A Ponticelli, quartiere nella zona orientale di Napoli, sono riscoppiate la faide di camorra. La faida però, a conti fatti, non riguarda mai solo la camorra, ma le persone che vivono – e a questo punto non possono più vivere i luoghi che abitano – perché di fatto si spara per strada. I proiettili non sono una scienza esatta, i colpi di pistola possono colpire chiunque. E in questo Napoli e i suoi quartieri, la città con le sue periferie, ha una storia triste, lunga, e ben documentata. La periferia di Napoli est, comprende San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli «lavoriamo con tutte le scuole del territorio», dice Cesare Moreno, presidente dell’associazione Maestri di Strada, presidio umano, sociale ed educativo sui quartiere. I Maestri di Strada costituiscono una comunità di apprendimento in cui si formano educatori e docenti ed è in grado di progettare e realizzare azioni di sostegno ai giovani che vogliono uscire dalla condizione di esclusione. «I fatti di cronaca delle ultime settimane, i morti ammazzati per strada e le ondate di arresti, ci fanno toccare il dolore tutti i giorni. Ma noi andiamo avanti lo stesso».
Qual è la vostra relazione con le scuole del territorio?
Lavoriamo in un contesto che non è facile, e la pandemia è stato un ulteriore elemento di fragilità. In questi mesi però abbiamo cercato di imparare cose nuove, rinsaldare i legami con il territorio. Abbiamo avviato le attività de il “Cubo- Cantiere Urbano Beni comuni", un luogo stiamo realizzando 4 aule laboratorio: tecnologia, musica, arte, scienze. Da sempre proviamo a sperimentare una pedagogia della ricerca. La nostra idea è molto semplice: stabilire se le attività che di solito sono affidate alle associazioni come i laboratori di teatro, arte, musica, sport, o ancora la lavorazione degli orti urbani, solo per citare qualche esempio, sono attività curricolari o extracurricolari. L’atteggiamento sbagliato della scuola è stato quello di averle considerate come attività “ricreative”.
La lezione scolastica non può essere connessa “alla sofferenza” ma deve legarsi alla significazione e al piacere. O la scuola capisce che queste attività creative sono il nuovo modo di fare scuola o non ha speranza. E proprio durante i mesi più duri della pandemia le scuole hanno avuto modo di sperimentare come le nostre metodologie fossero efficaci e contribuissero al funzionamento della scuola stessa.
Ad oggi lavoriamo con tutte le 18 scuole della periferia est: 12 istituti comprensivi e 6 scuole superiori. Da quest’anno per ogni tre scuole c’è “un gruppo di sapere”, uno spazio aperto ad insegnati ed educatori per co-progettare insieme. Ad ogni gruppo partecipa uno psicologo dell’associaizone che lavora a tempo pieno per le scuole. Abbiamo sette “gruppi sapere”, sei per le 18 scuole e uno che lavora nella nostra sede, perchè è qui che svolgiamo le nostre attività laboratoriali pomeridiane. I maestri di strada nelle scuole si occupano della coesione della classe, curano le attività socio educative, aspetto che spesso viene trascurato.
Quanti educatori di strada siete?
Circa 50 tra psicologi, educatori e arteducatori. I lavori che facciamo nel pomeriggio sono integrati con le attività che svolgiamo nelle scuole. Ogni attività va riferita alla scuola, non ha senso per noi fare attività alternative. Il nostro obiettivo è supportare gli apprendimenti scolastici e i processi di crescita personale dei ragazzi, che dovrebbero essere curati a scuola, su cui il nostro sistema scolastico non si focalizza. La scuola ancora oggi si occupa del “cognitivo”, ma poco di come le discipline si possono tradurre in occasioni di crescita per i ragazzi.
Soprattutto nei quartieri fragili di una città complessa come Napoli
Quelli dove viviamo e lavoriamo sono i quartieri con gli indici più alti di dispersione scolastica e criminalità organizzata. Quartieri con l’indice più alto di famiglie monoparentali, l’indice più alto di persone inserite in programmi di recupero dai servizi sociali. Negli istituti superiori la dispersione può raggiungere il 50%, e infatti come Maestri di Strada abbiamo attivato un programma di prevenzione. Questo era un contesto industriale che si è iniziato a sviluppare 150 anni fa. C’era la Cirio, famosa fabbrica di pomodori, poco alla volta le fabbriche hanno cominciato a chiudere e ci siamo trovati le persone, una volta operaie che si svegliavano al suono della sirena, che oggi vengono spaventate da quello degli spari. A volte la sensazione generale è quella di non farcela.
Perché?
Non ce la fanno gli insegnanti, non ce la fanno i genitori, non ce la fanno le famiglie spesso sfasciate dalla miseria. Noi facciamo attività anche con loro, cerchiamo di offrire un sollievo alle persone stressate dall’accavallarsi dei problemi della vita. Il nostro slogan è “curare chi cura”, se gli insegnanti e i genitori devono curare la crescita dei ragazz, allora il nostro compito è anche curare il loro benessere.
I fatti di cronaca delle ultime settimane, la faida di camorra che è ricominciata, quanto influiscono queste vecende sul vostro lavoro?
Non lo so. Noi stiamo qua tutti i giorni. I morti per strada, l’ondata di arresti. A volte è paggio vivere l’atmosfera della morte annunciata che la morte stessa. E soprattutto tutti i giorni vediamo il dolore che producono queste morti. Il giovane 23enne ammazzato per una vendetta trasversale, ammazzato per impressionare un padre che non aveva neanche conosciuto, questa cosa getta nel dolore non solo i familiari, ma i vicini di casa, le persone che lo incontravano in strada, la maestra delle scuole elementari, la sarta che stava confezionando l’abito da sposa per la futura moglie. E viviamo così, in attesa della prossima mossa, della prossima vendetta. Perché i professionisti del crimine è difficile tenerli in galera. E sfatiamo un luogo comune: i ragazzi che vivono qui non sono tentati dal mondo criminale. Quando la vita ti mette davanti paura, morte, pestaggi non c'è niente di attrattivo per loro. I nostri ragazzi i criminali li conoscono da vicino e conoscono la sofferenza che provocano. Noi dobbiamo far scoprire ai ragazzi le altre strade possibili per crescere, lontane dal mondo criminale. Perché la strada del crimine offre solo rabbia e disperazione. Ma non possiamo fare tutto.
In che senso?
I tassi di disoccupazione sono enormi, e questo incide non sull’attrattiva del crimine, ma sul crimine come rimedio estremo e disperato ad una situazione che non si riesce ad elaborare. I ragazzi di periferia hanno bisogno di sogni, speranze, progetti. E la speranza la dobbiamo costruire noi. In ognuno di noi c’è desiderio. Ciascuno dentro di sé ha il suo progetto di cambiamento. I politici, i sociologi, tutti stanno lì e si ostinano a lavorare sul bisogno. Ma il bisogno, una volta soddisfatto non ha nessuna capacità di produrre crescita. Sono i sogni, i desideri che la producono. I bisogni producono disperazione, non hanno attrattiva. Dobbiamo invece costruire la felicità.
Come si costruisce?
Non come, ma dove. In una comunità che ti fa sentire vivo, importante, accolto. Il nostro metodo educativo si chiama “educazione basata sulla comunità” se creiamo gruppi umani, prima piccoli poi estesi, fatti di persone che stanno bene insieme le cose funzionano, e tra e per loro le cose funzionano anche nella miseria. Se non riscopriamo il senso dell’accoglienza reciproca tra le persone anche quando arrivano i soldi non arriva la felicità.
E allora cosa si può fare per i giovani?
Aiutarli a sognare una vita buona. Liberarli dai bisogni eccessivi, come la difficoltà di mettere insieme il pranzo con la cena. La povertà estrema ti leva la possibilità di pensare a qualcosa di grande, essere costretti ad occuparsi solo del pane ti trasforma in una specie umana sgradevole, così nasce la base sociale del crimine, che si basa su persone troppo povere, e la povertà leva l’aspirazione alla felicità. Dobbiamo chiedere a gran voce, e dobbiamo farlo per i nostri ragazzi, un sostegno serio per docenti, educatori, famiglie per ripensare al nostro lavoro. Il cuore di Maestri di Strada è un incontro che facciamo ogni mercoledì, ci mettiamo in cerchio e parliamo di come stiamo affrontando la vita. Il nostro è un mestiere che insegna ogni giorno, se non c’è attività riflessiva, non rimane niente. Quando si va in bici se non si pedala si cade. Uguale con l’educazione, se non rinnovi tutti giorni il contratto educativo, l’impegno educativo, si svuota. Ci vorrebbero più iniziative in questo senso, i progetti senza pensiero valgono poco.
Nessuno ti regala niente, noi sì
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