Viviamo immersi in un contesto culturale che pensa che a un certo punto della vita non ci sia più bisogno di imparare, di farsi delle domande: abbiamo capito come va il mondo e quindi siamo a posto. Poi ci sono luoghi come Monte Sole, da respirare non solo con i polmoni ma anche con gli occhi, un luogo che se impari ad interrogarlo veramente, regala risposte che attingono dalla storia e dalla memoria per parlare all’oggi, alla crisi d’identità comunitaria che attraversa ciclicamente il presente.
«Si pensa sempre alla necessità di parlare e formare le nuove generazioni, che è fondamentale, ma bisogna ricordare che molti dei problemi che oggi viviamo dipendono dalle attuali generazioni per cui la nostra è una proposta che vuole parlare all’essere umano in generale, declinata ovviamente a seconda dell’età – spiega Elena Monicelli, coordinatrice della Fondazione Scuola di pace di Monte Sole – L’ obiettivo comune è aiutare ciascuno nell’acquisizione di una consapevolezza rispetto al proprio stare nel mondo, altrimenti quello che dalla memoria si può trarre come risorsa, rischia di essere abbastanza sterile».
Un ricordo fine a se stesso, magari anche un po’ consolatorio della serie “ho fatto il mio dovere e sono andato a vedere il disastro della seconda guerra mondiale”, si riduce a qualcosa che, alla fine, sembra non riguardarci veramente. In questo modo, invece di proporre un discorso di complessità, viene proposto un discorso di semplificazione. Ma la nostra mente funziona già così, perché se dovessimo trattare in maniera complessa qualsiasi singolo stimolo saremmo paralizzati, e abbiamo bisogno di attuare operazioni di sintesi per attivare decisioni e comportamenti.
«Quando però questo si sviluppa a livello sociale e di comunità, la semplificazione può diventare un problema se non addirittura un pericolo – sostiene Monicelli – A Monte Sole riposa Giuseppe Dossetti che ha passato una vita ad aiutare le persone ad avere una coscienza vigile, allenata, che non si accontenta delle solite risposte. La memoria, lo abbiamo visto, non è un vaccino. Si dice sempre che bisogna ricordare perché certi fatti non accadano mai più e invece accadono continuamente. E allora, forse, bisogna imparare a ricordare in un modo diverso».
Il potere consolatorio del ricordare è una grande trappola: i cattivi erano altrove, erano altri, in un altro tempo e noi non siamo così. Senza proporre paragoni assurdi ma andando sulla scia di studi importanti, con la rassegna “Senza fretta” – Ogni oicsevoR ha il suo Diritto”, la Scuola di pace intende ragionare su quelli che sono i meccanismi antropologici e le ragioni che hanno reso possibile il sistema di terrore che si è manifestato a Monte Sole e durante la seconda guerra mondiale, e che, in modi e forme diverse, ritroviamo in altri luoghi del mondo e in altri momenti della storia.
La pandemia ha scatenato tanta paura e sfiducia e il nostro vivere sociale è oggi estremamente frammentato, sembra aver perso certe coordinate. «Il rimescolamento degli elementi base del nostro vivere sociale, le migrazioni, le religioni, le generazioni, l’emergere di nuove prospettive tecnologiche ci fa sentire in consonanza con quanto papa Francesco sottolinea, ovvero che siamo di fronte a un cambio d’epoca – dice fratel Luca Daolio, monaco della comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata di Montesole, altra realtà fondamentale che opera sul territorio – Insegnare la pace vuol dire insegnare le vie dell’interiorità, rifuggire dalla domanda “di chi è la colpa?”, dal distinguere i buoni dai cattivi e dividere il mondo in due ma è cercare di capire dall’interno il sistema che ha consentito il perpetuarsi di eccidi e violenza, capire dall’interno il pensiero che presiede a questi processi e che porta persone che sono come noi, a compiere determinati atti».
L’art. 1 della Costituzione, in un periodo come questo, sprona tutti noi a trovare delle vie, anche inedite, e a dare un contributo per affrontare i problemi avendo come punto fermo alcune fondamentali questioni: la centralità della persona, il senso di comunità, il senso della pace.
«Oggi resistenza vuol dire riuscire a restare sull’essenziale – sostiene Daolio – Resistere alla tentazione di processi identitari che abbracciano scorciatoie pericolose dal punto di vista personale e sociale e radicarsi a quegli aspetti più universale che riescono a garantire un percorso comune tra tutti gli uomini. Accogliere, motivare scelte impegnative e scomode per le quali occorre impegno etico – conclude Daolio richiamando l’art. 11 della Costituzione – Occorre pensare a questo articolo come un programma politico che deve incidere, per essere vero, dal punto di vista di politica interna, estera, dello sviluppo economico per sostenere le scelte remote che servono per fare un passo necessario per la pace nei rapporti personali, comunitari, ecclesiali, sociali, ad ogni livello, a cerchi concentrici».
Mettere il naso fuori casa è assolutamente necessario: pensiamo al mondo in termini talmente egocentrici in senso politico ed eurocentrico che progetti come “So-Close” risultano oggi più che mai fondamentali per contribuire alla coesione sociale e provare a combattere l’emarginazione dei migranti favorendo incontri tra storie di vita simili, attraverso la condivisione del patrimonio culturale delle migrazioni forzate.
Nella grafica un disegno ripreso da “IL PARTIGIANO” – Organo della III° Divisione Garibaldi “CICHERO”
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