlare di foreste primarie, intatte, ma il loro valore non è inferiore per questo, anzi». Per studiare le foreste, si prelevano dei campioni dai tronchi degli alberi in lunghe cannucce, che permettono di ricostruire, anello dopo anello, la storia della pianta e del suo ambiente.

La natura riprende il suo spazio anche negli edifici abbandonati. In una vecchia scuola oggi integrata nel bosco, è stata scoperta una colonia di pipistrelli Ferro di cavallo minore, Rhinolophus hipposideros, una specie tra le più minacciate in Europa. «È un ambiente perfetto per questi animali, per una combinazione di condizioni: la presenza del bosco, del fiume, di un luogo in cui rifugiarsi e l'assenza di fonti di inquinamento», spiega la biologa slovena Maja Zagmajster, dell'Università di Lubiana. «Nella colonia ci sono solo le femmine: si trovano qui nella bella stagione per dare alla luce i piccoli e li accudiscono finché iniziano a volare e diventano indipendenti, a fine estate».

Altri gruppi erano impegnati nella ricerca di muschi, funghi, ragni, uccelli, mammiferi, rettili, macroinvertebrati (la fauna presente nei corsi d'acqua, considerata bioindicatore di qualità), gli organismi che vivono nel suolo o nelle grotte. Moltissime le farfalle diurne e notturne che si trovano attraversando i prati intorno al lago Crvanjsko e lungo l'alto corso della Neretva. Tra queste, la Euphydryas aurina, che nel resto dell'Europa un tempo era molto comune, mentre oggi è quasi scomparsa. Ora gli oltre settanta studiosi che hanno partecipato alla Neretva Science Week sono al lavoro per la pubblicazione di un report divulgativo che raccoglierà quanto scoperto negli intensi giorni passati in Bosnia.

«I dati raccolti dagli studiosi sono fondamentali per difendere i fiumi dei Balcani, ma altrettanto importante è che siano gli stessi scienziati a mettersi in gioco e parlare in prima persona: da qui nasce la rete Scientists for Balkan rivers», riprende Eichelmann, «non è qualcosa di comune per il mondo accademico, abituato a far parlare i dati e a non prendere posizione. Ma è proprio l'impegno personale degli scienziati che fa la differenza e ci permette di essere più autorevoli. Dalla nostra parte abbiamo ricercatori che portano avanti i loro studi sui fiumi balcanici a titolo volontario e si espongono per far conoscere i risultati del loro lavoro».

La prima settimana della scienza su un corso d'acqua dei Balcani si è tenuta sul fiume Vjosa, in Albania, nel 2017. E quest'anno, a marzo, il governo albanese ha dichiarato l'istituzione del Parco nazionale del Vjosa, un corso d'acqua di 400 chilometri completamente naturale, l’ultimo fiume selvaggio d’Europa. È stata la più grande vittoria della campagna per il cuore blu dell'Europa, ottenuta grazie a un insieme di fattori: l'impegno degli scienziati, l'alleanza con gli attivisti locali, le battaglie legali, la campagna mediatica sostenuta anche da Patagonia, noto marchio di articoli sportivi.

«Sulla Neretva, purtroppo, siamo arrivati troppo tardi per fermare la costruzione della diga di Ulog. Ma possiamo ancora bloccare gli impianti a monte, lungo il corso d'acqua principale e i suoi affluenti, e chiedere l'istituzione di un'area protetta, magari con la creazione di un centro visite proprio nel villaggio di Ulog, offrendo opportunità di lavoro alla popolazione grazie alla valorizzazione della natura», conclude Eichelmann. «Il mio sogno è che l'Unione europea impari a guardare agli Stati dei Balcani in modo positivo, non per le divisioni e i conflitti che li attraversano ma per la ricchezza di biodiversità che conservano, un patrimonio comune da difendere per l’umanità. Perché le dighe dividono, i fiumi uniscono».

La foto in apertura è di Vladimir Tadic.


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