Sedici stanze, 37 posti letto, 350 famiglie ospitate ogni anno. Dietro ai numeri dell’Associazione Genitori Oncologia Pediatrica – Agop ci sono 46 anni di storie di accoglienza gratuita, di sostegno personalizzato, di tutela degli aspetti sociali, sanitari e psicologici di ogni piccolo paziente. Agop garantisce ospitalità alle famiglie di bambini con patologie tumorali, in quattro case di accoglienza, tutte situate nelle vicinanze della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, possono ospitare fino a otto nuclei familiari. «Prima del Giubileo, inaugureremo la Casa a Colori», dice Benilde Mauri, presidente Agop. La Casa a Colori nascerà in un edificio di 1.600 metri quadrati, concesso in comodato d’uso all’associazione dal Comune di Roma. Si unirà agli appartamenti che l’associazione offre gratuitamente ai bambini in cura al Policlinico Gemelli per malattie oncologiche e ai loro familiari e sarà un luogo in cui trovare assistenza infermieristica, riabilitativa e psico-oncologica.
Mauri, come nasce la vostra associazione?
Da 46 anni portiamo avanti le nostre attività, sempre con gli stessi ideali, la stessa mission, che è quella di fornire un trattamento globale per i bambini malati di tumore e alle loro famiglie. I genitori che avevano un figlio con un’esperienza di cancro, tanti anni fa andavano all’estero a curarsi. Pensammo di costruire qualcosa di serio, che desse una speranza, anche perché all’estero avevamo fatto i cosiddetti “viaggi della speranza” e, come noi, tanti che si sono venduti casa e tutto quello che avevano, per curare i propri figli. In Francia (Marsiglia, Lione) e, più tardi, in America, i medici parlavano tutti perfettamente italiano perché i maggiori pazienti erano italiani. Noi di Agop siamo stati dei pionieri, insieme ad altre associazioni, abbiamo lavorato benissimo, abbiamo aiutato la divisione dell’Oncologia pediatrica dell’Ospedale Gemelli a crescere. Abbiamo fatto qualcosa che rimarrà per sempre, che è entrata nella coscienza e nella civiltà di quest’ospedale. Il nostro pensiero più grande è sempre per i bambini e per gli adolescenti, che sono pieni di coraggio.
L’accoglienza, durante tutti questi anni, è cambiata?
Sì, l’immigrazione è sempre stata costante nel tempo ed è cambiata. Io dico sempre che siamo testimoni delle guerre, della povertà, della miseria in tutto il mondo. A seconda dei periodi, sono arrivati con maggiore o minore affluenza pachistani, iracheni, indiani, africani, albanesi, rumeni, ucraini. In realtà gli ucraini li ospitiamo da tanti anni, non solo da febbraio 2022. Ricordiamoci di Chernobyl, che ha fatto danni incredibili, arrivavano tanti ragazzini con tumori alla tiroide. Ancora ora gli ucraini hanno il cancro da radiazione, i tumori cerebrali sono molto frequenti.
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L’emigrazione sanitaria interna, nel nostro paese, è più pesante di quella africana: oggi il problema più grande è l’emigrazione sanitaria italiana. Il Centro-sud italiano ha pochi ospedali e pochi medici, c’è poca formazione. I pazienti del Meridione, in gran numero calabresi, vanno a curarsi in tutta Italia: a Firenze, Milano, Roma, Pavia. Soprattutto per quanto riguarda i tumori infantili, che stanno aumentando nel nostro paese. Se prima i pazienti venivano soprattutto dall’Ucraina per curare i tumori cerebrali, ora vengono più da Gela, dalla Terra dei fuochi. Molti medici stanno andando a lavorare all’estero, tanti in Qatar e in Svizzera, dove vengono pagati profumatamente. Per quanto riguarda l’Oncologia pediatrica, noi aiutiamo alcuni medici con le borse di studio.
Ospitate più famiglie italiane che straniere?
Ospitiamo circa 350 famiglie l’anno, più italiane. Abbiamo 16 stanze, 37 posti letto negli appartamenti situati intorno all’ospedale Gemelli. Verrà inaugurata sicuramente prima del Giubileo 2025 la Casa a Colori, che speriamo che ci dia un po’ di sollievo. I lavori sono stati fermati dalla pandemia, poi dalla guerra. Offrirà altri 66 posti letto, oltre a quelli già offerti negli altri nostri appartamenti, di cui paghiamo l’affitto. Cerchiamo di avere tutte le abitazioni vicino all’ospedale in modo che le famiglie ospitate non debbano prendere taxi, molte non hanno l’automobile qui a Roma. Le cure sono lunghe, durano uno-due anni. Quando finiscono le terapie, devono ritornare a Roma per riprendere le cure e per i controlli.
Vi occupate a 360 gradi delle famiglie ospitate?
Sì, ci occupiamo del vitto, dell’alloggio, di tutte le questioni burocratiche, legate alle Asl e alle questure. Abbiamo un assistente socio sanitaria, che si occupa da tanti anni dei nostri ospiti. Cerchiamo di fare scuola, in modo che tutto quello che costruiamo non vada disperso.
Può parlarci della vostra sede in Trentino?
Sì, è un gioiellino, sono due appartamenti in zona “Le Albere”, dove facciamo una nuova forma di terapia. Nel 2018 abbiamo avviato un percorso assistenziale completo ed efficace, in grado di affiancare, ai trattamenti effettuati nel Centro di Protonterapia di Trento, tutte le attività necessarie per garantire una migliore cura e qualità della vita per i piccoli pazienti che si fermano in città mediamente dalle quattro alle sei settimane, sottoponendosi a sedute di terapia giornaliere.
I volontari sono sufficienti, per portare avanti le vostre attività?
I volontari dovrebbero essere di più, sono diminuiti. Hanno poco tempo tra il lavoro, la cura della famiglia. Facciamo sempre corsi di formazione ai volontari. Per stare in un’associazione come la nostra, c’è bisogno di sensibilità, di sacrificio. Abbiamo i volontari del Servizio civile e stiamo recuperando gli adolescenti guariti, con cui facciamo un lavoro di inclusione sociale e che raccontano le loro storie: chi più di loro può far capire le difficoltà? I volontari spesso vogliono stare del tempo con i pazienti, io dico sempre che bisogna chiedere ai bambini se hanno piacere di stare con loro: non è facile stare con i bambini malati di tumore.
Foto dell’associazione Agop
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